domenica 8 febbraio 2015

SCHERMOMANIA: L’AVIDITÀ DEL CINEFAGO





                                                    Rubrica a cura di ARMANDO SAVERIANO






CLOWN


Regia: Jon Watts
USA, CAN/ 2014/ M2 PICTURES  102’
Int.: Andy Powers, Laura Allen, Peter Stormare, Elizabeth Whitmere, Christian Distefano, Chuck Shamata, Claudia Jur, Jodi Larratt, Matthew Stefiuk, Allen Altman, Robert Reynolds, Caeden Lawrence, Abigail Lieff, Jeff Lefebvre, Jen Julien, Lucas Kelly, Michael Riendeau, Jocelyn Deighton
Sceneggiatura: Guillermo Almoedo, Nicolás López, Chris Ford, Eli Roth
Prod.  Christopher D. Ford, Jon Watts, Eli Roth
Casa di Prod. Cross Creek Pictures, PS 260, Vertebra Filmns, Zed Filmworks
Distribuz. M2 Pictures


Spetta al circo Astley, nel 1770, il primato del lancio di una figura storica per il divertimento di bambini e adulti: il clown. All’inizio questo buffo personaggio d’intrattenimento, che serve per creare una pausa rilassante e ilare tra un numero di tensione e l’altro (c’è sempre suspence nel volteggiare dei trapezisti e nell’affrontare le fiere con frustino e sgabello; nei tempi eroici incidenti anche mortali erano assai frequenti), si limitava ad uno scambio di gags con il direttore di pista. Via via ha arricchito il repertorio, ha lavorato sul trucco e sull’abbigliamento, si è giovato di un partner/spalla anche più improbabile, stralunato e sgangherato; ha avuto più di un arrangiato canovaccio, spesso alternando alla comicità prove di equilibrismo o di virtuosismi musicali, in autentiche pantomime d’autore, come quelle di “Grock e Antonet”. È divenuto numero a sé stante, atteso e applauditissimo quanto una parata di superbi cavalli impennacchiati e una magica sequenza di ardite prestidigitazioni.
Il “classico” clown degli esordi e della tradizione calzava scarpini e cappello a cono, ostentava una faccia tristallegra infarinata, indossava un abito di seta a sbuffi, non particolarmente sgargiante; il suo partner, “l’augusto”, portava scarponi inverosimili, vesti abbondanti e una maschera dominata da un sorrisone grottesco e da un naso tondo e rosso, tra una ciliegia e un pomodoro. Era un abile cascatore e dilatava ogni azione in esagerazioni sempre più irresistibili, con abili salti e prodigiose capriole. Spesso i clown interagivano con il pubblico o con figuranti mescolati ad esso, per creare uno spassoso ponte di realismo agganciato all’umorismo surreale. Crediamo senza margini di errore che ci sia in Europa addirittura una scuola per clowns. Il più celebre e terrificante pagliaccio cine-televisivo resta (insuperato) quello di “IT” (Tommy Lee Wallace, USA 1990), Pennywise, che compare nel romanzo fiume di Stephen King, ed è capace di inquietare sul serio per la sua testa a fagiolo, lo sguardo folle, iniettato di sangue, la smorfia benevola, i suoi allettamenti letali a danno di bambini inermi. Il clown che dà il titolo al film di Watts ostenta di uno ‘strillo’ che subito insospettisce: il manifesto con la dicitura “l’immagine di questo poster è stata censurata”. Evidentemente l’intelligenza degli spettatori ha raggiunto i minimi termini per consentire alla pubblicità escamotages tanto ingenui e controproducenti. Ci si aspetta un serial killer pagliaccio che macella bimbi e adolescenti indisponenti, sul modello del “maledetto” e ormai introvabile “Clownhouse”, di Victor Salva, del 1981 (il film venne ritirato dalla distribuzione a causa dello scandalo per molestie sessuali del regista all’allora dodicenne Nathan Forrest Winters), ma benché non sia così, la delusione non manca.
La sceneggiatura imbocca la strada dell’invasamento demoniaco, imbastisce il mito di una creatura archetipica che si nutre o “deve” essere nutrita (pena conseguenze inimmaginabili) della carne di bambini nei cinque mesi più freddi dell’anno, ed inventa un abito e un make-up facciale stregati, che si fondono sul corpo del malcapitato di turno: qui un papà (Kent) che ha il volto paffuto e gioviale di Andy Powers, rassegnato e in fondo divertito a sostituire il pagliaccio ingaggiato per la festa di compleanno del figlioletto (un angioletto inespressivo che sembra truccato con eye-liner e rimmel a oltranza), all’ultimo latitante per scorrettissimo forfait.
La maledizione non tarda a manifestarsi: l’uomo non può più svestirsi dei panni del clown (e dire che non tralascia nessun tentativo, per quanto estremo), vivendo tutte le fasi in crescendo del tragico ridicolo e del dramma della metamorfosi. Il mostro affiora, si metastasizza, predomina, si rivela cannibale voracissimo e sarto di menzogne. A farne le spese saranno in parecchi, ma i particolari truculenti restano fuori campo. C’è il bimbo petulante, gorgheggiante, sempre tra i piedi, che proprio se la va cercando; c’è il bulletto immancabile che infastidisce il figlioletto di Powers/Kent; ci sono i pestiferi fanciullini che affollano i parchi gioco per l’infanzia, e l’inescludibile nonno “so tutto io/faccio tutto io/ti risolvo la situazione pur folle e truculenta”.
L’aggancio col folklore scandinavo e il macabro profilo del “Cloyne”/“Frowny” che esige atroci tributi, incarnando un babau anziché il tenero, comico intrattenitore di bimbi malati in fase terminale, poteva risultare, sotto ben altra regia, vincente. Clown poteva essere un film di notevole inquietudine, di sottile paura, ma soggiace alle leggi del commercio, ripetendo cliché che non adescano né avvinghiano neanche gli adolescenti decerebrati che piazzano i piedi sullo schienale delle poltrone, tengono l’occhio strabico sull’iPod, schiamazzano, si gasano di pepsi e schizzano popcorn per tutta la platea.
Peccato. La trovata dell’abito-pelle di demone e l’escalation di incredulo orrore che avvolge il protagonista e sua moglie covano in sé una ventata rinnovante, nel genere body horror sulla scia del cronenberghiano “La Mosca”.
Andy Powers, con la sua faccia puerante e pacioccona, non ce la fa a trasfigurarsi in modo progressivamente plausibile e convincente, fino a disturbare e incutere paura, nonostante il sempre più pesante make-up, il ghigno, la dentatura da predatore, il naso marcescente, gli occhi solcati da saette di sangue; cosa che riuscì in modo impressionante con Franco Angrisano, quando il grande Eduardo gli assegnò imprevedibilmente il ruolo del carognone Arturo Santaniello ne “Il sindaco del Rione Sanità”. Angrisano, da una vita consegnato a caratterizzazioni di mite (cuoco, sagrestano, candido mezzadro, amicone abbonato), imbastì una prodigiosa metamorfosi che infuse al pubblico sentimenti di odio, disprezzo e antipatia, dimostrando così le sottovalutate risorse dell’attore in realtà eclettico e confermando le altrettanto insuperabili doti di intuizione da parte di Eduardo. Nel film Watts regista e Powers attore falliscono, più del direttore del casting. Il problema non è selezionare un attore con la faccia potenzialmente virata alla cattiveria, ma un attore in grado di lavorare sia sulla mimica sia sulla espressività ‘in interiore’ per offrire quella necessaria gradualità metamorfica ascendente fino al top della deformazione/degenerazione fisico/morale. In “Shining” la naturale conformazione facciale di Nicholson si prestava di per sé. Dare diabolicità e imprimere appunto il marchio degenerato (senza il soccorso o la pezza d’appoggio di alcun trucco, taglio di luce o d’inquadratura) al volto tranquillo e pasciuto di Angrisano deve essere stato frutto di laborioso impegno, ma anche di potenzialità in embrione venute (imprevedibilmente e inaspettatamente per tutti tranne che per la lungimiranza di Eduardo) alla luce. Powers/Kent rimane un ibrido in maschera digrignante: minaccia, ruggisce, spreme cachinni, uccide, blandisce, si torce, sbava, assale…ma la sua artificialità impedisce il rapimento dell’anima, lo strappo, lo shock, lo sgomento stuporoso dello spettatore, che vorrebbe essere indotto a ‘credere’ e a provare almeno un leggero ‘frisson’, se non il graffio asciutto e bruciante del terrore. 
Buona prova di Laura Allen, che a un punto cruciale del film persuade sulle intenzioni disperate e crudeli di salvare il figlioletto a spese di qualche altra madre; ma si è scelto di anestetizzare la trama, di riscattare il personaggio, di tutelare gli aspetti altruistici del senso materno, introducendo una ragazzina che quasi “obbliga” la donna a prenderla in considerazione come vittima alternativa. 
Il finale apre a qualche molto probabile sequel, che si spera venga affidato ad un team artistico-tecnico più attento all’atmosfera e all’abbandono dei luoghi comuni. Magari con una maschera tragica e terrificante che si imprima, indelebile, nell’immaginario degli spettatori, come è stato capace di fare, in un lungo incubo montante, attentamente dosato, lo spettrale, ammaliante, torbido Pennywise di “It” e in parte il pupazzone su triciclo della saga “Saw” (7 capitoli) o il fantasma dell’urlo di Munch in quella di “Scream 1/2/3/4”. Per le serie televisive più recenti segnaliamo qui (ammesso che ce ne sia bisogno) “American Horror Story-Freak Show”, dove, in un’ambientazione anni ’50, il “Cabinet of Curiousities” gestito da una cinica e conturbante mitteleuropea immigrata negli USA (Jessica Lange che smette i panni di strega-maxima per vestire quelli, con tanto di protesi, della inquietante Elsa Mars), fa scorrere il sipario su un ventaglio inesauribile di ‘mostruosità’, di grotteschi, patetici diversi (le gemelle siamesi, la donna barbuta, l’Uomo Foca, la gigantessa Amazon Eve, i microcefali Salty e Pepper, l’Uomo Aragosta e soprattutto lo spaventevole Twisty, il clown bieco, ben più raccapricciante del ‘Cloyne’ Frowny interpretato dal bietolone Powers). Insomma un clima tra “Freaks” di Tod Browning e “The Elephant Man” di David Lynch. C’è da scommettere che la ‘mostruosità’ dei segnati, dei freaks, non è minimamente paragonabile a quella invisibile, congenita e dissimulata dei regolari, dei normali solo in apparenza.  
Ottimo il doppiaggio di Massimo Lodolo, Gianni Giuliano, Gianluca Crisafi, Laura Lenghi.
Nel frattempo vale rivedersi, pescandone il DVD tra gli scaffali dimenticati di un blockbuster in decadenza, anche perché fatalmente inedito in sala qui da noi, il simpaticissimo fanta-horror
“Killer Klowns from Outer Space” (USA 1988), brioso cult dei Chiodo Brothers  (Stephen alla regia, Charles alla frizzante sceneggiatura, che ammicca agli script anni ‘50/60, e Edward in produzione).


                                                                                      ARMANDO SAVERIANO 





Pennywise di IT
Twisty il clown
di American Horror  Story Freak Show











Killer klowns from outher space

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