mercoledì 22 marzo 2017

GUSCIO DI NOCE



GENNARO IANNARONE E IL RAMO D’ORO







GUSCIO DI NOCE di Gennaro Iannarone, col suo getto di ciliegio sbalzato dal verde, completa, ma non chiude, l’affresco carico di colorazioni e ricco di penombre, punteggiato di osservazioni, che costituiscono un piccolo ramo d’oro personale e poetico, con un suo folklore privato, uno sbuffo di magia e di religione, di sacralità e di vis drammatica stemperata nell’incanto del vivere e nell’ancestrale alitare della finitudine, come rapsodia di un unico organismo di pensiero, che accoglie il mito, la filosofia, la visione interpretativa di uno spirito ora eruttivo ora carezzevole, ora incline allo struggimento ora burattinaio di rimembranze dalle profonde regioni di esperienze transfughe dei limiti temporali che noi stessi inventiamo.
Pare far suo, dalle 20 liriche di “Vivere balenando in burrasca” alle 40 di “Quel foulard giallo-nero”, alle altrettante di “Guscio di noce”, il famoso passaggio di Charles Baudelaire da “Lo Spleen di Parigi”: “Il poeta gode l’incomparabile privilegio di essere se stesso e altrui, a suo piacimento. Come le anime erranti in cerca di un corpo, entra quando gli piace in qualsivoglia personaggio. Per lui soltanto tutto è vacante; e se sembra che certi posti gli siano preclusi, è perché ai suoi occhi non sono degni di essere visitati.”
Ecco che qui ripronuncia il mito (e le figure) di Atteone e di Anthea al seguito di Artemide (‘Anthea’), o in ‘Casa avita’ si lascia rapire dai volti di Beethoven, di Montale e di un alienato dallo sguardo selvaggio ed estraneo, che compare in un dipinto di Alessandro Kokocinskj. L’empatia lo induce quasi alla transferialità in “una colombina in gabbia fuor della vetrata” (‘Colombina’) o nel fiero e immite ‘cane che soffri l’asfissia dello spazio’ in ‘Dobermann’. Ma l’estatica-estetizzante empatia del poeta s’insustanzia e si esprime in un testo importante da non generalizzare, magari sottovalutandolo, ‘Dolente bellezza’, perché racchiude un concetto fondamentale che bisogna, facendo appello alla sensibilità personale, saper cogliere ed accogliere: lo studio della bellezza, ed i suoi effetti straordinari. In ‘Dolente bellezza’, dédiée alla morte di Umberto Eco, ma in realtà scaturita da una riflessione ancora di Charles Baudelaire, una sorta di coordinata conoscitiva rimontante e precisa, Iannarone adopera un filtro percettivo sia emotivo sia intellettuale, movendosi in direzione della verità, che è uno dei compiti, una delle funzioni della poesia quale organismo vivo. Parla della contemplazione della tristezza, Iannarone, che non è uno status transitorio ma diventa una categoria dello spirito, se infatti compariamo la penna del giudice-poeta con il graffio uncinante dell’autore di Inno alla bellezza (da ‘I Fiori del Male’) e dei sanguigni, raddensati passaggi di ‘Opere Postume’: “ Lo studio della bellezza è un duello”, “…la malinconia è della bellezza, per così dire, la nobile compagna, al punto che non so concepire un tipo di bellezza che non abbia in sé il dolore”. Questa oscillazione di bellezza-struggimento, di bellezza-gioiosa-sofferenza si evince ancora in ‘Felicità’, nell’eccellente strappo mnestico di ‘Giocattoli a corda’ e nello stesso morceau lirico che dà titolo alla raccolta ‘Guscio di noce’. La ritroviamo, puntuale, in ‘Labirinto della vita’, carezzevole e patente, o, convulsiva, nel distico ‘La Compagna vecchiaia’. Albert Camus sosteneva che le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza, sia essa gioiosa e/o malinconica, e nella rivoluzione della sua vita, che lo ha portato a recidere il cordone ombelicale della magistratura per accogliere l’eliconeo amplesso delle Muse, Gennaro Iannarone ha avuto bisogno della ‘molteplicità nell’unità’ che contempla intreccio di bellezza/tristezza, per parafrasare la definizione di Samuel Taylor Coleridge, o il riferimento alla ‘gravità’ della bellezza di Anton Cechov ne ‘Il Gabbiano’, benché il bello, a prima lieve analisi, abbia l’apparenza di ‘un’aria facile’, per sintetizzare un’uscita di Jean Cocteau. Un non immediato senso di bellezza necrotica, amarognola, si può rintracciare in modo che sembrerà ai più controverso, nella strofa tanto raggelante quanto, contemporaneamente, ammantata di simbolismo puro e di amore cristallino di ‘Visita in sogno’, dedicata alla prima moglie, Liliana; o al romanticismo di fascia tardo-scapigliata nella percettiva strofa di ‘Unico eterno amore’. Momenti contrapposti dai lampi di luce in ‘Traversa Tuoro’, dove il poeta allude ai palpiti iniziali di reciproco trasporto tra lui e la seconda moglie-musa Anna.
Iannarone ha un suo modo di esprimere il mondo e di esprimersi nel mondo che –questo è l’aspetto veramente inconfutabile– fa risonare di passione, intelletto e grazia, in un intreccio metabolizzante che preannuncia un vicino ma ancora incalcolabile approdo, il fremito di un verso nobile che segna la via, ricongiunge disordinate convivenze di sensibilità sparsa, la bella ispirazione sorretta dalla lingua acuta, in ricchezza e libertà che incontrano o reinventano le riprese realistiche, le intuizioni epifaniche, l’assedio di nostalgie, di efelidi di sogno, le pulsioni che respingono la logica e vorrebbero affidarsi all’entropia sia pure per un istante durevole per l’eternità, e ritratti acquerellati, di una delicatezza che trova nel perlaceo più che nel seppia la peculiarità di un veloce tirocinio del talento in nuce. Per anni, infatti, in interiore homine, il giudice ha sedimentato, ha fecondato e gemmato il feto poetico, affinché, nei tempi maturati, si delineasse perfettamente e con un’armonia dalla duplice irradiazione (semantica ed emozionale) un autoritratto che mai condanna e non sempre assolve, che rivede o ritocca o rinnega le certezze all’ombra e alla luce di accenti imprevisti, non più correo dell’astensione dal rivelare/rivelarsi e della solitudine di un poièo inespresso, incatenato alla rupe di Prometeo. Azzarderei persino che, nell’ambito della bifocalità dell’opera, Guscio di noce attesta anche più di Vivere balenando in burrasca e di Quel foulard giallo-nero l’appartenenza identitaria nel merito di quel fusto immortale della passione civile e culturale, della rivalutazione mnestica, del metaforeggiare la rincorsa ad una verità che esiste e non si dice, ma si dichiara essa stessa, stroncando la tentazione del silenzio, e ridefinendo il concetto del pudore e del gusto per una trasgressione, che, come l’erotismo, deve avere non necessariamente l’irruenza, ma l’erosione persistente ed elegante della tenuità. Iannarone ha risolto (privilegio riservato a pochi o conquista arrisa ai tenaci puri) il conflitto assediante e ossimorico della dulcedine e dell’amaritudine: dolce piacere dell’ars sublime-sublimante-subliminale contrapposto all’acre rattraente della realtà scabra (che pure rivendica legittima ratio di essere e di esigere); né edonista nel senso comune, il poeta, né intransigente, rigido fautore di quello che la psicoanalisi definisce principio della realtà. Semmai Iannarone è nemico del moraleggiante ed apodittico dover essere, ma benaccogliente del più saggio e salvifico ‘diventate quello che siete’. Giudice senz’altro, ma contemporaneamente poeta. E chiarificante nel suo disarmare, il testo esplicito di ‘Nascita di una poesia’: ‘Sei rimasta per una vita intera estranea al mio pensiero/che sol freddo raziocinio incasellava in ogni suo scritto./Né un volo della fantasia, né lo slancio di una passione cadevano sulle bianche pagine…// Sol or m’avvedo, ripercorrendo il passato, che tuttavia un seme era caduto impercettibilmente nel mio fondale…’. Correlata alla successiva, bellissima ‘Poesia tardiva’, che fa esclamare una lagnanza e un rimpianto che s’assommano in un angolare rammarico, un regret, un bedauern, che nel doppiofondo cela un timeo plausibile: ‘Sei venuta troppo tardi a farmi visita; ora che quasi/tutta è scorsa la vita temo che al nostro amor senile/ non basti il tempo per spegnere l’ardore che dentro/si è acceso di osservare la vita con una lente nuova…’. E si badi che un altro sottofondo, una parallela sottotraccia è l’esercizio scaramantico che esorcizza la prospettiva di un improvviso e disgraziato strangolamento della Musa ‘visitatrice intempestiva’, mentre essa ha al contrario obbedito all’opportuna circostanza, al momento favorevole, né prematura né protratta troppo oltre. C’è da aggiungere un ulteriore tassello che richiama con eclatante chiarezza un numinoso fil rouge, capace di attraversare elettricamente l’intera opera Guscio di noce; questo fil rouge ha diverse accezioni poiché rappresenta un nuovo inizio, una più rosata alba, il sorprendente avvistamento di “novae terrae” in un universo compresente e alternativo: la poesia e l’approdo ad essa è stato facilitato – ed anzi consentito – dalla irruzione inattesa e piacevolissima di una Arianna in parte salvifica e in parte ispiratrice di quel bandolo che contiene l’occhio veggente del poeta purificato, che ancora la incastona nello splendido verso finale in “Nascita di una poesia” (…o in loro mutato avea l’amore l’antica vision del mondo”). Ancora una volta a reggere l’estremità di questo filo portentoso è la figura simbolica (Arianna) e nello stesso tempo concreta della seconda moglie Anna, virtuosa sostenitrice di una creazione sublime, iniziata con Vivere balenando in burrasca. E si può essere poeta per un battito di ciglio con un grappolo di versi e non poeta per una vita con una produzione magna che si rivela apocalissi di vuoto o di superfluo. Se volessimo misticheggiare potremmo azzardare che una hybris –provvidenziale e beffarda– è intervenuta a colpire, a punire Iannarone maȋtre à juger, dandogli opportunità di espiazione nella magnifica trasformazione in maȋtre en faire des vers. E ha in tal senso operato solo quando il poeta in divenire è stato pronto a rivelarsi compiuto. Il destino ha voluto, benigno al massimo, gratificare le attese del padre magistrato, spirito integerrimo e razionalizzatore, e premiare le intrinseche potenzialità creative del figlio allegorico operaio di sogni, metalinguista aggrappato alle esigenze trasversali di una diversa educazione intellettuale, priva di gabbiature o di passaggi obbligati. Esente dal cilicio della necessità delle regole. Illuminante è ‘Vita e Destino’, una seconda (pregnante, eloquentissima) ‘lettera al padre’, dopo la testimonianza assolutamente unica di verità, autocoscienza e intelligenza de ‘Il Destino e l’Anima’, virtuale respiro di poemetto in Vivere balenando in burrasca. Ed entrambi li si colleghi a ‘Portale dell’Epifania’, rammemorazione pulsante della prima notte del solstizio d’inverno del 1993, data scolpita dalla scomparsa dell’adorato genitore.
Ma in Guscio di noce rilevanza hanno gli aspetti spirituali e un ardore amoroso che propone un eros ingentilito dal garbo connaturato nella personalità del nobiluomo e nell’aulico tunnel parallelo della mediazione intellettuale; Spiritus autem vivificat, afferma San Paolo nei ‘Corinzi’. E per quanto attiene all’Eros, secondo Georges Bataille, si può affermare che esso è l’approvazione della vita fin dentro la morte.
L’assunzione di valori e contenuti spirituali ha preminenza non solo filosofica: attesta un graduale iter formativo, in rapporto all’assoluto, da un lato affermante il fondamento della metafisica, dall’altro –pur conservando il turgore e la rifrazione di corrente di pensiero– rivelatrice di quello spiritus ubi vult spirat, assunto del Vangelo di San Giovanni: chiunque è nato dallo spirito cristiano ed interiormente rinasce a conferma di sé (forte il paragone del vento, di cui si ode la voce ma di cui non si sa da dove venga e dove vada). Iannarone non si distacca dalla realtà effettuale ma mostra la tendenza a spiritualizzare passioni e sentimenti nell’arte (musica, pittura, poesia, teatro), non senza orientamenti di fede. Fede, religiosità, spiritualismo che non temono, anzi dichiarano e ostentano scosse alla tradizione, rasentando la provocazione di un ragionato anticonformismo nel cortocircuitante, geniale e rivoltoso ‘Jesus, my God’, che si chiude nel meraviglioso e clamoroso: “Il buio del Sepolcro fu squarciato da divine fiammate,/ che ti sospinsero in alto, o sublime figura, e nella luce/ dell’alba più radiosa fu tutta tua la vittoria sulla morte.”  Un Gesù Cristo splendidamente ribelle, orgoglioso di essere nato da donna, maturante una gloria non subalterna al Padre Celeste, “putativo, come nella profondità dell’animo lo/sentivi Tu, Figlio dell’uomo…”. Iannarone è fuor d’ogni dubbio intemerato e libero, in questa dichiarazione, con siffatta tesi, che nella migliore delle ipotesi può suscitare perplessità, e nella peggiore sbigottimento. Ma la Poesia è fondata sull’audacia, sulla provocazione, sull’anticonvenzionalità, sulla libertà e sullo stupore, e Iannarone, giudice già controcorrente, è poeta conduttore di fulminante verità, se vogliamo tutti tener conto che, dall’assunto di Konrad Fiedler, “lo stupore è il primo inizio dell’arte come della filosofia”!
Nient’affatto secondarie le pagine belle riservate all’aspetto amoroso, all’eros raffinato e affiorante, allegorico come dovrebbe essere soprattutto in POESIA. Iannarone descrive e decanta l’amour et les femmes non per gratificazione personale, ma come tema portante che definisce le modalità interpretative della vita. La poetica di Guscio di noce è potenziata dall’elemento amoroso che non è aspetto di retroguardia o semplicistico accessorio nella mappatura generale: non interlocutorie né decorative risultano ‘Tre fanciulle intorno al cor mi son venute’, o la rovente, boccaccesca ‘Memoria felice’, o la stessa ‘Guscio di noce’, delicatissima e assertiva. E se kairòs, definito da Giovanni Giudici ‘evento eccezionale’, conferma l’irripetibilità della poesia nei suoi purissimi schemi, Gennaro Iannarone, in questo trittico concatenato e opportunamente assemblato in cofanetto, tiene aperte le strade della realtà, delle esperienze, del passato, delle aspirazioni e del sogno, non oppone divieto d’accesso alla fantasia, corollario di completezza e di sense of wonder (si legga la magnifica apertura di Guscio di noce degnissimamente rappresentata dal globalizzante ‘Amori celesti’), quindi ci fa munifico dono di una propulsione espressiva di rara efficacia e di incontestabile attrait.

                                                                                            ARMANDO SAVERIANO



GENNARO IANNARONE - GUSCIO DI NOCE - SCUDERI EDITRICE 2017 - PP 64 - EURO 13,00




GIOCATTOLI A CORDA

Mi raccomandavi di non scoppiare a piangere quando
il motociclista con sidecar che correva veloce sotto il
tavolo, girava fra le sedie, cambiava direzione a ogni
urto mentre lo rincorrevo battendo le mani di allegria,
si sarebbe d’improvviso fermato. La sua corda durava
poco tempo, solo un sogno che non si arrestasse mai.
Poi vennero i motociclisti a batteria, e appresso quelli
telecomandati, ma non mi son mai sentito un bambino
sfortunato per essere vissuto all’epoca dei giocattoli a
corda. Caricarlo girando fino in fondo la sua chiavetta
nera dietro la schiena, vederlo scarrozzare nella stanza
la mia gran gioia rinnovava, come se la sua vita da me
dipendesse. Gli carezzavo il casco prima che ripartisse.


*

GUSCIO DI NOCE

Non avverte intorno a sé festosità di primavera
un ciliegio fiorito a lato del viale, non lo guarda
l’ospite che arriva triturando pietrisco e polvere.
Qui non c’è cuore triste, eppure gli animi vivono
ciascuno per proprio conto, come in un guscio di
noce aperto il frutto ancora intero con i ventricoli
distaccati. Stanno bene così, nella gioia invisibile
di un pensiero antico che ancor li avvince. Amore
non si donano i due cani, che talvolta litigano per
via di una cuccia al sole, poi si scambiano carezze
meravigliose. Con filosofia è buona una prigionia.


GENNARO IANNARONE




Gennaro Iannarone

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