GENNARO
IANNARONE E IL RAMO D’ORO
GUSCIO DI NOCE di Gennaro
Iannarone, col suo getto di ciliegio sbalzato dal verde, completa, ma non
chiude, l’affresco carico di colorazioni e ricco di penombre, punteggiato di
osservazioni, che costituiscono un piccolo ramo
d’oro personale e poetico, con un suo folklore privato, uno sbuffo di magia
e di religione, di sacralità e di vis drammatica stemperata nell’incanto del
vivere e nell’ancestrale alitare della finitudine, come rapsodia di un unico
organismo di pensiero, che accoglie il mito, la filosofia, la visione
interpretativa di uno spirito ora eruttivo ora carezzevole, ora incline allo
struggimento ora burattinaio di rimembranze dalle profonde regioni di
esperienze transfughe dei limiti temporali che noi stessi inventiamo.
Pare far suo, dalle 20
liriche di “Vivere balenando in burrasca” alle 40 di “Quel foulard
giallo-nero”, alle altrettante di “Guscio di noce”, il famoso passaggio di
Charles Baudelaire da “Lo Spleen di Parigi”: “Il poeta gode l’incomparabile privilegio di essere se stesso e altrui,
a suo piacimento. Come le anime erranti in cerca di un corpo, entra quando gli
piace in qualsivoglia personaggio. Per lui soltanto tutto è vacante; e se
sembra che certi posti gli siano preclusi, è perché ai suoi occhi non sono degni
di essere visitati.”
Ecco che qui ripronuncia
il mito (e le figure) di Atteone e di Anthea al seguito di Artemide (‘Anthea’),
o in ‘Casa avita’ si lascia rapire dai volti di Beethoven, di Montale e di un alienato
dallo sguardo selvaggio ed estraneo, che compare in un dipinto di Alessandro
Kokocinskj. L’empatia lo induce quasi alla transferialità in “una colombina in gabbia fuor della vetrata”
(‘Colombina’) o nel fiero e immite ‘cane
che soffri l’asfissia dello spazio’ in ‘Dobermann’. Ma l’estatica-estetizzante
empatia del poeta s’insustanzia e si
esprime in un testo importante da non generalizzare, magari sottovalutandolo,
‘Dolente bellezza’, perché racchiude un concetto fondamentale che bisogna,
facendo appello alla sensibilità personale, saper cogliere ed accogliere: lo
studio della bellezza, ed i suoi effetti straordinari. In ‘Dolente bellezza’,
dédiée alla morte di Umberto Eco, ma in realtà scaturita da una riflessione
ancora di Charles Baudelaire, una sorta di coordinata conoscitiva rimontante e
precisa, Iannarone adopera un filtro percettivo sia emotivo sia intellettuale,
movendosi in direzione della verità, che è uno dei compiti, una delle funzioni
della poesia quale organismo vivo.
Parla della contemplazione della
tristezza, Iannarone, che non è uno status transitorio ma diventa una
categoria dello spirito, se infatti compariamo la penna del giudice-poeta con
il graffio uncinante dell’autore di Inno
alla bellezza (da ‘I Fiori del Male’) e dei sanguigni, raddensati passaggi
di ‘Opere Postume’: “ Lo studio della
bellezza è un duello”, “…la malinconia è della bellezza, per così dire, la
nobile compagna, al punto che non so concepire un tipo di bellezza che non
abbia in sé il dolore”. Questa oscillazione di bellezza-struggimento, di
bellezza-gioiosa-sofferenza si evince ancora in ‘Felicità’, nell’eccellente
strappo mnestico di ‘Giocattoli a corda’ e nello stesso morceau lirico che dà
titolo alla raccolta ‘Guscio di noce’. La ritroviamo, puntuale, in ‘Labirinto
della vita’, carezzevole e patente, o, convulsiva,
nel distico ‘La Compagna vecchiaia’. Albert Camus sosteneva che le rivoluzioni
hanno bisogno della bellezza, sia essa gioiosa e/o malinconica, e nella
rivoluzione della sua vita, che lo ha portato a recidere il cordone ombelicale
della magistratura per accogliere l’eliconeo amplesso delle Muse, Gennaro
Iannarone ha avuto bisogno della ‘molteplicità nell’unità’ che contempla
intreccio di bellezza/tristezza, per parafrasare la definizione di Samuel
Taylor Coleridge, o il riferimento alla ‘gravità’ della bellezza di Anton
Cechov ne ‘Il Gabbiano’, benché il bello, a prima lieve analisi, abbia
l’apparenza di ‘un’aria facile’, per sintetizzare un’uscita di Jean Cocteau. Un
non immediato senso di bellezza necrotica, amarognola, si può rintracciare in
modo che sembrerà ai più controverso, nella strofa tanto raggelante quanto,
contemporaneamente, ammantata di simbolismo puro e di amore cristallino di
‘Visita in sogno’, dedicata alla prima moglie, Liliana; o al romanticismo di
fascia tardo-scapigliata nella percettiva strofa di ‘Unico eterno amore’.
Momenti contrapposti dai lampi di luce in ‘Traversa Tuoro’, dove il poeta
allude ai palpiti iniziali di reciproco trasporto tra lui e la seconda
moglie-musa Anna.
Iannarone ha un suo modo
di esprimere il mondo e di esprimersi nel mondo che –questo è l’aspetto
veramente inconfutabile– fa risonare di passione, intelletto e grazia, in un
intreccio metabolizzante che preannuncia un vicino ma ancora incalcolabile
approdo, il fremito di un verso nobile che segna la via, ricongiunge
disordinate convivenze di sensibilità sparsa, la bella ispirazione sorretta
dalla lingua acuta, in ricchezza e libertà che incontrano o reinventano le
riprese realistiche, le intuizioni epifaniche, l’assedio di nostalgie, di
efelidi di sogno, le pulsioni che respingono la logica e vorrebbero affidarsi
all’entropia sia pure per un istante durevole per l’eternità, e ritratti
acquerellati, di una delicatezza che trova nel perlaceo più che nel seppia la
peculiarità di un veloce tirocinio del talento in nuce. Per anni, infatti, in
interiore homine, il giudice ha sedimentato, ha fecondato e gemmato il feto
poetico, affinché, nei tempi maturati, si delineasse perfettamente e con
un’armonia dalla duplice irradiazione (semantica ed emozionale) un autoritratto
che mai condanna e non sempre assolve, che rivede o ritocca o rinnega le
certezze all’ombra e alla luce di accenti imprevisti, non più correo
dell’astensione dal rivelare/rivelarsi e della solitudine di un poièo inespresso, incatenato alla rupe
di Prometeo. Azzarderei persino che, nell’ambito della bifocalità dell’opera, Guscio di noce attesta anche più di Vivere balenando in burrasca e di Quel foulard giallo-nero l’appartenenza
identitaria nel merito di quel fusto immortale della passione civile e
culturale, della rivalutazione mnestica, del metaforeggiare la rincorsa ad una
verità che esiste e non si dice, ma si dichiara essa stessa, stroncando la
tentazione del silenzio, e ridefinendo il concetto del pudore e del gusto per
una trasgressione, che, come l’erotismo, deve avere non necessariamente
l’irruenza, ma l’erosione persistente ed elegante della tenuità. Iannarone ha
risolto (privilegio riservato a pochi o conquista arrisa ai tenaci puri) il
conflitto assediante e ossimorico della dulcedine e dell’amaritudine: dolce
piacere dell’ars sublime-sublimante-subliminale contrapposto all’acre
rattraente della realtà scabra (che pure rivendica legittima ratio di essere e di esigere); né
edonista nel senso comune, il poeta, né intransigente, rigido fautore di quello
che la psicoanalisi definisce principio
della realtà. Semmai Iannarone è nemico del moraleggiante ed apodittico dover essere, ma benaccogliente del più
saggio e salvifico ‘diventate quello che
siete’. Giudice senz’altro, ma contemporaneamente poeta. E chiarificante
nel suo disarmare, il testo esplicito di ‘Nascita di una poesia’: ‘Sei rimasta per una vita intera estranea al
mio pensiero/che sol freddo raziocinio incasellava in ogni suo scritto./Né un
volo della fantasia, né lo slancio di una passione cadevano sulle bianche
pagine…// Sol or m’avvedo, ripercorrendo il passato, che tuttavia un seme era
caduto impercettibilmente nel mio fondale…’. Correlata alla successiva,
bellissima ‘Poesia tardiva’, che fa esclamare una lagnanza e un rimpianto che
s’assommano in un angolare rammarico, un regret,
un bedauern, che nel doppiofondo cela
un timeo plausibile: ‘Sei venuta troppo tardi a farmi visita; ora
che quasi/tutta è scorsa la vita temo che al nostro amor senile/ non basti il
tempo per spegnere l’ardore che dentro/si è acceso di osservare la vita con una
lente nuova…’. E si badi che un altro sottofondo, una parallela
sottotraccia è l’esercizio scaramantico che esorcizza la prospettiva di un
improvviso e disgraziato strangolamento della Musa ‘visitatrice intempestiva’,
mentre essa ha al contrario obbedito all’opportuna circostanza, al momento
favorevole, né prematura né protratta troppo oltre. C’è da aggiungere un
ulteriore tassello che richiama con eclatante chiarezza un numinoso fil rouge, capace di attraversare
elettricamente l’intera opera Guscio di noce; questo fil rouge ha diverse accezioni poiché rappresenta un nuovo inizio,
una più rosata alba, il sorprendente avvistamento di “novae terrae” in un universo compresente e alternativo: la poesia e
l’approdo ad essa è stato facilitato – ed anzi consentito – dalla irruzione
inattesa e piacevolissima di una Arianna in parte salvifica e in parte
ispiratrice di quel bandolo che contiene l’occhio veggente del poeta purificato,
che ancora la incastona nello splendido verso finale in “Nascita di una poesia”
(…o in loro mutato avea l’amore l’antica
vision del mondo”). Ancora una volta a reggere l’estremità di questo filo
portentoso è la figura simbolica (Arianna) e nello stesso tempo concreta della
seconda moglie Anna, virtuosa sostenitrice di una creazione sublime, iniziata
con Vivere balenando in burrasca. E si può essere poeta per un battito di
ciglio con un grappolo di versi e non poeta per una vita con una produzione magna
che si rivela apocalissi di vuoto o di superfluo. Se volessimo misticheggiare
potremmo azzardare che una hybris –provvidenziale
e beffarda– è intervenuta a colpire, a punire
Iannarone maȋtre à juger, dandogli
opportunità di espiazione nella
magnifica trasformazione in maȋtre en
faire des vers. E ha in tal senso operato solo quando il poeta in divenire è stato pronto a rivelarsi
compiuto. Il destino ha voluto, benigno al massimo, gratificare le attese del
padre magistrato, spirito integerrimo e razionalizzatore, e premiare le intrinseche potenzialità
creative del figlio allegorico operaio di
sogni, metalinguista aggrappato alle esigenze trasversali di una diversa
educazione intellettuale, priva di gabbiature o di passaggi obbligati. Esente
dal cilicio della necessità delle regole. Illuminante è ‘Vita e Destino’, una
seconda (pregnante, eloquentissima) ‘lettera al padre’, dopo la testimonianza
assolutamente unica di verità, autocoscienza e intelligenza de ‘Il Destino e
l’Anima’, virtuale respiro di poemetto in Vivere
balenando in burrasca. Ed entrambi li si colleghi a ‘Portale
dell’Epifania’, rammemorazione pulsante della prima notte del solstizio
d’inverno del 1993, data scolpita dalla scomparsa dell’adorato genitore.
Ma in Guscio di noce rilevanza hanno gli
aspetti spirituali e un ardore amoroso che propone un eros ingentilito dal
garbo connaturato nella personalità del nobiluomo e nell’aulico tunnel
parallelo della mediazione intellettuale; Spiritus
autem vivificat, afferma San Paolo nei ‘Corinzi’. E per quanto attiene
all’Eros, secondo Georges Bataille, si può affermare che esso è l’approvazione
della vita fin dentro la morte.
L’assunzione di valori e
contenuti spirituali ha preminenza non solo filosofica: attesta un graduale
iter formativo, in rapporto all’assoluto, da un lato affermante il fondamento
della metafisica, dall’altro –pur conservando il turgore e la rifrazione di
corrente di pensiero– rivelatrice di quello spiritus
ubi vult spirat, assunto del Vangelo di San Giovanni: chiunque è nato dallo
spirito cristiano ed interiormente rinasce a conferma di sé (forte il paragone
del vento, di cui si ode la voce ma di cui non si sa da dove venga e dove
vada). Iannarone non si distacca dalla realtà effettuale ma mostra la tendenza
a spiritualizzare passioni e sentimenti nell’arte (musica, pittura, poesia,
teatro), non senza orientamenti di fede. Fede, religiosità, spiritualismo che
non temono, anzi dichiarano e ostentano scosse alla tradizione, rasentando la
provocazione di un ragionato anticonformismo nel cortocircuitante, geniale e rivoltoso ‘Jesus, my God’, che si chiude
nel meraviglioso e clamoroso: “Il buio
del Sepolcro fu squarciato da divine fiammate,/ che ti sospinsero in alto, o
sublime figura, e nella luce/ dell’alba più radiosa fu tutta tua la vittoria sulla morte.” Un Gesù Cristo splendidamente ribelle, orgoglioso di essere nato da
donna, maturante una gloria non subalterna al Padre Celeste, “putativo, come nella profondità dell’animo lo/sentivi Tu, Figlio dell’uomo…”.
Iannarone è fuor d’ogni dubbio intemerato e libero, in questa dichiarazione,
con siffatta tesi, che nella migliore delle ipotesi può suscitare perplessità,
e nella peggiore sbigottimento. Ma la Poesia è fondata sull’audacia, sulla
provocazione, sull’anticonvenzionalità, sulla libertà e sullo stupore, e Iannarone,
giudice già controcorrente, è poeta conduttore di fulminante verità, se
vogliamo tutti tener conto che, dall’assunto di Konrad Fiedler, “lo stupore è
il primo inizio dell’arte come della filosofia”!
Nient’affatto secondarie
le pagine belle riservate all’aspetto amoroso, all’eros raffinato e affiorante,
allegorico come dovrebbe essere
soprattutto in POESIA. Iannarone
descrive e decanta l’amour et les femmes
non per gratificazione personale, ma
come tema portante che definisce le
modalità interpretative della vita. La poetica di Guscio di noce è potenziata dall’elemento amoroso che non è aspetto
di retroguardia o semplicistico accessorio
nella mappatura generale: non interlocutorie né decorative risultano ‘Tre
fanciulle intorno al cor mi son venute’, o la rovente, boccaccesca ‘Memoria
felice’, o la stessa ‘Guscio di noce’, delicatissima e assertiva. E se kairòs, definito da Giovanni Giudici
‘evento eccezionale’, conferma l’irripetibilità della poesia nei suoi purissimi
schemi, Gennaro Iannarone, in questo trittico concatenato e opportunamente
assemblato in cofanetto, tiene aperte le strade della realtà, delle esperienze,
del passato, delle aspirazioni e del sogno, non oppone divieto d’accesso alla
fantasia, corollario di completezza e di sense
of wonder (si legga la magnifica apertura di Guscio di noce degnissimamente rappresentata dal globalizzante
‘Amori celesti’), quindi ci fa munifico dono di una propulsione espressiva di
rara efficacia e di incontestabile attrait.
ARMANDO SAVERIANO
GENNARO
IANNARONE - GUSCIO DI NOCE - SCUDERI EDITRICE 2017 - PP 64 - EURO 13,00
GIOCATTOLI
A CORDA
Mi raccomandavi di non scoppiare a piangere quando
il
motociclista con sidecar che correva veloce sotto il
tavolo,
girava fra le sedie, cambiava direzione a ogni
urto
mentre lo rincorrevo battendo le mani di allegria,
si
sarebbe d’improvviso fermato. La sua corda durava
poco
tempo, solo un sogno che non si arrestasse mai.
Poi
vennero i motociclisti a batteria, e appresso quelli
telecomandati,
ma non mi son mai sentito un bambino
sfortunato
per essere vissuto all’epoca dei giocattoli a
corda.
Caricarlo girando fino in fondo la sua chiavetta
nera
dietro la schiena, vederlo scarrozzare nella stanza
la
mia gran gioia rinnovava, come se la sua vita da me
dipendesse.
Gli carezzavo il casco prima che ripartisse.
*
GUSCIO
DI NOCE
Non avverte intorno a sé festosità di primavera
un
ciliegio fiorito a lato del viale, non lo guarda
l’ospite
che arriva triturando pietrisco e polvere.
Qui
non c’è cuore triste, eppure gli animi vivono
ciascuno
per proprio conto, come in un guscio di
noce
aperto il frutto ancora intero con i ventricoli
distaccati.
Stanno bene così, nella gioia invisibile
di
un pensiero antico che ancor li avvince. Amore
non
si donano i due cani, che talvolta litigano per
via
di una cuccia al sole, poi si scambiano carezze
meravigliose.
Con filosofia è buona una prigionia.
GENNARO IANNARONE
Gennaro Iannarone |
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