domenica 15 maggio 2016

LA GIUSTA DOSE - Racconto di Monica Dini





(…) La vecchia signora non riusciva a dormire,
faceva i conti con il proprio numero periodico,
forse rendendosi conto adesso, di fronte a una notte angolosa,
che vivere è dividere numeri primi tra loro. (…)
Julio Monteiro Martins – L’Amore Scritto



In campagna la notte è più nera.
Nemmeno la luna adesso.
Una civetta canta.
Una vecchia conta.
Non hanno sonno.

Anna, Livia, Carlo del Bardo, Milvia, Alberto, Primino, Assunta. Quelli che stavano al Cerageto. Tutti morti.
La mia maestra, Licia Consoli. Aristide, Maria, Miretta, Alcide che andò in America. Costanza. Mario. I miei compagni di scuola.
Dino il prete che gli garbavano i maschi. Oreste il fascista. Mia madre e il suo alito di cipolla. Marta col labbro leporino. Lo zio Beppe. Il castagno davanti casa. Il cane-pecora che era di tutti.
Morti.
Mio padre. Mio marito. I miei fratelli di sangue e quelli di vita ancora più importanti. Il ciliegio nell’orto.
Spariti.

È stato il guizzo d’argento di un pesce.

Cosa faccio ancora qua?

Avevo quindici anni quando amavo Sirio dagli occhi verdi. Le orbite saranno vuote adesso.
La terra riempie le mancanze. Copre come cacao.
Sarai liquame. Oppure ossa.
Che importa.

Due rintocchi.
Chissà se la civetta parla di me.

Questa campana l’ascoltava anche mia nonna. Ma la civetta era un’altra.
Dall’altro lato del paese è rimasta Isolina. Con lei potrei confrontare i ricordi se non fosse rincitrullita.
Il cugino Alfredo?
Chissà che fine ha fatto.

Eravamo tutti lisci, colorati, immortali.

E i figli che non ho mai avuto?
E l’aborto di quando ero già vecchia?
Quanti bambini ho visto rinsecchire.

A cinquant’anni non sapevo di essere giovane.
A sessanta non sapevo di essere giovane.
A settanta non sapevo di essere giovane.
A ottanta non sapevo di essere giovane.
A ottantanove … adesso so che ero più giovane.

Tre rintocchi.

La vecchia deve orinare. Si mette su un fianco, vuole stringere qualcosa per tirarsi su, le dita torte dai dolori non obbediscono. Si impegna con i pugni, riesce a mettersi seduta. La luce di servizio nella presa ha stampata una farfalla gialla. Mostra i confini dell’intorno. La vecchia si stanca subito. Affanna sul bordo del letto. L’azzurro delle vene è scurito, le braccia puntellano il tronco. Allunga i piedi alternando piccole rotazioni del bacino. Arriva alle ciabatte. Si alza appoggiandosi ad una sedia. Scorreggia a lungo mentre lo fa. Si piscia un po’ addosso.

Bisogna vivere quanto basta. Fino a quando si riescono a contenere le scorregge.
Questo pensa mentre ciabatta verso il gabinetto. Con fatica si piega sul water reggendosi alla vasca da bagno.
Orinare, non cacarsi addosso. Non disgustare disgustandoti …

Si asciuga con la carta igienica.

… non sbavare. Non lasciare le ciabatte troppo lontane dal letto. Un mite disgusto è inevitabile.
Si è sciupato l’incarto e io sono dentro.

La vecchia pensa anche alla solitudine. Ma di quella non ne parla mai.
Si è comprata un pacchetto di plastilina. Cinque bastoncini colorati. La usa per esercitare le dita. E’ convinta che le faccia bene.
Anche di quello che non riesce più a fare non dice.

Si è alzato il vento.
La civetta non canta più.
La vecchia, seduta al tavolo, ammonticchia caccole colorate. Il gesto è quello di quando si chiacchiera e si fanno palline di pane. Invece pensa. Il vento alza la voce. Un tuono improvviso la coinvolge. Però, come un animale nella tana, non la scompongono i temporali. Pensa che ne ha visti tanti.
Si alza e con le braccia come ali per mantenersi in equilibrio, ciabatta fino alla cucina.
Per prendere il pentolino nella credenza, con la mano sinistra spinge il gomito destro. È per aiutare il braccio ad andare più in alto. E tenta un movimento, un riflesso dello stare in punta di piedi. Mette al fuoco l’acqua per la tisana. Camomilla, biancospino, arancia amara. Per trovare il sonno. Poi rassegnata torna di là e si rimette seduta ad aspettare. Adesso con la mano sinistra conforta la destra. L’accarezza. La guarda. E’ quella più dolorante.

Se stai attento lo capisci anche se non ne parla mai.

Il temporale adesso è sul tetto. Il vento scricchiola fra i rami.
La vecchia crede che l’acqua per la tisana sia calda abbastanza. Pesante si avvia.
Un tuono esplode.
La luce sparisce.
La vecchia sbanda.
Lontana dalla sedia. Lontana dalla luce del fornello.
Ha paura.
Agita le braccia in cerca di un appiglio. Si spinge in avanti. Il buio le ruba l’equilibrio.
Resiste un attimo.
Cade.
Sul pavimento la testa bianca schiocca.

Fuori c’è ancora il temporale. L’acqua bolle nel pentolino.

Non si sa quanto tempo passa. D’improvviso sbarra gli occhi nel buio. Si irrigidisce. Raccoglie le forze. Gratta con le unghie i commenti del pavimento. S’impegna con i gomiti. Farfuglia nel cercare lo slancio. Ricade.
Piange.

Il pentolino brucia sul fornello.
Il tuono vibra nei vetri.
Il freddo del pavimento consuma il calore del corpo. Scoraggia.

La vecchia ha la bocca incollata dalla saliva. Le orecchie allagate dalle lacrime. Un tremito potente la scuote.
Muoio. Questo sente.
Avrei tanto voluto vedere la Francia.

                                                                                                          MONICA DINI



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