giovedì 24 settembre 2015

ANTOLOGIE POETICHE A CONFRONTO



CRESCONO, SI MOLTIPLICANO, CONVENGONO A EDITORI E AD AUTORI






Non siamo alle prese, diciamolo subito, con raccolte del rilievo di “Linea Lombarda” (a cura di Luciano Anceschi, 1952), “I Novissimi” (curata da Alfredo Giuliani, 1961), “Il pubblico della poesia” (di Berardinelli e Cordelli, 1975), “La parola innamorata” (di Di Mauro e Pontiggia, 1978), “Poesia degli anni Settanta” (di Porta, 1979), ormai classici, di non facile o immediata reperibilità. E neanche si tratta dei due bei volumi monografici “Poesia del Novecento euro-occidentale e americana”, a cura di Sandro Boato, usciti nel primo semestre del 2011 per la storica rivista emiliana “In forma di parole” (diretta da Gianni Scalia dal 1980): edizione plurilinguistica con testi originali a fronte, presenta e propone 65 poeti, tra cui molte donne, da Marguerite Yourcenar a Sylvia Plath, al premio Nobel Gabriela Mistral, con l’inescludibile Emily Dickinson. Antologia certo non a buon mercato (30 euro a volume), ma che un liceo può ben permettersi di adottare o quanto meno consigliare alle insegnanti abuliche, disinformate e odiatrici dell’ottima poesia, propense all’apparire (abbigliamento, trucco, macchinone, optionals, vacanze esclusive, parties, alta bigiotteria, iniezioni di botulino per trattamenti antirughe) invece che all’essere, prima che segnalarla agli alunni, spesso, paradossalmente, piú inclíni alla curiositas.
Le antologie che prolificano oggi sono assai piú modeste, e sono finalizzate non al tentativo di suggerire ‘profeti e precettisti della poesia che si dovrebbe fare’, per usare le parole di Giovanni Raboni, ma allo scopo alimentare degli editori avidi e sovente privi del benché minimo riguardo alla dignità; pubblicano infatti tutti e di tutto, purché i poetini domenicali siano pronti ad essere adescati e a pagare per vedersi inseriti in brutte antologie inutili.
Conviene ricordare che anche i poeti che si sono oggettivamente guadagnati tale appellativo sono affamati di attenzione; chiedono di essere letti, gustati, analizzati: un po’ per quella misurata vanità che rientra nel legittimo, un po’ per testare le qualità di compenetrazione e di empatia dei rispettivi elaborati.
Figuriamoci le orde di mediocri versificatori, gli stormi e le flotte di plebaglia ignorante, disattrezzata, sprovvista del benché minimo strumento espressivo, gente che ha letto (male) uno o due libri scolastici in tutta la vita, e che dovrebbe continuare a scrivere l’elenco della spesa al supermercato.
Ma non si può impedire a nessuno di sognare, di illudersi che quelle proprie quattro stupidaggini gareggino in bellezza e in importanza con la produzione di Giuseppe Guglielmi, Nino Pedretti, Angelo Maria Ripellino, Giovanni Giudici, Paolo Volponi, Vittorio Sereni, Attilio Bertolucci, Elena Milesi, Maurizio Cucchi, Giorgio Caproni (nomi che farebbero esclamare all’esercito ‘schizorampante’ dei poetucoli d’occasione e/o di vizio: ‘Carneade…chi era costui?’).
Logico e inevitabile che ai poetini corrispondano gli ‘editorini’, che si soffregano le mani e a cui viene l’acquolina in bocca all’atto di venire loro incontro con proposte-capestro, la cui unica funzione è gabbare gabellando i primi e gratificare le finanze dei secondi. Noi definiamo ‘Case Mereditrici’ quei marchi di indubbia disqualità, soprattutto quando vengono gestiti da donne.
In questo articolo prendiamo in considerazione due iniziative: la prima, attenta a salvare quantomeno la faccia, mescolando precauzionalmente il sacro con il profano: “Letteratura Italiana Contemporanea/Antologia del Nuovo Millennio”, Edizioni Helicon, Arezzo (febbraio 2015); la seconda, naturalmente a nostro avviso, un quadernaccio in digitale dal titolo sbrigativo: “Sentire”, per le fantomatiche ‘edizioni’ Pagine, Roma (2014).
Quel che accomuna le due antologie è l’esasperazione del prezzo: quaranta euro quella dell’Helicon, venti quella di ‘Pagine’.
Vero è che l’Antologia del Nuovo Millennio è un tomo di ben 862 papiri (dalla copertina immediatamente deperibile); tuttavia neanche la raccolta iniziale di pregevoli saggi (servono a coonestare la ‘serietà’ tecnico-letteraria del libro) su Dino Campana (Marino Biondi), sull’ermetismo (Giancarlo Quiriconi), sul Novecento italiano (Silvio Ramat) e la selezione dei poeti del secondo Novecento (a cura di Michele Rossi) giustificano l’enormità della spesa, tenendo in conto che lo spazio preponderante del volumone è occupato da illustri sconosciuti, la cui cifra, tranne in un cespuglietto profumato (Maria Grazia Duval, Mario Massa, Iolanda Fonnesu, Isabella Sordi, Mirella Raschi, Siro De Padova, Milvia Lauro, Marco Ignazio De Santis, Ignazio Gaudiosi, Mario De Rosa, Lorenzo Cimino, Paola De Lorenzo Ronca, Antonio Rossi, Rodolfo Vettorello)  non si eleva dall’aurea mediocritas.
I notevoli saggi di Biondi, Quiriconi e Ramat sono funestati da seccanti ed evitabilissimi refusi, ai quali si sarebbe ovviato se la C.E. avesse alle sue dipendenze uno straccio di correttore di bozze. L’inserimento dei Grandi (l’indice non ne riporta i nomi, per far largo ai Piccoli paganti) è un escamotage non insolito per ingolosire i candidati alla partecipazione non gratuita: fa effetto, su uno sconosciuto (noto –forse–  agli inquilini del proprio condominio), essere inserito accanto a Nanni Balestrini, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Patrizia Cavalli, Milo De Angelis, Luciano Erba, Franco Fortini, Alfonso Gatto, Giovanni Giudici, Franco Loi, Mario Luzi, Valerio Magrelli, Alda Merini (immancabile), Eugenio Montale (idem), Elio Pagliarani, Pier Paolo Pasolini, Sandro Penna (con due testi non compromettenti dal punto di vista tematico, l’omosessualità), Lucio Piccolo, Antonio Porta, Giovanni Raboni, la complessa Amelia Rosselli, Edoardo Sanguineti, Vittorio Sereni, Maria Luisa Spaziani, Patrizia Valduga, Andrea Zanzotto. Il buon Paolo Saggese si inalbererebbe di fronte a gravi esclusioni (non solo, stavolta, limitate ai poeti del sud), ma il responsabile del capitolo, Michele Rossi, deve essere stato soggetto al diktat editoriale di non estendere l’elenco oltre la concessione dei 5 sedicesimi, per cui si è limitato ad una scelta non esaustiva, tutto sommato onesta.
La sperequazione del numero esagerato di pagine ad alcuni (Edio Felice Schiavone: 40!, Paolo Rametta: 59!) rispetto alle due in media [tra biografia con schizzetto critico alla buona e poesia o microracconto o estratto di saggio all’acqua di rose (Enza Sanna)] della maggior parte dei partecipanti rivela l’asta monetaria e non il merito quale criterio di assegnazione e di visibilità. Schiavone e Rametta non sono, infatti, né Vittorio Bodini né Toti Scialoja, né Césare Pavese né Josè Saramago.   I responsabili dei profili bio-critici (cretici sarebbe opportuno definirli, depennando i bravi e preparati Quiriconi e D’Episcopo), Giuliano Adorni (si occupa di Stefano Spreafichi), Alessandro Bedini, Eugene Josef Ceska (presenta Francesco Federico) Neuro Bonifazi, Francesco D’Episcopo, Rodolfo Tommasi, Lara Pasquini, Andrea Pellegrini, Corrado Pestelli, Giancarlo Quiriconi, Michele Rossi (che cura soltanto il libanese Hafez Haidar), Cristiana Vettori (firme a noi ignote) si arrampicano sugli specchi per dire qualcosa dei poetini di cui si occupano, e comunque non si riscattano dall’ovvietà e dal cliché sempre più stanco e clonato. La stakanovista del gruppetto è l’eroica Cristiana Vettori, che si è sobbarcata la tredicesima fatica di Eracle, recensendo la maggior parte dei claudicanti poienauti, e che, versione femminile di Sisifo, si arrabatta a ripetere cose già lette e ascoltate. Una noia. Terrificante etichettare certuni come “appassionato di poesia”, quasi l’arte delle Muse si riducesse ad un hobby accalorante, equiparato al collezionismo di conchiglie o francobolli, a una sfida enigmistica, a una gara di accaparramento di dubbi nastri azzurri dei poveri. La Vettori va in brodo di giuggiole, fa fuoriuscire gli occhi dalle orbite e spalanca la bocca in un ‘oooooh’ di meraviglia e di stupore, quando, a proposito di Piero S. Costa (insegnante di Storia e Filosofia), blatera di taglio filosofico-esistenziale, di ‘sorprendente’ recupero del latino perché il poverino usa (in neretto, casomai sfuggissero originalità e raffinatezza) il termine ‘mens’ e il modesto accostamento (manco una crasi) ‘stancamens’. La cretica [palesemente a digiuno di surrealismo, dadaismo, imagismo Ia  maniera (poundiano), IIa maniera (“amygismo” lowelliano), vorticismo, e delle avanguardie superate e neo-ripigliate] scrive: “Come si vede (chi lo vede? Gli asini), la poesia del nostro Autore (adopera la maiuscola, quasi si riferisse a Petrarca, a Raboni, a Luzi, a Neri, alla Calandrone, a Derek Walcott o a Tomas Tranströmer) si gioca su un profondo (sic) rinnovamento (sic) di tecniche e forme stilistiche e linguistiche (ma quando mai! E dove? -NdR), un periodare che ricorda gli antichi ‘cantari’, inserti dialettali, neologismi, la scomposizione di termini e parole.” La Vettori cerca di guadagnarsi la pagnotta, ignorando che esiste Niva Lorenzini, con la scoperta dell’acqua calda. Non osiamo immaginare l’apice delle sue reazioni, qualora si trovasse di fronte i testi di Jolanda Insana, di Enrica Salvaneschi, di Wanda Marasco e di Ugo Piscopo. Di Tricarico, di Ioni. Di Scarselli, Lucciola, Di Spigno. Della Eisenberg, di Iandolo, Gaita, Gnerre. Della Argentino, della Iorio, dell’Anedda, della Maleti, della Martino, della Coppola, di Agostina Spagnuolo, della (purtroppo scomparsa il 6 marzo 2006) Biagia Marniti (Masulli). E persino dei giovani Giovanni Nazzaro, Costantino Pacilio, Gerardo Iandoli, Davide Cuorvo, Angelo e Salvatore Iermano, Melania Panico. Non rende un buon servizio, la Vettori, al non eccelso Piero S. Costa, insegnante laureato in Storia e Filosofia e non filosofo, né poeta rivoluzionario e destrutturatore, per il quale la massima incursione nello sperimentalismo si limita nell’introdurre qua e là dei cervellotici virgolettati sul nulla (“ ”), e che fa uso indiscriminato e abusivo dell’apocope (or, avvenir, sfoltir, sentier, astro-sol, com Ercole, cozzerem, uom-animal, fragor, fiel, sfogliar, sideral, lor, ragionar, normal), convinto che il troncamento (giustificato da precise esigenze metriche o da parchi e intelligenti effetti fonico-estetici) sparso a manciate di sale e di pepe o di parmigiano reggiano renda piú autentica e aulica la poesia. Ogni tanto un’espressioncina in dialetto piemontese, un vocabolo francese. Ma insomma! Ma la vogliamo finire? Vadano a leggersi, Costa e Vettori, la nostra “Dazio” (dedicata a Giuseppe Vetromile) nella sezione ‘Les herbes folles’ in “Spiniger” (Per Versi editori, Grottaminarda, 2009)! Per tacer, sempre nella stessa raccolta, dei componimenti ‘At Dusk’, ‘Santa Maria della Rupe’, ‘Nego altri addii’. Oppure il morceau celebrativo ‘Nuptialis’ (“Nel mio cuore la tua figura”-Poesie Italiane d’amore- Michelangelo 1915 Communications- 2007 – Palma Campania-Na).
I cretici della Helicon saranno, crediamo, retribuiti a cottimo, tenuto conto che dei 141 antologizzati la Vettori ne ‘esamina’ circa sessanta, tallonata disperatamente da Pestelli, Pellegrini e Pasquini, che nonostante l’affanno debbono gettare la spugna. Vettori è irraggiungibile.
Del resto lo spessore critico non è rivolto ai succedanei di Spagnoletti, né ad Arnaldo Colasanti né ad Enzo Rega o a Paolo Lagazzi, a Ezio Savino. Va bene per la degustazione di palati medio-bassi.
Manca un’introduzione ragionata al volumone, altro indizio di sciatteria e di frettolosità, altro elemento che rafforza la spiccia modalità meramente commerciale dell’iniziativa.
Meritano una nota Iolanda Fonnesu e Paola De Lorenzo Ronca. La Fonnesu, trapiantata in Toscana, a Firenze, studiosa della letteratura italiana del Novecento, autrice di un romanzo (“La croce sull’uscio”), coautrice (in tandem con Leonardo Rombai) del volume ‘Letteratura e paesaggio in Toscana: geografia e letteratura/paesaggi di ieri e di oggi”, compare qui con una novella che non sarebbe dispiaciuta a Verga, a Vasco Pratolini, a Bianca Pitzorno, a Italo Calvino): ‘Antonicu e il malsegno’; una narrazione solida e spedita, sapientemente movimentata, sul filo dell’immedesimazione empatica.
Paola De Lorenzo Ronca è una signora in penombra, che senza botti e grancasse compone bei versi profondi, denotanti marcato angst esistenziale e l’opposizione costante a non lasciarsene travolgere, grazie alla fede cattolica e a quella laica ancorata alla creatività (il dipinto, la scrittura, qualche breve e circoscritta esperienza periegetica del suo territorio). Frequenti, negli elaborati, i flash del passato, l’ombelicale legame con la terra mirabellana, con la casa e le tradizioni; il rapporto meno bello con una madre spartana, anaffettiva, offensiva, che la Ronca è riuscita a perdonare. Ma le antiche ferite restano, sanguinano ancora, la spingono ad identificarsi epicamente e romanticamente, nel contempo, ad eroine della statura di Antigone, di Aspasia e di una sottaciuta Medea. Tradimento, solitudine, incomprensione e indifferenza non ne stercorano né sottomettono l’animo, che, libero, sancisce con la carne emotiva il migliore e piú tenace sodalizio.

                                                                                               ARMANDO SAVERIANO


AA.VV. ANTOLOGIA DEL NUOVO MILLENNIO (LETT. IT. CONTEMP.) – ED. HELICON, POPPI (AR) – 2015 – 862 PP - € 40,00




SQUADERNAR “NULLESIA”


TERMINE IDONEO PER UN PENOSO VOLO






Nel panorama delle frequenti pubblicazioni poetiche, amatoriali o professionali, in questo quaderno, “Sentire”, ‘edito’ da “Pagine” (Roma), emergono rari nomi degni di attenzione; i partecipanti sono entusiasti concorrenti della storica “Corrida”: versificatori della domenica che non leggono, non nutrono lo spirito e la mente, ancorati a un lessico ànidro, poverissimo, ingenuo e ripetitivo.
Trattano la materia poetica come un trastullo da fascicolo estivo sotto l’ombrellone, giocano con un’arte sconosciuta, ma contemporaneamente soffrono di acromegalia dell’ego, supponendo di aver prodotto chissà quale capolavoro. A stento hanno sentito parlare di Leopardi e di Montale, ignorano scuole, correnti e tendenze storiche e attuali. Per loro Fernanda Romagnoli, Amelia Rosselli, Lucio Mariani, Cesar Vallejo, Tomas Tranströmer, Czelaw Milosz, Milo De Angelis, Massimo Bacigalupo (ma persino colonne come Anna Achmatova, Marina Cvetaeva, Franco Fortini, Franco Loi, Costantino Kavafis – e l’elenco potrebbe prolungarsi all’eternità) sono entità astratte, suoni alieni, vuoto.
Tra gli autori tronfi, illusi e illeggibili, c’è qualche germoglio interessante: Francesco Miserocchi, con un verso frase che talvolta si protende verso una ricerca e un uso originale della parola melodrammatica, che occulta una sottocutanea ironia; Francesco Guidace, autore di un verso denso, che pur con diverse cadute tonali, non arriva mai al disarticolato, con una capacità sintattica di apprezzabile tenuta; Alessandro Guerrini mostra ricorrenti ingenuità formali, ma conserva delle qualità di schiettezza e di limpida osservazione dell’in sé e dell’altro da sé.
Le presenze femminili sono terrificanti, vere talebane o kamikaze della maldestra poetica, tranne una giovane ebolitana, filodrammatica e sensibile divoratrice di fantasy, Enza Maria Mastrangelo. Le letture e l’esperienza teatrale le fruttano uno stile di promettente iridescenza, soprattutto nel migliore dei suoi componimenti, “Hey Donna”, che si contrappone al più classico e melodico “17:30”. Il tema sociale è affrontato con un piglio scanzonato che rende acuto il disagio della condizione femminile tutt’altro che equiparata a quella maschile, pur nel nostro occidente emancipato. Lo spirito impertinente si rivela nel componimento “Il teatro è la mia arte”, con un tono scanzonato e goliardico, punteggiato di ritrattini sapidi e bonariamente canzonatorii, in un omaggio affettuoso ad amici e compagni di percorso, dove la satira lieve e non mordace diventa un pretesto letterario. Consigliamo a questa ragazza buone letture, numerose, intense e meditate, da Sylvia Plath a Cristina Campo, da Antonella Anedda a Gabriella Maleti, Barbara Lanati, Mariella Bettarini, Ingeborg Bachman, Louise Glück. ‘Alit lectio ingenium et studio fatigatum reficit’, ricorda Seneca nelle Epistulae morales ad Lucilium. Ne tenga conto Mastrangelo.
Prefazione assente. Ma in quarta di copertina appare un buon morceau critico, che apre aspettative – ahinoi – deluse, data la qualità pessima di gran parte degli autori, i quali, dal canto loro, nulla accennano delle rispettive poetiche, limitandosi ad inopportune e irritanti informazioni sulla loro convenzionale vita privata di casalinghe, di padri di famiglia che si confessano bagnini, calciatori, fanatici di tatuaggi, e quel che è peggio, “scrittori”(sic!)…  
Accluso al volumetto, un CD con delle incisioni senza infamia e senza lode. L’inserto non giustifica l’esosità richiesta dall’editore (probabilmente, riteniamo noi, una tipografia gestita alla men peggio): il prezzo è tirannicamente elevato, se si pensa che l’epocale romanzo della scrittrice Wanda Marasco, “Il genio dell’abbandono”, candidato al Premio Strega, costa “solo” 18 euro!
                                                                                                   ARMANDO SAVERIANO


AA.VV. SENTIRE – PAGINE ED. ROMA – 2014 – PP 96 - € 20,00

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