venerdì 24 giugno 2016

UOMINI NUDI - Racconto di Paolo Giannattasio






Uomini nudi senza fame, volteggiano fermi in stati di vomito, distanti a palmi, in assenza di vuoto, tenuti a funi fissate alle vene. Immobili come noci e rigidi nei fianchi desiderano un soffio che li faccia vibrare. Aspettano in silenzio, fissando il vuoto, assoluzioni che daranno nuova luce. Qualcuno, di voce in voce, ha promesso gloria di carne e amore. E loro, con sensazioni opache, si lasciano contemplare, da chi non ha il coraggio di imitare. Osservi ebete il nudo umano e giuri di non aver mai visto un uomo penzoloni, con la testa rivolta al terreno e il cuore in ballo. Un fremito percorre e anima i nudi appesi, che si liberano come aquiloni senza filo e tendono all’aria. Si dimenano perversi, con barba fatta e lingua umida ai lati. Sono feroci amanti di se stessi, eroticamente insani, godono come fili di saliva senza fine. Tesi e senza fiato si fronteggiano con pollice sempre verso. Negano a se stessi e a chi gli tiene il mondo. Negano a chi merita e spinge. Negano, a chi non si dà pace. Negano, perché godono. Sono i padri del no e del perdono finto, e nascosti nel buio anelano assenso sicuro e gioia. Sono steli di luce inutile e puzzano di amaro. Nudi come il mare e tesi come un uovo, trascinano al primo palo ossa miste a carne, placando infine le caviglie con funi di canapa e sputi. Penzolano, in attesa del movimento erotico. Senza peli e orbi di cuore, sperano di volteggiare ancora come quando cadevano affranti dietro ad ogni bacio di puttana, carezzando se stessi alla fermata di un bus e dentro il primo ascensore senza peccato, senza colpa, senza sostegno.
Uomini nudi che ho sempre amato. Minimi e docili, come vecchiette in chiesa. Onesti a quanto pare, con punte di un odio ragionato. Uomini senza ardore, vestiti di elettronica fumante, si spogliano al richiamo dell’erotica impalata e si lasciano succhiare i gesti mimando amplessi muti e falsi. Uomini senza vergogna: venderebbero se stessi al primo offerente nano, senza riserve, senza ascoltare, solo godere e niente volere. Uomini nudi alzano mani a dare segni. Si fanno notare gli affranti! Vogliono anche loro una parte nel gioco dei migliori. Ognuno ha una locazione definita e chiara. Io qui, tu lì, noi sopra e quegli altri in basso. Uomini nudi si dispongono. Nudi e senza peli, unghia di ogni piede a zero, capelli mai perché fanno paura; oggetti in mano, colmi di lattice, occhi di vetro senz’acqua, ansie di carta, luci capovolte e marmi di fuoco. Uomini che tentano, che vogliono imitare se stessi senza colpe antiche. Uomini che mancano perché fuggiti da luoghi dove li hanno derisi e sfatti. Hai un pantalone e una camicia: sei padrone di agitarti fino allo sdegno. Basta poco, e ti ritrovi infame in una scarpa di vernice, nei colori abbinati, dietro un bicchiere di acqua colorata e fingi smorfie di fatto inutili e nel tempo sterili, perché tutto scorre e qualcosa dovrai pur fare mentre stringi il vetro e tieni il passo con l’alluce nascosto. Irrigidisci allo specchio, perché sei tu il pagliaccio vestito a festa di fianco al divano; rotei di un grado e sei sempre uguale. Fesso e bastardo. Unico e tipico. Ti piangi nelle mutande e pensi di essere il solo. Poi ti volti e immagini una verità che non quadra perché la risposta è chiara, e ti spaventa. Sì, è così, siete tutti uguali in quelle scarpe di vernice che puzzano d’uovo. Tutti, come carne da macello, in cerca del migliore marchio da farsi tatuare. Ricordi la leggenda degli uomini nudi che godono guardando al contrario. Ricordi e speri di poterci arrivare a quell’attimo che ti renderà unico, nell’immenso gioco dell’ardore. Uomini nudi ti osservano e tu lasci fare. Speri ti accettino. Speri ti diano fune, saliva e palo per accordare una volta sola il tuo ingresso nel penzolare umano. Uomini nudi si annientano, frustati dal vento, sbattuti dai sensi. Crepano d’invidia nei ricordi e restano seri nelle viscere e comici nei disagi. Aspettano il consenso per strappare. Si lasceranno sfuggire e cadere, una faccia toccherà il terreno, serena, placata, senza dimenarsi, come un lampione a mille luci tutte orribili, come le gambe intrecciate dei ballerini circensi, come un fiato in affanno, come l’olio che non scende, come le corde che non spingono. Uomini nudi ancora in ballo, si accalcano, la fila è docile, ognuno un desiderio; cercano approcci, frigoriferi pieni, sorrisi diversi, antenne di contrabbando, short americani, birre di ghiaccio, camionisti arrapati, donne che pregano, cani pisciati, custodi monchi e il solito faro. Uomini nudi d’orgoglio, ma con cappotto. Uomini nudi d’amore, ma sempre on line. Uomini nudi di rispetto, ma sempre in fila ai fast food. Uomini che han perso tutto, tranne i peli sulle orecchie. Uomini che sorseggiano acqua per vino, divertendosi agli incontri di parenti. Uomini morbidi, con pochi spiccioli: tintinnano una ragione, gonfiando petti villosi e marci. Hanno mille voci per incoraggiarsi; con lo sforzo di un corsaro raddoppiano la propria altezza e spaventano gli uguali. Vecchi, lerci e mezzi scemi. Vogliono soffiare sempre sulle stesse candeline anche quando il fumo non è più compreso, anche quando il fiato ormai è andato.
Uomo contro uomo, nudo contro nudo, un miscuglio di carne vascolare, spinge, corre spaventata e dritta. È una dei mille grovigli che non vede luce e segue la voce di padri antichi, come se tutto fosse un segno positivo. Navigando senza pretese, ormeggiando a piccole dosi, arrivi al finale della tua vita, strisciando come il corso d’acqua che bevevi e assaporavi, mettendo in fila orgasmi vis à vis a pelle sfregiata. Dosi di ricordi fanno strada. Attimi, inutili e perversi, affollano la mente. Eri uno dei barbari pelati, nella fitta mischia di cromatina e pelli mistiche, in corpi tagliati a bisturi. Eri vivace e pieno di nicotina annaspata a tratti; ostaggio di vortici zeppi di donne, in preda a smalti acuti e protesi rubate. Eri umano in un modo osceno e non pesavi le tue paure. Sei rimasto nudo senza peli e voglia. Appeso, convinto che d’istinto qualcuno ti avesse glorificato di carne e amore. Ti hanno fottuto la natura semplice e sincera dei sorrisi. Sei schiacciato a pedate, assestate con garbo, lentamente, per tentare l’alloggio della tua persona. Speravi che una fune facesse quello che la tua anima non poteva e che l’osceno fosse il profilo più onesto. L’unica verità è che hai pregato male il Dio sbagliato e le tue scarpe di vernice, adesso, sono più oneste di un filo di saliva che bava. Fatti guardare dentro e scava nei punti giusti. Vedrai che le tue carni gioiranno se c’è un dolore: è sempre godimento, anche se dal lato opposto. La tua furia cadrà nel bianco che annienta i colori e tutto sarà perfetto. Vivace, con occhi in croce, ricorda il penzolare e trova un senso onesto da poter articolare.
La fune è rigida. L’uomo nudo. Il resto mente. Metti una mano e spingi ancora i tuoi fermenti.

                                                                                                PAOLO GIANNATTASIO




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