mercoledì 13 gennaio 2016

MI RACCONTA UN RACCONTO








UN RAGAZZO ALL'ANTICA


Il comico, essendo l’intuizione dell’assurdo,
mi sembra piú disperante che il tragico.
E. Ionesco
Mi sembra certo che lo sbocco normale per l’
erotismo è l’assassinio.
Julien Green
Madame Levardet: “Allora non ci sono donne oneste?”
De Ryons: “Ma sí! Piú di quelle che si crede,
meno di quelle che si dice.”
Dumas figlio


Nonostante l’impermeabile anonimo, il foulard stretto sui riccioli corvini e le scarpe basse, Rosarita incappia l’occhio scrutatore, valutativo, dei maschi dai quattordici ai settant’anni, e le non infrequenti espressioni – fra la scontrosità e l’invidia – di parecchie donne.
Si è rassegnata al repertorio colorito dei pappagalli, alle strombazzate di clacson, ai languidi abboccamenti di maturi ganimedi, alle tattiche di avvicinamento dei palpeggiatori da tram, alle gomitate che si scambiano i ragazzotti col chiodo e il sorriso beota sui denti cavallini.
Fa del suo meglio per ignorare le allusioni e le gentilezze appiccicose del meccanico, del postino, del barman, del geometra presso cui lavora per mantenersi a scienze delle comunicazioni, del vedovo a pianterreno dello stabile in cui abita con madre, prozia e fratello scapolo, dell’odontoiatra con gli occhi da pesce e le dita mollicce come intraprendenti lumache.
E l’elenco potrebbe protrarsi all’infinito.
Persino dalla ginecologa ha vissuto momenti d’imbarazzo: ma che scalogna! Proprio sotto una specialista con quelle inclinazioni lí doveva capitare?!?
Pensando alla sua vita, Rosarita vede tutta una serie di facce accaldate, di braccia tentacolari, di sorrisini sporchi, di ambigue o esplicite profferte, con voce scivolosa, unta… Niente romanticismo.
Ma tanti goffi o subdoli tentativi per ottenere quella certa cosa.
Scarso e artificioso sentimento, promesse esagerate e febbrili a schermo d’una voglia mangiona di sesso in quantità.
Rosarita ha smesso di leggere i tascabili rosa, da quando anche nelle loro pagine è subentrato l’erotismo eccessivo e di cattivo gusto.
Lei non è una bacchettona, né una complessata: preferisce sognare una lunga, delicata storia di casti approcci, di prove di sensibilità, di cauti programmi; una storia dove l’emozione affettiva sia autentica, forte, e l’unione carnale, coronamento legittimo dell’amore, avvenga soltanto alla fine, e non prima dell’altare.
Le amiche la compatiscono, sua madre si stizzisce.
Allora Rosarita ha deciso di confidarsi con nessun altro se non col cuore di Gesú e con il libriccino che costituisce una specie di ingenuo diario: nei suoi foglietti raccoglie pensieri, sospiri, ricopia distici, annota impressioni, rannicchia speranze.
Rosarita è fondamentalmente ottimista.














Prima o poi incontrerà il compagno che, sembra, nel mondo intorno a lei non c’è, e se anche ci fosse, apparirebbe a tutti ridicolo, anacronistico. A tutti, meno che a lei.
Per lei sarebbe perfetto. Appassionato, ma gentiluomo. Un ragazzo d’altri tempi. Un ragazzo all’antica.
Qualche anno prima Rosarita credette d’aver trovato il partner ideale. Ciro. Bassino, brunetto, carino. Con un’andatura a balzelloni, quasi si movesse su due molle. Cugino d’una sua amica, maestra di danza.
Ciro si presentava a lei con fiori eterei, versi orribili, ma tenerissimi, e un’aria da sprovveduto.
La conduceva in costiera con una decappottabile favolosi anni sessanta, le offriva cenette in ristorantini a strapiombo sul panorama scintillante, la ascoltava in perfetta adorazione, senza andare al di là del bacio o di un impacciatissimo, superficiale petting. Al punto che Rosarita aveva messo in discussione la sua avvenenza.
Possibile?
Aveva provato timidamente a tastare, in uno dei sempre piú diradati intermezzi cheek to cheek col morigerato Ciro, l’area del fallo, senza incontrare altro che le pieghe inappuntabili dei soffici pantaloni griffati Claude Montana.
Ogni dubbio cadde allorché, per un caso fortuito, Rosarita sorprese l’irreprensibile, ritegnoso fidanzato, concentratissimo nell’annuire, a bocca piena, con foga, in ginocchio davanti all’aitante garzone del fruttivendolo, nella complice penombra del retrobottega.











Pianse per tre giorni.
La batosta le lasciò una mandorla amara nel petto.
Bèh, adesso non ci pensa piú. Anzi, ha paura di essere felice. Perché forse le preghiere, la perseveranza, la sua fiducia nell’esistenza d’un ragazzo ammodo, sono state premiate. Un dono dell’anno nuovo.
Lui è speciale. Innanzitutto ha un doppio nome, Pietrantonio. Come il suo, Rosarita.
È un segno del destino.
Mille piccole cose li uniscono. Tanti dettagli apparentemente banali.
Pietrantonio non sopporeta le femmine arroganti e vampire, bombe a letto, ma rognose e prevaricatrici fuori.
Lui cerca una creatura intelligente, che all’occorrenza gli sappia tener testa, senza abdicare ai requisiti tradizionali della dedizione e del garbo. Una compagna generosa e lungimirante, di sani princípȋ. Vecchio stampo. Sul modello di sua madre e di sua nonna. Amanti, mogli e mamme ineccepibili, premurose col marito, attente ai figli, brave amministratrici di casa…e pervicaci quanto basta da non sacrificare la carriera. Nonna e mamma di Pietrantonio sono state biologa e procuratore legale.
Certo…scottata dall’esperienza con Ciro, Rosarita ha preso in tempo, stavolta, le sue precauzioni.
Nel corso delle preliminari, circoscritte effusioni con Pietrantonio, ha lasciato scivolare casualmente la mano sulla patta e…Acciderba! Altroché!
E Rosarita ha apprezzato assai che Pietrantonio non le abbia afferrato il polso, chiedendole tacitamente di soffermarsi in zona pericolo.
Dopo circa sei mesi di passeggiate, di visite ai musei, di spettacoli teatrali, di allegre puntatine alle sagre gastronomiche, di conversazioni telefoniche, di incantevoli picnic ai laghi, di scambi di regalini, di minute cortesie e di sfavillanti slanci emotivi, di meticolose seppur garbate indagini per una escursioncina nel reciproco passato, Rosarita ha confermato, in famiglia, la novità di questa promettente liaison in boccio. Tutti sono curiosi di conoscere l’identità della perla che avrebbe espugnato la fortezza, tutti sono ansiosi di vedere il volto del lancillotto che avrebbe disciolto la presupposta – e malignata – algidità dell’inarrivabile valchiria.
Dal canto suo, Pietrantonio stesso avverte l’esigenza di presentare alle zie d’Altavilla – le uniche parenti – questa inconsueta fanciulla dotata di rarissime qualità. Sicchè è stato fissato per quel tardo pomeriggio il primo passo: Rosarita verrà presentata ufficialmente alle zie Filina e Mafalda, nel palazzo padronale dei Frasca.
Di buon’ora Rosarita sbriga le faccende domestiche, somministra sciroppi e pillole alla mamma invalida, serve a letto il caffè allo sfaccendato Filippo e lo yogurt coi croccantini a zia Eliana; per la spesa c’è la Conad, comoda, vicina.
Sergio, il commesso piú sfrontato, perché è il piú bellino, finge di inciampare per strofinarlesi contro. Ma pazienza! Rosarita aggiunge agli alimenti nel carrello un pacchetto di frollini e due sacchetti di patatine Pai, che distribuisce, assieme a qualche spicciolo, agli zingarelli all’uscita dal supermercato.
Alla bancarella della fioraia acquista lumini e steariche, freschi garofani impettiti per l’altarino dei nonni e del papà che non ha potuto conoscere, quindi s’avvía per la sosta quotidiana presso Gesú Sacramentato.
Il pomeriggio lo dedica alla cura della persona. Shampoo, bagnoschiuma, pedicure, frizione con creme emollienti. Sceglie un vestitino con sottana svasata, color panna. Nei capelli intreccia una fascia di seta della stessa tonalità. Scarpe, trousse e soprabito sono blu marina. Unico gioiello, semplici orecchini di corallo. Gli occhi viola e la mantella color lucente della pettinatura la rendono irresistibile. Alla vanità, Rosarita ha concesso delle calze con la cucitura, un tocco di classe. È bellissima. L’eleganza, sobria. Pietrantonio si merita questa soddisfazione.
Pian piano se ne è innamorata. A conquistarla sono stati la signorilità di lui, il senso della misura, l’affidabilità e la sicurezza che irradia, il profilo importante, un fisico che scatta e guizza sotto il blazer o il completo Armani, lo sguardo aguzzo, sagace, disarcionante.
Rosarita si congratula per il controllo mantenuto: l’attrazione fisica che il suo uomo esercita su di lei le attorciglia il ventre. Pietrantonio è sempre stato preciso quanto un cronometro circa i limiti di orario di Rosarita, ma ancora una volta la ragazza preferisce essere autonoma: raggiunge fino a metà strada il fidanzato, smonta dalla Uno e s’infila nella Corvette metallizzata di lui. Il giovane abbozza un sorriso commosso ai deliziosi mazzolini di mammole che lei ha fatto confezionare per le anziane zie altavillesi. Un bacio. Che seppure a fil di labbra arroventa entrambi. Suo malgrado la ragazza accusa piú del solito quel morso allo stomaco.
Palazzo Frasca non è imponente come se l’era figurato dalle accurate descrizioni del compagno, tuttavia la facciata aristocratica non manca d’impressionarla. Ha la sensazione di essere trasportata in una favola: il castello, l’amore, il principe, le buone fate attempate. Acciderba! Pietrantonio le ha spiegato che il lato ovest è stato chiuso, temporaneamente, per essere riattato in quattro appartamentini da fittare, mentre l’ala est comprende l’immenso salone, la residenza delle zie, lo studio tecnico ed un ampio alloggio, regno privato del giovane architetto. L’arredamento spazia dallo stile Luigi XIV al Provenzale, include pezzi d’antiquariato assai quotati, ninnoli da collezionista, vetri di Murano, di monsieur Gallé. Folti tappeti, arazzi, specchi vetusti incastonati in cornici barocche d’oro zecchino, dipinti impressionisti in ciliegio smaltato.
L’ambiente è caldo, confortevole, non mette affatto in soggezione. Rosarita viene introdotta in un salotto dove il beige domina sul celeste e su spunti fucsia: fiori di stoffa, piante liofilizzate e vive soffocano appena appena, e appena appena fanno kitsch. La riproduzione della donna a cassetti di Dalí disturba e inquieta Rosarita.
Accetta con gratitudine il calice di cristallo col brachetto e brinda occhi negli occhi col galante ospite. Gli argenti ammiccano all’opalescenza di lampade indirette, di panciuti abat-jour d’atmosfera. Scorrono i minuti.
Delle zie, manco l’ombra.
Pietrantonio getta la maschera, prende tra pollice e indice il mento della ragazza, lo solleva con dolcezza, sconfitto dal perplesso splendore viola, dal nasino corrucciato.
Perdonami, amore mio. Volevo che quest’occasione fosse completamente nostra.”
Con un tuffo al cuore, Rosarita ricorre a un tentativo estremo. Le sue gambe sono terracotta.
Caro, sai come la penso. Finora è stato un rapporto meraviglioso. Anch’io ti desidero, ma è bene aspettare…”
“Tesoro, tesoro, io non ce la faccio, e neanche tu…”
“No…”
“Non resisto, non resisto piú...”
“È sbagliato! Non posso crederci…Tu…proprio tu…Il mio ragazzo ammodo…”
“Ti prego…”
“Oh…”
“Mia devi essere, mia…”
“Per carità…”
In un sogno, leggera leggera, non piú padrona della sua volontà, Rosarita s’abbandona: disillusa, tuttavia sempre meno riluttante, con crescente – e colpevole – arrendevolezza.
Egli la solleva tra le braccia come una sposa, la conduce in camera da letto, le sfila le calze, le bacia le caviglie, perso nella cocente devozione alla carne.
Ed ella si schermisce alla vista della ragguardevole prestanza di lui. Appena un lampo.










Sicché rovescia sulla schiena il maschio, ne impugna la virilità, lo cavalca come una levigata amazzone di Fidia, frusta il torace villoso, il collo, il volto con l’afra coltre della chioma selvaggia.
Le ore hanno rincorso le ore. È terribilmente tardi e Rosarita si preoccupa per le ansie della mamma, che ha già fatto trillare un paio di volte il cellulare. S’è fatta una doccia svelta e s’è rivestita col muso lungo, mentre Pietrantonio, soddisfatto e felice, indugia di là, nel bagno contiguo, godendosi un ritemprante relax nella vasca déco dalle zampette in ghisa e avorio.
“Sei stata straordinaria, amore mio” – gongola incredulo – “Voglio sposarti subito, entro il mese prossimo…”
Con la trousse sotto il braccio, scura in volto, Rosarita gli rivolge per l’ultima volta la parola, mentre infila i guanti.
“E tu sleale. Mi fidavo di te. E sbagliavo ancora.”
La giovane donna adocchia il rasoio elettrico sulla mensoletta accanto al lavabo.
“Perché voi maschi sapete essere solo dei porci, con noi ragazze?”
Infila la spina nella presa.
“Io sono romantica…Voglio essere corteggiata, ed arrivare a quel giorno con l’abito bianco, pura…”
Lascia cadere il rasoio ronzante nell’acqua schiumosa.

Che peccato.
Ha dovuto punire anche questo ragazzo.
Però è stato, per Pietrantonio e per tutti coloro che l’hanno preceduto –che come lui l’hanno vilmente ingannata – il giusto castigo, approvato da Gesú Sacramentato.
Ma, chissà!, forse domani andrà meglio. Forse domani incontrerà un ragazzo d’altri tempi, rispettoso, corretto. Un ragazzo all’antica.
Rosarita è fondamentalmente ottimista.
                                                                                                           
                                                                                       ARMANDO  SAVERIANO





























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