venerdì 26 dicembre 2014

SCENE AUGUSTEE


Nel bimillenario della morte di Augusto

(Frammento LXXX di Aristide La Rocca)





Sabato 6 dicembre p.v., nel Salone dei “Medaglioni” della Curia Vescovile di Nola, si è svolta la rappresentazione di Teatro/Poesia “SCENE AUGUSTEE” del geniale, poliedrico, compianto poeta/medico Aristide La Rocca, direttore sanitario del Cardarelli, patron della rivista socio-letteraria Hyria. Ad organizzare e proporre l’evento, significativo nel bimillenario della morte dell’imperatore romano Augusto, la Fondazione “Amelia e Concetta Grassi”, istituita per passione e con lungimiranza dal Nostro, con la collaborazione dell’associazione culturale irpina “Logopea”, fondata e diretta da Armando Saveriano. Amelia La Rocca, spirito longanime e versatile, attaccatissima al valore intellettuale (poetico e teatrale) dei preziosi Frammenti in stile dantesco dell’illustre genitore, rende il doveroso omaggio soprattutto al Poeta sanguigno, colto e complesso, al Drammaturgo, storico attentissimo, con duplice sorpresa autoriale e attoriale. 
Ad introdurre con essenziale finezza la soirée, Francesco La Rocca, che ha costantemente appoggiato e seguito, negli itinerari ricercati e ambiziosi, negli spettacoli di multiplo intreccio, l’erudito e intemerato papà, del quale ha anche abbracciato la professione, e ne abita i domiciliari spazi; prolusione critica a cura del Chiarissimo prof. Aldo Masullo; commento musicale affidato al M° Bernard Labiausse, primo flauto solista del teatro San Carlo. Ai leggii l’epica attrice Eva Pinto Contigiani, gli attori Michele Amodeo, Luigi Palmisano; demiurgo al timone di regia, ed egli stesso interprete nel duale ruolo di Ovidio e di Augusto, Armando Saveriano.
Dopo la clamorosa disfatta dell’armata egizia, e il suicidio della potente, temuta regina Cleopatra, Roma esulta e festeggia nella dimora di Mecenate, doviziosa di estri poetici e di fastosi festini culinarî. Eppure ai danni di Augusto si trama; complotti segreti, sulla scorta di pregressi rancori o sulla scia dell’avidità di potere, vengono orditi e denunciati con pignola e perversa delazione. L’ira di Augusto si abbatterà sui suoi stessi altèri consanguinei, con esecuzioni capitali, umiliazione, dolore, esilio. Non verrà risparmiata la nipote Giulia Minore, né resterà impunito il poeta Ovidio, facitore di immortali versi che conclamano l’amore sublime e l’eros ricercato e torrido, esaltando le imprese di Venere sulla conchiglia, generata dalla spuma del mare. Nel dramma si alternano i toni cuprei della tragedia e le nuances pastello della commedia umana, in momenti che commuovono, nell’accezione latina, e intrattengono, sapidi e lepidi, specialmente nel tratteggio mondano di un inguaribile Ovidio, maturo Ganimede, che la Francia definirebbe, nei suoi gustosi siparî, “vieux garçon”. 
Il teatro/poesia di La Rocca è rivolto ad una nicchia di intenditori esigenti, ma è anche ricco di personaggi che alleggeriscono la tensione, e vogliono strappare un sorriso, offrire una pausa (intelligente) all’intransigenza dei dialoghi serrati, alla fedeltà della base storico-epocale. Lo straordinario estro dell’autore, il suo rigoroso “studium” di caratteri e ambientazioni, l’aderenza alla naturale armonia dell’endecasillabo sciolto trovano compiuta espressione nei cento e più frammenti, specialmente nei tre che a buon titolo sono opere teatrali articolate in atti, scene, quadri: da Scene Augustee a “Teodora-Scene Bizantine” (in cartellone nel 2005 al Teatro D’Europa, con un cast di eccelsa resa, per la regia di Giovanni Vesta e la Direzione Artistica di Armando Saveriano), fino a “Zenobia-Scene Palmirene”.
Un teatro essenzialmente di parola, per molti aspetti in linea con la scuola italiana e britannica del secondo dopoguerra, dove l’intreccio non prevale né prevarica, pur essendo bene innervato ed assai cimentante per quanto concerne l’attenzione. L’autore vuole “ricordare” e far rammemorare (o istruirvi le generazioni nuove e distratte) pagine di reale pregnanza, attraverso una lezione fluida e intensa, che agisca come leva mnestica e risensibilizzante.
Le donne sono spesso le protagoniste di svolte esemplari, che pagano a duro prezzo; dietro ogni grande uomo, c’è una donna volitiva, determinata e battagliera. La Rocca non nasconde ammirazione e simpatia per Cleopatra, per Teodora, per le due Giulie, per Zenobia; e per tutte le figure storiche che hanno impresso, nel bene e nel male, il loro segno, nelle alterne vicende umane: Claretta Petacci, Lady D; o deliziose creature di felice invenzione, come l’arguta, boccaccesca Madonna Filippa, come la metafora muliebre dell’estate, dell’ortensia, della rosa. E tantissime altre, tutte imprevedibili e gustose. Lacrima e risata sono tutt’uno, e così l’indignazione e l’ammirazione, la colpa e il riscatto, l’errore e la catabasi, l’iniquità e il premio, la rinuncia e l’attesa, l’arroganza e l’umiltà, l’eroismo e la paura, la volitività e l’accidia.
Grazie all’iniziativa di Amelia La Rocca, si respira quell’antica, feconda e faconda atmosfera che seppe creare, intorno ad Aristide, e al suo “tempio”, “Hyria”, un movimento di scritture, di progetti di lettura con sorprendenti ricadute/rifrazioni nell’arte visiva, in campo musicale, tersicoreo: “Simbiarte”, contenitore di teatro/immagine, che sviluppò in illo tempore un proficuo tour tra Napoli e Roma, Torino e Reggio Calabria, Avellino e Benevento.
Hyria accolse e forgiò poeti di cifra; ospitò senza pregiudizi e senza preferenze il mito-modernismo, il neo-barocco, l’haiku ‘giapponista’, il genere epico e lirico, la garbata satira e la mordace invettiva, il verso scabro e tranchant, quello ornato e incline all’accumulo, la sferza ai vizi sociali e l’ode all’eternità di artisti e di ineffabili maîtres à penser. Divenne insomma, sotto la conduzione ferrea ed oculata di Aristide, un punto di riferimento imprescindibile per la critica agente non soltanto nell’hortus conclusus di una letteratura emancipata, se vogliamo aristocratica e mai snob, estensibile ad un sapere reticolare, a un meditare obiettivo e consapevole sui fermenti politici, economici, religiosi e scientifici. Non ultima l’elaborazione dell’importante manifesto della Poesia Mediterranea.
Successo per gli interpreti, per il flautista, per il regista, che nei paludamenti del galante Ovidio, al tramonto delle facoltà amatorie, ma irriducibile estimatore della donna e della femmina, come nella maschera marmorea, crudele eppur patetica dell’imperatore minato dalle endogene tènie della sua gens e dal marasma clinico, insorgente per l’età e a causa del “peso” del comando, ha dato il meglio di sé, dosando cum grano salis tecnica, improvvisazione o ritocco innovativo.

                                                                                                       LOGOPEA  



Amelia La Rocca

Nessun commento:

Posta un commento