martedì 12 luglio 2016

ANGELO FUORI SCHEMA PER UN ROMANTICISMO A TINTE FORTI



Tra sofferenza e speranza, abiezione e riscatto





Il filone letterario romantico, ovviamente adeguato al gusto attuale, continua a godere di larghe fortune e ad accrescere il numero dei lettori. Dopo i successi storici delle scrittrici canoniche del made in England, le sorelle Brontë e la tuttora seguitissima Jane Austen, il romanzo sentimentale, pur conservando le prerogative di base, si è adeguato, nel Novecento, grazie a Kathleen E. Woodiwiss, ad andamenti più spregiudicati e meno –o per niente– allegorici. Avventure e disavventure si sono fatte spigliate ed eroticamente esplicite; basti pensare alla trama del fluviale The Flower and the flame della Woodiwiss, che riserva passaggi roventi (mai però volgari) nel corso di ben seicento pagine.
Già alla Georgette Heyer, i cui gustosi romanzi hanno tanto dell’humour anglosassone sottile e raffinato, si è attribuito il rito di passaggio del genere dall’Ottocento al Novecento; alla Woodiwiss si è riconosciuto, meritatamente, il fattore innovativo del disvelamento passionale delle scene d’amore. Si disse, nel 1972, data di pubblicazione de Il Fiore e la fiamma (Sonzogno), che la scrittrice disinibiva gli ultimi pudori: i protagonisti della vicenda, Heather Simmons e l’ombroso capitano Brandon Birmigham, “venivano seguiti fin dentro la camera da letto”.
La narrazione di “Chimera” ruota intorno ad un personaggio che Paola Elena Ferri dota di irresistibile attrait, soprattutto grazie all’intuizione di effondere dentro e intorno a lui un grado decisivo di malinconia, che giova alla sospensione dell’incredulità e all’elemento del plausibile. Chimera, titolo del romanzo e nom d’art del protagonista, suggerisce figuratamente il fattore del sogno agognato e inafferrabile, illusorio e imprendibile. Giacché nessuno arriva a conquistare la ‘conoscenza’ interiore di Ange Yannick Dumont, professore di lingue inappuntabile, e performer nel mondo scintillante e ambiguo dello spettacolo da nightclub, se non la coprotagonista, nella quale la Ferri inevitabilmente finisce con l’identificarsi, Serena Alice Baroni, e forse, la singolare caratterizzazione della ostica e fortunatamente non patetica professoressa Fortunata Chifari.
Nonostante l’intrigo del plot e dei vari sub-plot, Ferri non scade nel mélo, perché mantiene sul filo del non dichiarato l’angst che accompagna fino all’epilogo Ange/Chimera, fornendo altresì icasticamente una linea etica da non sottovalutare: l’apparentemente amorale professore/divo del Nightime rivela, nel corso della narrazione, una insospettata e imprevedibile vis che scolla i facili pregiudizi, svelle ogni preconcetto e getta una luce ontologica positiva e propositiva sul personaggio in sé, ma anche sulla tipologia di un modello narrativo consimile in generale; questo attraverso un ben dosato, graduale capovolgimento delle prospettive, dell’ottica: Ange/Chimera non è affatto quel che sembra, un moderno bohémien, un cinico Dorian Gray, o -se vogliamo adottare un termine crudo- un jeune homme de vie, un mercenario della carne, che non discrimina i sessi.
Ma accedere alla verità non è mai così semplice, o indolore; non basta, anzi è errato affidarsi alle apparenze, come scopriranno la stessa Serena, Elizabeth Roberts, e persino il villain dell’intreccio, il tracotante ‘ras’ Gianni Vitaro. Per dirla con la metafora della studiosa Roberta De Monticelli, non si hanno certezze affidandosi, per il colore, alla neurofisiologia dell’occhio, mentre è più saggio concedere spazio al dubbio, anche quando parrebbe esso illazione.
Il romanzo adotta uno stile fluido, dotato altresì di determinazione incisiva, cadenzata dai dialoghi e dai flussi di pensiero tersi intessuti di intenzione e metabolizzato equilibrio. I personaggi vengono a poco a poco delineati nelle loro contraddizioni, nelle debolezze e nelle pulsioni fino ad elevare una cittadella dei temperamenti, che non vuole però far scuola, limitandosi a raccontare e a suscitare, a volte, empatia, nel caso della professoressa Giuseppina Palumbo e della fragile allieva privata Chiara Lucci (che richiama alla mente certe interpretazioni giovanili dell’attrice Laura Efrikian nei dorati anni sessanta della nostra TV), nonché della burbera collega anziana di francese  (spiccatamente nella bella sequenza al reparto cardiologia con la morente Fortunata, che finisce col coprire   imprevedibilmente, con grande franchezza, il ruolo di confidente materna, senza concessioni sdolcinate).
Dalle pagine emergono i difficili rapporti di coppia: quello naufragante di Serena e Luca che parlano senza comunicare, sopraffatti dal male di vivere e dai reciproci egoismi, nonché dallo spettro dell’allontanamento, dal trauma della invece salvifica separazione; quello morboso e conflittuale che non riesce a legare Ange ad Elizabeth, incapace, almeno sulle prime, di stabilire un ménage che non abbia come motore e fondazioni il sesso coi suoi potenti allettamenti seduttivi; quello nascente e delicato fra Chimera e Serena, che rischia di essere minato da segreti che in buona fede non possono essere rivelati. Ed è un romanzo sull’elaborazione della perdita, che mi porta a considerare due libri sul tema: uno, di poesia, di Ketti Martino (Del distacco e altre impermanenze – La Vita Felice), l’altro, un saggio letto anni fa, Trattato della lontananza, di Antonio Prete (Bollati Boringhieri), che cita diffusamente, al riguardo, Jabès, Baudelaire, Dante, Leopardi.
Senza voler rivelare troppo, il che comprometterebbe irrimediabilmente il piacere della scoperta, aggiungerei che l’autrice si ispira ai temi del deus ex machina del teatro classico e ad una rivisitazione del concetto di agnitio, precisando che ella la riserva al lettore, dopo averla ritardata ad arte; un topos che Ferri padroneggia con abilità (nel risvolto narrativo che è giallo dell’anima) e che precede un ennesimo, finale coup de théâtre, stavolta consegnato, a mo’ di aggiuntivo risarcimento, alla coprotagonista Serena.
Libro intenso, coinvolgente, che ha come epicentro, nel bene e nel male (la cupa, triviale, brutale ‘banalità del male’ incarnata nell’anaffettivo e vizioso Gianni Vitaro), l’umano essere e andare negli spazi della contemporaneità ( il non luogo del liceo gestito con urbanità dal dirigente Giacomo Sidoti; il non luogo rappresentato dal Nightime, ora tempio di licenziosità, ora magnete di cultura scenica, tra cabaret-teatro, avanspettacolo queer e arena istrionica per monologanti di talento), sulla scia del compromesso tra dannazione ed espiazione, tra sentimento puro e cedimenti spesso inspiegabili che potrebbero condurre all’abisso.

                                                                                                ARMANDO SAVERIANO



PAOLA ELENA FERRI – CHIMERA – PP. 260 – EDIZ. PRIVATA – 2016 – PREZZO  € 14,82



Paola Elena Ferri

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