Capocomico, Drammaturgo, Attore, ma anche Autore di sapidi Versi
Non c’è artista più completo di Eduardo De Filippo: il suo genio si è tradotto in un mito che non risente affatto del mutare dei tempi e dei gusti; le sue commedie, che mescolano sapientemente l’angoscia e il suo grottesco, l’umorismo e la sua amarezza, l’attesa e l’incombere di un’ineluttabilità fatale, sono apprezzate in tutto il mondo, saccheggiate e storpiate dalle vili filodrammatiche, che ne equivocano maldestramente la comicità.
Ma esiste un Eduardo poeta, che non va sottovalutato, né dimenticato. In un discorso ai Lincei nel 1972, Eduardo dichiarava anzi: “Molte mie commedie sono nate da una poesia”. Ribadiva che la poetica era fonte ispirativa per il teatro; basti pensare a “Vincenzo De Pretore”, poemetto fiabesco divenuto commedia. Anna Maria Ortese prediligeva, fra le molte altre, proprio questa composizione corale, grazie alla quale Eduardo esprimeva la sua voce “più alta e bella”.
Nel 1951, l’editore Casella pubblicava la raccolta principale di Eduardo: “Il Paese di Pulcinella”. In breve andò a ruba, fu esaurita tutta la tiratura e in tanti rimasero scontenti, non essendo riusciti ad accaparrarsi una copia del prezioso libello. Volumetto mai più ristampato, divenne raro e etichettato come introvabile presso i collezionisti e i bibliofili, che avrebbero dato un occhio della testa pur di mettere le mani su quello che era in breve diventato un vero e proprio ‘must have’, un oggetto cultuale; pertanto spulciavano i cataloghi e i mercati d’antiquariato. E immancabilmente ci fu chi vi speculò.
Per la gioia degli appassionati, ma anche degli studiosi, Grimaldi & C. Editori, ottenuta l’autorizzazione di Luca De Filippo, ristampano integralmente il libro, nell’ottobre 2013, omaggiando il Grande a pochi mesi dalle celebrazioni per il trentennale della sua dipartita. Si tratta di una pubblicazione in cofanetto, elegantemente cartonata, su fogli di gran pregio, inserita, come trentaseiesimo volume, nella collana “Biblioteca Napoletana”, che enumera titoli ghiottissimi: da un’edizione di “Pinocchio” del Collodi, tradotta in lingua napoletana da Roberto D’Ajello, a “Giornali e giornalisti a Napoli”, a cura di Piero Antonio Toma; da “William Hamilton /Diario segreto napoletano 1764-89”, di Guido Donatone, a “Le Industrie del Regno di Napoli”, di Gennaro De Crescenzo; da “Canzoni e Popolo a Napoli/dal ‘400 al ‘900”, di Giovanni Amedeo, a “Cucina napoletana /Pranzi giornalieri…in 672 vivande…” di Vincenzo Corrado, con introduzione di Lejla Mancusi Sorrentino.
Eduardo parla a Napoli, alla sua gente; di Napoli e della sua gente; lo fa con serietà e sberleffo, con tiritera a perdifiato e con pause lunghe, con spirito di scugnizzo, di giovanotto, di uomo di mondo; con la saggezza, un po’ grave, un po’ discorsiva, con l’arguzia e il tocco lepido, ma anche con vena malinconica e agra, come nelle sue stratificate commedie, di cui una delle più rappresentate (massacrata dalle nefande accozzaglie di buzzurri che la scopiazzano dal DVD) è “Natale in Casa Cupiello”, opera cruciale, dalla gestazione annosa e complicata, che costituisce il punto di saldatura fra le due fasi artistiche: anteguerra-dopoguerra.
I versi de “Il Paese di Pulcinella” tratteggiano un profilo storico, sociale e morale, in una sorta di conversazione intimista, con se stesso e con l’ascoltatore privilegiato, che l’autore di “Filumena Marturano”, “Bene mio e Core mio”, “Il Contratto”, “Mia Famiglia”, “Il Sindaco del Rione Sanità”, “Le Voci di dentro”, “Sabato, domenica e lunedì”, e “Gli esami non finiscono mai”, comincia e non smette, in un linguaggio polifonico, in grado di proiettare il fermento dell’animo, la vivacità sfrontata, la solitudine, i compromessi, la tristezza concentrica e gaglioffa, l’umanità ‘napoletanitante’ che viaggia e si dipana sempre sulle corde del naturalistico e del simbolico, nel dimenarsi del misero, del disperato, dell’esasperato e nel divincolarsi di una risata liberatoria e/o ambigua, capace di fluire dentro e fuori degli ambienti e della parola, delle situazioni e degli avvenimenti, sia pur ‘minimi’ e tipici del vicolo e del ‘vascio’, della scalinata e della piazza. La commedia dell’arte si affaccia e ammicca, così pure il bozzetto macchiettistico, il lazzo esagerato, il profilo tenero e commovente, divertente o dolente, polemico o patetico, timido o burbanzoso, ingenuo e romantico, passionale e colorito via via con “ ‘A paura mia”, “ Si t’‘o ssapesse dicere”, “Tre piccerille”, “Cachessà”, “Di Finizio”, “Te sistieme”, “Chiaja, Tuleto, Via Dei Mille”, “ ‘A Villa Comunale”, le bellissime e poco visitate liriche “Meneca”(un poemetto in sé), “ ‘E sciure puverielle”, “ ‘A vita”, “Mamma mia”, “Don Giuvanne”; le canzoni “Il Vestito di moda”, “Gesù… Gesù… Gesù…”, “Ohé…Ohé…Ohé…”, “ ‘O passapuorto”.
Nella poesia come nel teatro, Eduardo è “mastro miscelatore” di ingredienti varissimi che creano agganci emotivi senza pari: la promessa della felicità, sovente menzognera, fallace, lontana; gli ammiccamenti dell’illusione, la protervia o l’incantata delicatezza del sogno; la stretta della solitudine, il grido di dolore, le risorse della fantasia, la rabbia, la furbizia innata diversa dalla scaltrezza dovuta all’arte di arrangiarsi, le stimmate del cuore, l’irrisione delle brutture, il vigore della semplicità, l’amore per Napoli, pur se ingrata, e una risata che si oppone all’appannamento o alla disgregazione dei valori, soprattutto familiari. La constatazione progressiva che l’antica solidarietà tra parenti, amici, conoscenti, concittadini è minata dall’ipocrisia, dall’egoismo e dalla viltà, da un’inedita sete di profitto, induce Eduardo ad una forma di chiusura pessimistica, con uno stato d’animo perturbato, che trova anelito espressivo dall’introiezione solipsista in un filo appena, tenuissimo, di fede, in una cocciuta, attorta fiducia di fondo, magari negata perché inconsapevole, attraverso una poetica che si aggrappa al passato, in forme introspettive, che sono mandolinate evocative (forse acutamente, sottocutaneamente esorcizzanti) e vogliono allertare le coscienze per il futuro. In questo, la poesia, ancor più del palcoscenico, aiuta.
ARMANDO SAVERIANO
EDUARDO DE FILIPPO – IL PAESE DI PULCINELLA – GRIMALDI & C. ED. 2013, NAPOLI – PP 200 – EURO 30.00
LÀ
Ogne tanto n’auciello.
Doje parole sperdute.
Nu lamiento ‘e canciello
int’‘e mecce arruzzute.
E na voce luntana, luntana, luntana…
ca passa p’‘o munno
cchiù vivo d’‘a ggente,
ca parla e nun sente
ca sta pe’ murì.
E trase, sta voce,
se mpizza p’‘e fronne;
ma l’ombra d’‘e ccroce,
d’‘e mmeze culonne,
n’‘a caccia luntano, luntano, luntano…
‘A sperde p’‘o munno,
cchiù vivo d’‘a ggente,
ca quanno se pente
vulesse trasì.
Ogne tanto s’accosta
‘o penziero sbattuto.
Po’ se ferma, s’apposta
affannanno…ha curruto.
È venuto ‘a luntano, luntano, luntano…
È stato p’‘o munno
mbrugliann’‘e pparole.
Dicenno ca ‘o Sole
nun luce accussì.
Nun tene cchiù voce.
Se mena p’‘e fronne…
Ma l’ombra d’‘e ccroce,
d’‘e mmeze culonne,
n’‘o caccia luntano, luntano, luntano…
‘O sperde p’‘o munno
chiù vivo d’‘a ggente
ca parla e nun sente
ca sta pe’ murì.
*
STATTE ATTIENTO
Quann’ ammore se ne trase
c’‘a resata e c’‘a pazzia,
c’accummencia c’‘a buscia,
tanno nun te lassa cchiù.
Statte attiento p’‘e pparole
pecché ‘o core sent’‘a voce.
Po’ te canta doce doce
quanno nun ce pienze cchiù.
Statte attiento. Pecché ammore
si tu muore camp’‘o stesso.
E sa quanno pass’appriesso?
Quanno t’ha ristrutto a te.
EDUARDO DE FILIPPO
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