domenica 18 ottobre 2015

MNEMÒSINE 1



A cura di Armando Saveriano e Davide Cuorvo





Secondo la Teogonía eșiodèa, Mnèmoșine, personificazione della memoria, era la progenitrice delle nove Mușe. Figlia di Urano e di Gea, si unì con Zeus in nove notti d’amore, nel corso delle quali furono concepite, appunto, le Arti. In Atene le si rendeva omaggio con libagioni di acqua, latte, miele. “Logopea” intende propiziarsela, istituendo, sul blog ufficiale dell’associazione, questa rubrica, a cura nostra e del giovane Davide Cuorvo. Mnème, la memoria, era il ricordo degli archètipi mitici, la cui ripetizione conferiva sacralità e significato all’eșistenza umana. Sulla memoria si fonda il canto dei poeti. Tuttavia la memoria rendeva duraturi i dolori, producendo negli uomini angoscia. Per placare questo male, le Mușe offrivano all’uomo l’unico rimedio: la Lesmòșine, cioè l’oblío. Mnèmoșine e Lesmòșine erano esperienze considerate entrambe fondamentali e sacre, connesse alla sfèra infera. Nell’Aldilà sgorgava la sorgente mnèstica, Mnèmòșine, che consentiva di conoscere le primordiali esperienze dell’essere, cui era commista la morte; contemporaneamente scorreva il fiume Lète, che apportava la Lesmòșine, l’oblío, che coincideva, invece, con la condizione dei morti, lontani dall’eșistenza terrena. Periodicamente Mnemòșine proporrà, ai suoi quattro lettori (tutti gli altri, analfabèti e tamarri, sono troppo occupati ad affollare Facebook con i loro beòti “mi piace/non mi piace”), una vetrina poetica di autori affermati o emergenti, senza schede critiche, lasciando libertà interpretativa ininfluenzata.
Una nota: negli eroici anni novanta, per la precisione vent’anni fa, l’associazione Logopea organizzava, presso la Rete TV E.T. Television, una rubrica di cultura letteraria, intitolata per l’appunto Mnemò
șine, durante la quale si presentavano volumi, si intervistavano scrittori, si discuteva di poesia e di teatro. L’appuntamento era settimanale, e si passò dai venti ai sessanta, agli ottanta minuti. La trasmissione contemplava anche lepidi o drammatici inserti teatrali, e si avvaleva degli allora studenti Mauro Milone, Marco Matarazzo, Fiorella Zullo, Sonja Aquino, Claudia Rossi, Dora Lombardo. Durò appena un anno, ma lasciò, a suo modo, il segno, grazie alla novità, alle orecchiabili musiche di sottofondo e alla sigla che onorava la grande Edith Piaf.



TRASLARMI
                                                        “…Bersi senza sete.”
                                                                      Sartre

Una riga di sano dolore alla cintura
si bea la vanga nella terra
e se l’anima s’impugna saldamente io l’impugno
e calo spingo tiro smoccolo rovescio
Batte il corpo mio intero di sangue audace di idee
(Mi lascerai ararti O tentandomi tentarvi Poesia)
Frulla zampetta becca sbatacchia
s’uccella la mente per l’ampia fucina
cola il metallo e meraviglioso si modella o scadente
fra un tal baccano e sosta simile a boato
Svesti Lucifero pallido e corvino di tonta onnipotenza dio
che brilla se l’invochi e resta fermo
o se lo calpesti ghigna giuro e resta fermo
(Restituisci noi all’Apocalisse indefinita
Taccia Promèteo  Sia tramortito)
Sognandoti mio liscio demonio e so che tu me sogni desto
(Hai voce femminile tu  Hai occhi che rompono la pace)
oltre il guanciale scivola ventàtile un richiamo
(è il mio sonno che è ispido sempre)
ma meno diffidente è l’incontrarti
che il rasentare d’una nuvola a pascolo nel cielo
la luna immaginaria ladra di luce abràsa
santo stradannato io resuscito nelle piaghe risapute del mattino
(mostrai le stimmate la lingua gagliarda
tu o precipitato abbuiami del tuo  lo voglio
la lingua mia avvolgila con una profezia
oppure stroncala in un bacio condannato)
resuscito immutato abulico imbecille
nel romanzo non corretto
inane a ricapitolarsi oggi domani
Talora m’affaccio scalzo e insaporito di riposo
sbadigliando mi bevo
senza ritrarmi da ciò ch’io più detesto
un giovinetto a prender tempo giù in cortile
maledico muto leccandogli la fronte benedetta
spaurito (dal mio approccio segreto) a scartellarsi lui
la futile spavalderia insolente dell’età sua
del sesso gallo
ancor di più le mani inette maledico queste
e in triste gioia lo grido
fesse e carnose da Monsignor Lubríco
incapaci di scolpirne violanti il nudo glabro guizzo
copiando Michelangelo che amava nella forma
il marmo ( e l’ansito inseguiva dava respiro lo sentiva )
quando alle ore otto e scolare
vanno freschi e riluttanti a due i ragazzi
dentro scarpe immascolite discole ragazze
ma piene piene di rossetto e di capelli
di grazia spiata nel commento maldestro
dei compagni che fanno pallavolo
inesperti d’amore altovocianti
incamminati tutti quanti loro & loro verso burberi cancelli
a sfogliare e a copiare appunti d’ultimo minuto
sotto presidi irritabili nelle aule imbanchite
vecchie del terrore di trent’anni per scale pesanti
stanchi insegnanti
Spada per me stesso io mi acciaio dolcissima di filo
sonora a volte esasperata al punto di spezzarsi in risata
peccato nauseato io e felice dell’infelicità qui in amplesso
resuscito guardate resuscito ruttando
un poco caldo un poco amaro (godendo d’esser maschio scalzo)
eppure  inesistente  poco esistito
di nuovo mi disperdo e mi raduno e mi raccatto poi
Nascosto m’accarezzo come amante
e senza tetto gattamente
insopportabilmente
nel desiderarvi impossibili cose
e distanti

ARMANDO SAVERIANO

*

L’ULTIMA FOLATA DI GHIAIA


Allo scrosciare di piccole ossa di ghiaia
un torbido nido di grida
Si fa stretto il pensiero
in fasci di luce buia
dove gli angeli tracciano
la scia del silenzio
L’ultima sera si spegne
nel passo che cavalca l’onda
Ho sentieri d’altro mondo
abitanti incerti all’ultimo battito
Ho neve nel cuore
ho un gelido suono
avulso da mille parole


DAVIDE CUORVO





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