mercoledì 3 febbraio 2016

MI RACCONTA UN RACCONTO








LIBERA È SOLA


Un'esistenza sprecata è un peccato. Sopportare cose che non ami, è un peccato. Resistere alle azioni indegne che non meriti, è un peccato. Essere donna e non riuscire a sentirsi libera è un peccato. Donna, moglie, madre, amica, amante e sorella. Una donna è troppe cose. La stessa donna in tante vite. Avere ruoli e facce diverse cui abbinare i soliti sorrisi finti. <<C'è un piano! C'è una fuga! Passa per il baratro! Passa per la morte!>> Ripeto ad alta voce le parole una a una. Sorseggio vino rosso e piango in fazzoletti colorati. Ripeto e lo faccio ancora. Non c'è reazione alle parole. Smette il pianto e non c'è riso. Muta. Resta muta la mia bocca. E la distanza colma ogni cosa. Vivo per me questi istanti. Li condivido in maniera perfetta perché adesso è tutto chiaro; tutto si rivela e lascia che io comprenda. Stimo ogni cosa dei miei passi, poggio la pianta del piede sul tappeto rasato e sento il calore fino al centro del cervello. Un brivido d'intenso fervore mi attraversa perché la strada è concreta. Adesso si può fare. Posso andare. Adesso posso andare. Rifletto bene e cerco le istruzioni. Lentamente indietreggio con una comprensione sempre più profonda. Dinanzi a me i familiari m’interrogano con sguardi spaesati. E non trovando risposte gesticolano come degli scemi alla stazione convinti che questo possa bloccarmi. Arretro verso qualcosa che mi chiama. Due passi ancora e scatta l'azione. Mi volto e afferro il pomello. Lo giro in un istante, apro e richiudo la porta della cantina con me all'interno. Sbarro l'ingresso e lascio che la famiglia intera consumi le nocche sul legno pregiato della porta bloccata. Pochi secondi ancora, cerco di ricordare mentre decido come finire. Lascio la casa, un marito, i miei figli, il cane, la moquette pregiata, il tappeto persiano, la bomboniera di zia, quel cappotto fasciato e la pochette dorata, lascio una pentola che fuma e vado via. Lascio l'onore di madre, l'orgoglio di moglie, l'istinto di figlia, il rispetto di donna, la natura di amante e il finto sorriso di sempre. Mi lascio prendere da questa idea che risolve e toglie a favore della libertà. Mi aspetta il silenzio pieno di pianti e chiasso terreno. Ormai tutto è chiaro e deciso. Devo solo completare il pensiero con l'azione più dura. È il momento. Lo faccio e vado via. Il treno della mia nuova vita libera parte e viaggia senza binario, verso l'unica direzione possibile. Quella che spero mi ridarà il sorriso vero. Libera. In fuga dalla donna che sono e che non amo più. La corda. Lascio che le mani annodino le due estremità. Tendo, controllo, armeggio, infilo, mi appendo, strabuzzo, scapocchio, mi spengo e silenzio. Lascio dubbi, sensazioni e vuoti. Lascio immagini appannate. E tante cose, invase, eccellenti, dissonanti, da chiarire ancora, restano vane. Lascio occhi senza voce e mistici gesti senza perdono. Lascio danni, annotati sulla pelle ormai bruciata dall'odio d'amore. Lascio e porto via anche me. Una casa bella. Un bel matrimonio. Divani di classe. Il luogo è di lusso. Tutto attorno sempre lo stesso. Però, che giardino che mi son fatta! Guarda le begonie, i gerani, le margherite, le campanelle, le buganvillee e il giardiniere. Ah, sì, perché mi sono fatta pure quello! Ho sprecato un'esistenza con le stronzate senza rendermi conto che l'infelicità mi uccideva lentamente. Ho aspettato lo sclero per essere reale. Ho aspettato che i nervi cedessero per reagire. Ho ingoiato tutto fino alla fine e dopo il rutto che schiarisce le idee, ho deciso cosa si poteva fare e cosa no. Si poteva cancellare tutto il dramma con il silenzio di un corpo che penzola, mentre la famiglia s'impegna, tentando di aprire una porta ancora bloccata. Era domenica quando penzolavo dalla corda. Era domenica quando ho deciso che lasciare era meglio che restare. Era domenica quando gli altri parenti, arrivati in coro con dolci e spumante, hanno trovato una donna penzolante al posto di un pranzo fumante. Tròvati la tragedia, osserva il pianto di chi resta, e ti dirò chi sei stata. E come hai vissuto la tua vita. Ora sono libera da ogni maschera quotidiana, libera dal trucco impastato, libera dalle mezze verità e dalle bugie ossessionanti. Avrei dovuto fuggire fuori e non morire dentro. Ho deciso che nella mia cantina c'era il vero che mi avrebbe restituito la libertà. Corpo freddo, ormai. Donna, corda, sorriso libero e sereno. Chissà chi era. Chissà perché. Libera in una magica atmosfera. Libera in una cantina fredda e sincera.  

                                                                                                PAOLO GIANNATTASIO





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