Tra
sofferenza e speranza, abiezione e riscatto
Il filone letterario
romantico, ovviamente adeguato al gusto attuale, continua a godere di larghe
fortune e ad accrescere il numero dei lettori. Dopo i successi storici delle
scrittrici canoniche del made in England, le sorelle Brontë e la tuttora seguitissima
Jane Austen, il romanzo sentimentale, pur conservando le prerogative di base,
si è adeguato, nel Novecento, grazie a Kathleen E. Woodiwiss, ad andamenti più
spregiudicati e meno –o per niente– allegorici. Avventure e disavventure si
sono fatte spigliate ed eroticamente esplicite; basti pensare alla trama del
fluviale The Flower and the flame della Woodiwiss, che riserva passaggi roventi
(mai però volgari) nel corso di ben seicento pagine.
Già alla Georgette Heyer,
i cui gustosi romanzi hanno tanto dell’humour anglosassone sottile e raffinato,
si è attribuito il rito di passaggio del genere dall’Ottocento al Novecento;
alla Woodiwiss si è riconosciuto, meritatamente, il fattore innovativo del
disvelamento passionale delle scene d’amore. Si disse, nel 1972, data di
pubblicazione de Il Fiore e la fiamma (Sonzogno), che la scrittrice disinibiva
gli ultimi pudori: i protagonisti della vicenda, Heather Simmons e l’ombroso
capitano Brandon Birmigham, “venivano seguiti fin dentro la camera da letto”.
La narrazione di
“Chimera” ruota intorno ad un personaggio che Paola Elena Ferri dota di
irresistibile attrait, soprattutto grazie all’intuizione di effondere dentro e
intorno a lui un grado decisivo di malinconia, che giova alla sospensione
dell’incredulità e all’elemento del plausibile. Chimera, titolo del romanzo e
nom d’art del protagonista, suggerisce figuratamente il fattore del sogno
agognato e inafferrabile, illusorio e imprendibile. Giacché nessuno arriva a
conquistare la ‘conoscenza’ interiore di Ange Yannick Dumont, professore di
lingue inappuntabile, e performer nel mondo scintillante e ambiguo dello
spettacolo da nightclub, se non la coprotagonista, nella quale la Ferri
inevitabilmente finisce con l’identificarsi, Serena Alice Baroni, e forse, la
singolare caratterizzazione della ostica e fortunatamente non patetica
professoressa Fortunata Chifari.
Nonostante l’intrigo del
plot e dei vari sub-plot, Ferri non scade nel mélo, perché mantiene sul filo
del non dichiarato l’angst che accompagna fino all’epilogo Ange/Chimera,
fornendo altresì icasticamente una linea etica da non sottovalutare:
l’apparentemente amorale professore/divo del Nightime rivela, nel corso della
narrazione, una insospettata e imprevedibile vis che scolla i facili
pregiudizi, svelle ogni preconcetto e getta una luce ontologica positiva e
propositiva sul personaggio in sé, ma anche sulla tipologia di un modello
narrativo consimile in generale; questo attraverso un ben dosato, graduale
capovolgimento delle prospettive, dell’ottica: Ange/Chimera non è affatto quel
che sembra, un moderno bohémien, un cinico Dorian Gray, o -se vogliamo adottare
un termine crudo- un jeune homme de vie, un mercenario della carne, che non
discrimina i sessi.
Ma accedere alla verità
non è mai così semplice, o indolore; non basta, anzi è errato affidarsi alle
apparenze, come scopriranno la stessa Serena, Elizabeth Roberts, e persino il
villain dell’intreccio, il tracotante ‘ras’ Gianni Vitaro. Per dirla con la
metafora della studiosa Roberta De Monticelli, non si hanno certezze
affidandosi, per il colore, alla neurofisiologia dell’occhio, mentre è più
saggio concedere spazio al dubbio, anche quando parrebbe esso illazione.
Il romanzo adotta uno
stile fluido, dotato altresì di determinazione incisiva, cadenzata dai dialoghi
e dai flussi di pensiero tersi intessuti di intenzione e metabolizzato
equilibrio. I personaggi vengono a poco a poco delineati nelle loro
contraddizioni, nelle debolezze e nelle pulsioni fino ad elevare una cittadella
dei temperamenti, che non vuole però far scuola, limitandosi a raccontare e a
suscitare, a volte, empatia, nel caso della professoressa Giuseppina Palumbo e
della fragile allieva privata Chiara Lucci (che richiama alla mente certe
interpretazioni giovanili dell’attrice Laura Efrikian nei dorati anni sessanta
della nostra TV), nonché della burbera collega anziana di francese (spiccatamente nella bella sequenza al reparto
cardiologia con la morente Fortunata, che finisce col coprire imprevedibilmente, con grande franchezza, il
ruolo di confidente materna, senza concessioni sdolcinate).
Dalle pagine emergono i
difficili rapporti di coppia: quello naufragante di Serena e Luca che parlano
senza comunicare, sopraffatti dal male di vivere e dai reciproci egoismi,
nonché dallo spettro dell’allontanamento, dal trauma della invece salvifica
separazione; quello morboso e conflittuale che non riesce a legare Ange ad
Elizabeth, incapace, almeno sulle prime, di stabilire un ménage che non abbia
come motore e fondazioni il sesso coi suoi potenti allettamenti seduttivi;
quello nascente e delicato fra Chimera e Serena, che rischia di essere minato
da segreti che in buona fede non possono essere rivelati. Ed è un romanzo
sull’elaborazione della perdita, che mi porta a considerare due libri sul tema:
uno, di poesia, di Ketti Martino (Del distacco e altre impermanenze – La Vita
Felice), l’altro, un saggio letto anni fa, Trattato della lontananza, di
Antonio Prete (Bollati Boringhieri), che cita diffusamente, al riguardo, Jabès,
Baudelaire, Dante, Leopardi.
Senza voler rivelare
troppo, il che comprometterebbe irrimediabilmente il piacere della scoperta,
aggiungerei che l’autrice si ispira ai temi del deus ex machina del teatro
classico e ad una rivisitazione del concetto di agnitio, precisando che ella la
riserva al lettore, dopo averla ritardata ad arte; un topos che Ferri
padroneggia con abilità (nel risvolto narrativo che è giallo dell’anima) e che
precede un ennesimo, finale coup de théâtre, stavolta consegnato, a mo’ di
aggiuntivo risarcimento, alla coprotagonista Serena.
Libro intenso,
coinvolgente, che ha come epicentro, nel bene e nel male (la cupa, triviale,
brutale ‘banalità del male’ incarnata nell’anaffettivo e vizioso Gianni
Vitaro), l’umano essere e andare negli spazi della contemporaneità ( il non
luogo del liceo gestito con urbanità dal dirigente Giacomo Sidoti; il non luogo
rappresentato dal Nightime, ora tempio di licenziosità, ora magnete di cultura
scenica, tra cabaret-teatro, avanspettacolo queer e arena istrionica per
monologanti di talento), sulla scia del compromesso tra dannazione ed
espiazione, tra sentimento puro e cedimenti spesso inspiegabili che potrebbero
condurre all’abisso.
ARMANDO SAVERIANO
PAOLA ELENA FERRI – CHIMERA – PP.
260 – EDIZ. PRIVATA – 2016 – PREZZO €
14,82
Paola Elena Ferri |
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