martedì 3 febbraio 2015

IL VERSIPELLE 14


Alea Contemperanza Sussurri




La poesia agisce nella non luoghità di mente e di coscienza, è un teatro di vita con fantasmi di ellissi, dice di più e con efficacia quando non dice, nella metafora hemingwayana dell’iceberg, di cui emerge la punta, mentre il grosso è inabissato, non visibile, semmai percepibile dai più sensibili, dove sensibilità sembra confinare con sensitività. È teatro di compiutezze allusive, in contemperanza di contrari, con un reticolo di metafore anche quando l’uso della parola appare semplice e terso, come nel caso di Claudia Iandolo. Stringata, sottraente, essenziale, insofferente ad ogni minima oleografia/fototipìa, la sua voce dispiega invece ali amplissime e multisensoriali, capaci di risvegliare eco anche nello spirito più miope e sordastro. Nella sua scrittura potente e efficace ogni retorica è bandita, il graffio è lunare e terragno, elementale che intrude nell’aria il fuoco e nell’acqua il soffio ancestrale dello pneuma. La carne guizza nell’immaterialità dell’onirico e dello mnestico, non si nega all’autenticità del desiderio estremo, lecito, senza imbarazzi di fronte all’agnizione del dolore, dell’infelicità, dell’usurpazione. Iandolo suggerisce e denuda, sussurra e spiana l’ugola fino all’urlo muto, immagina il reale e il vissuto, reifica la fantasia ispirata, senza brogli studiati, ma seguendo impulsi sublimi o umanamente privi di altezze, anzi, a livello di miserie e debolezze, che tutti ci cimentano sul regolo dell'esistenza quotidiana. È così che nascono a volte i capolavori, come l’ultimo libretto, “Sororità” (Lietocolle, introduzione di Giampiero Neri), mediato dalla lingua latina. Bellissimo il termine, emozionalmente prodigioso il contenuto. Una plaquette che dalla copertina evoca la luna, le nubi, l’ascensione, la gratificazione di un color cilestrino riposante, e sottilmente irraggiungibile, cimentante, etereo, iperuranico. Manca un’amica, rapita alla vita. Chi resta respinge (non scotomizza!) shock e frattura cantando una nenia o cogliendo parole colme di “entità” emotiva: elude il luogo comune della sorpresa e dello strazio, dell’inaccettabilità, della ribellione, o del silenzio da maschera tragica dinnanzi a un sipario ermeticamente chiuso. Il sororale amore fa ancora una volta da collante, unisce le amiche, fa coincidere il presente con gli scatti di ieri, celebra, non (rim)piange, punta sulla continuità, sulla circolarità dei destini, sull’alea degli eventi, non colonizza il lutto, non lo introietta psicofisicamente, lo depriva di foschia e lamento, lo rende agnostico, rifiutando linimenti e luci erronee. Sororità è un rintocco, vibrerà a lungo in chi ascolta o legge i versi dell’autrice di ‘Aegre’, ‘Alia’, ‘Rossa luna di novembre’, ‘ Il paese bianco di Isidora vecchia’, ‘Marinai di terraferma’, ‘Qualcuno distratto’; nulla ha a che vedere col mitigante “sorellanza”, dal suono attutito, riposato, accucciato.
Rossella Luongo, penna che integra e amplia pensiero e conoscenza in paesaggi multiformi sia prosastici sia lirici, nell’ultima sua fase creativa, è attratta dalla spezzatura virtuale della lingua, ma non soffre di ipogeusia nei confronti del classico (Edmund Spenser, Pierre de Ronsard, Shakespeare), non ritira l’ancora dalla tradizione di Baudelaire, Mallarmé, Montale, Ungaretti, che a loro volta rivoluzionarono panorama e mappatura poetiche evolvendo verso un sistema, uno schema, una prospettiva ‘altra’; da intellettuale è impegnata eticamente nella volontà di modificare in meglio lo stato delle cose, esorcizzando i fatalismi sulle contingenze umane della vita; pertanto affina la sua arma: la letteratura che nella narrativa e nella poetica non fa letteratura.
Se entrambe le ospiti di quest’edizione del Versipelle avvertono il disagio della condizione di marginalità della poesia, e se ne indispettiscono fino a negarlo stoicamente, ostentano una r-esistenza peculiare e coerente, confidano nella vis estirpante (e, attenzione: seminale) del loro audace uso della semantica arricchita di suoni che scavano oltre la musicalità, l’effetto, e persino oltre la presenza-assenza del serafico o spregiudicato messaggio.  
Cosimo Caputo torna proprio per incontrarle, per saggiare in diretta i loro fiati, per tastarne gli irrequieti polsi, per studiarne il metro psichico, l’integrazione difficile e sempre polemica, o la durata dell’autoesilio nel girone degli incompresi o degli ingombranti/scomodi.
Rita Pacilio, ‘aficionada’ del Versipelle quanto Vetromile e Stella, offre il suo stigma sull’altare di una produzione di marca ontologica che denuncia, con fierezza, spregiudicatezza indomita, una situazione apolide, di sradicata, di nomade, dalla pregiata e alta cifra riassuntiva, la quale ne fa un’erratica dalle spinte idealiste e romantiche, senza pretestuosità d’eroina.
Un appuntamento quanto mai intrigante, questo del 7 febbraio, ore 16,30, al centro sociale “Samantha Della Porta”, ormai storica sede e punto d’aggregazione dell’associazione Logopea di Armando Saveriano, coadiuvato da Davide Cuorvo, promettente e saldo protagonista di nuovi altipiani spazzati da fertili venti, che promettono la salita verso la pienezza e il principio di rinnovate mete. 
Sempre attivi e godibili i siparietti teatrali, che mescolano Cechov a Goldoni, Pirandello a Lorca, Prévert a Dürrenmatt, a Viviani, a Eduardo, a Pinter, a Ruccello. Puntuali e versatili i ragazzi coordinati da Mena Matarazzo (Antonio Mazzocca, Michele Amodeo, Christian Cioce, Hera Guglielmo, lo stesso Cuorvo). In più il grande riavvicinamento della performer Ilia Caso, interprete di Cavosi (Rosanero), di Pirandello (Così è se vi pare/Liolà), di Franca Valeri, musa di un cabaret intellettualizzante che si confeziona altrove sempre più raramente e sempre meno intelligentemente.

                                                                                                                           LOGOPEA

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