(…) La vecchia
signora non riusciva a dormire,
faceva i conti con
il proprio numero periodico,
forse rendendosi
conto adesso, di fronte a una notte angolosa,
che vivere è
dividere numeri primi tra loro. (…)
Julio Monteiro
Martins – L’Amore Scritto
In campagna la notte è più nera.
Nemmeno la luna adesso.
Una civetta canta.
Una vecchia conta.
Non hanno sonno.
Anna, Livia, Carlo del Bardo, Milvia, Alberto,
Primino, Assunta. Quelli che stavano al Cerageto. Tutti morti.
La mia maestra, Licia Consoli. Aristide, Maria,
Miretta, Alcide che andò in America. Costanza. Mario. I miei compagni di
scuola.
Dino il prete che gli garbavano i maschi. Oreste il
fascista. Mia madre e il suo alito di cipolla. Marta col labbro leporino. Lo
zio Beppe. Il castagno davanti casa. Il cane-pecora che era di tutti.
Morti.
Mio padre. Mio marito. I miei fratelli di sangue e quelli
di vita ancora più importanti. Il ciliegio nell’orto.
Spariti.
È stato il guizzo d’argento di un pesce.
Cosa faccio ancora qua?
Avevo quindici anni quando amavo Sirio dagli occhi
verdi. Le orbite saranno vuote adesso.
La terra riempie le mancanze. Copre come cacao.
Sarai liquame. Oppure ossa.
Che importa.
Due rintocchi.
Chissà se la civetta parla di me.
Questa campana l’ascoltava anche mia nonna. Ma la
civetta era un’altra.
Dall’altro lato del paese è rimasta Isolina. Con lei
potrei confrontare i ricordi se non fosse rincitrullita.
Il cugino Alfredo?
Chissà che fine ha fatto.
Eravamo tutti lisci, colorati, immortali.
E i figli che non ho mai avuto?
E l’aborto di quando ero già vecchia?
Quanti bambini ho visto rinsecchire.
A cinquant’anni non sapevo di essere giovane.
A sessanta non sapevo di essere giovane.
A settanta non sapevo di essere giovane.
A ottanta non sapevo di essere giovane.
A ottantanove … adesso so che ero più giovane.
Tre rintocchi.
La vecchia deve orinare. Si mette su un fianco, vuole
stringere qualcosa per tirarsi su, le dita torte dai dolori non obbediscono. Si
impegna con i pugni, riesce a mettersi seduta. La luce di servizio nella presa ha
stampata una farfalla gialla. Mostra i confini dell’intorno. La vecchia si
stanca subito. Affanna sul bordo del letto. L’azzurro delle vene è scurito, le
braccia puntellano il tronco. Allunga i piedi alternando piccole rotazioni del
bacino. Arriva alle ciabatte. Si alza appoggiandosi ad una sedia. Scorreggia a
lungo mentre lo fa. Si piscia un po’ addosso.
Bisogna vivere quanto basta. Fino a quando si riescono
a contenere le scorregge.
Questo pensa mentre ciabatta verso il gabinetto. Con
fatica si piega sul water reggendosi alla vasca da bagno.
Orinare, non cacarsi addosso. Non disgustare
disgustandoti …
Si asciuga con la carta igienica.
… non sbavare. Non lasciare le ciabatte troppo lontane
dal letto. Un mite disgusto è inevitabile.
Si è sciupato l’incarto e io sono dentro.
La vecchia pensa anche alla solitudine. Ma di quella
non ne parla mai.
Si è comprata un pacchetto di plastilina. Cinque
bastoncini colorati. La usa per esercitare le dita. E’ convinta che le faccia
bene.
Anche di quello che non riesce più a fare non dice.
Si è alzato il vento.
La civetta non canta più.
La vecchia, seduta al tavolo, ammonticchia caccole
colorate. Il gesto è quello di quando si chiacchiera e si fanno palline di
pane. Invece pensa. Il vento alza la voce. Un tuono improvviso la coinvolge. Però,
come un animale nella tana, non la scompongono i temporali. Pensa che ne ha
visti tanti.
Si alza e con le braccia come ali per mantenersi in
equilibrio, ciabatta fino alla cucina.
Per prendere il pentolino nella credenza, con la mano
sinistra spinge il gomito destro. È per aiutare il braccio ad andare più in
alto. E tenta un movimento, un riflesso dello stare in punta di piedi. Mette al
fuoco l’acqua per la tisana. Camomilla, biancospino, arancia amara. Per trovare
il sonno. Poi rassegnata torna di là e si rimette seduta ad aspettare. Adesso
con la mano sinistra conforta la destra. L’accarezza. La guarda. E’ quella più
dolorante.
Se stai attento lo capisci anche se non ne parla mai.
Il temporale adesso è sul tetto. Il vento scricchiola
fra i rami.
La vecchia crede che l’acqua per la tisana sia calda
abbastanza. Pesante si avvia.
Un tuono esplode.
La luce sparisce.
La vecchia sbanda.
Lontana dalla sedia. Lontana dalla luce del fornello.
Ha paura.
Agita le braccia in cerca di un appiglio. Si spinge in
avanti. Il buio le ruba l’equilibrio.
Resiste un attimo.
Cade.
Sul pavimento la testa bianca schiocca.
Fuori c’è ancora il temporale. L’acqua bolle nel
pentolino.
Non si sa quanto tempo passa. D’improvviso sbarra gli
occhi nel buio. Si irrigidisce. Raccoglie le forze. Gratta con le unghie i
commenti del pavimento. S’impegna con i gomiti. Farfuglia nel cercare lo
slancio. Ricade.
Piange.
Il pentolino brucia sul fornello.
Il tuono vibra nei vetri.
Il freddo del pavimento consuma il calore del corpo.
Scoraggia.
La vecchia ha la bocca incollata dalla saliva. Le orecchie
allagate dalle lacrime. Un tremito potente la scuote.
Muoio. Questo sente.
Avrei tanto voluto vedere la Francia.
MONICA DINI
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