lunedì 18 aprile 2016

EAVAN BOLAND: lo sguardo nuovo



Eavan Boland


Tra le poetesse più rappresentative di quel Paese tormentato e difficile che è stato ed è l'Irlanda, almeno per i retaggi drammatici che si porta dentro come ferite immedicabili, Eavan Boland, del '44, imprime nei suoi versi un'appartenenza alla reattività, non più scapigliata come ai tempi dell'accesa giovinezza utopica e idealista, ma ferma e meditata nella stagione in cui la riflessione e la ricerca liberano dalle gabbie ma anche dagli stereotipi di una libertarietà emotiva, di un riscatto esagitato. Eavan deve innanzitutto alzare lo scudo contro l'agguerrita mentalità sciovinista che considera la donna una poesia e mai un poeta: dichiarazione di Sean O'Riordan, poeta egli stesso, ma evidentemente male illuminato. La Boland, figlia di un diplomatico e di un'artista (la madre era pittrice) cresce nella convinzione di poter cambiare le sorti della nazione, grazie all'influenza della parola, grazie all'impatto tenace di una poesia forte e libera di coscienza. Sentimento, e credo, condiviso dalla sua generazione di infervorati studenti del Trinity College, facili ad infiammarsi e a dibattere scioltamente nei pub o negli scantinati di casa. Poesia e impegno politico sono tutt'uno per questi ragazzi che bevono birra e mettono sulla brace costolette d'idealismo puro. Candidati alla disillusione, debbono fare i conti con una quotidianità che smantella sogni e aspettative. La Boland è una sognatrice in confusione, con una ideologia piuttosto a fuoco, ma la sensazione fossile, quasi ereditaria, di trovarsi, poeticamente parlando, circondata da inferriate che non riesce a intaccare, a svellere. Il processo di 'liberazione' da questo stato di imbucamento malgré soi, avviene dopo e durante il matrimonio, quando Boland riesce a sviluppare ali di farfalla innestando nei suoi versi l'universo casalingo e la voce autentica della necessità di emersione attraverso la catabasi. Due importanti raccolte, The War Horse, del '75 e In Her Own Image, del 1980, seguono l'interessante benché 'acerba' prima raccolta del '67, New Territory. In esse la Boland declina la Musa e la Donna: una Musa più perfetta stilisticamente, una Donna più compiuta, più consapevole nei perimetri dell'anima, nella sostanza della voce, nella nettezza di quanto l'aspetta o può aspettarla dietro l'angolo.I vincoli delle remore lontane, le concrezioni ataviche sono superati: la donna non è più muta, né incerta, la Musa la corrobora depurandole il sangue e permettendole di affermare e non negare l'io autentico. Si può dire che poeticamente, e questo grazie ad ulteriori tre raccolte di reinterrogazioni ed oneste esplorazioni dell'io femminile (The Journey -1982-; Outside History- 1990-; In a Time of Violence -1994-), Eavan Boland si guadagna la conquista di una terra promessa, aprendo la pista, creativa ed intellettuale -nonché di pensiero politico-, ad altre donne-muse, effettive o potenziali, della seconda generazione. Il saggio autobiografico Object Lessons raddensa un fecondo valore testimoniale in tal senso.

ARMANDO SAVERIANO


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