venerdì 17 ottobre 2014

L’AGO DEL POSSIBILE





      Ricezioni assimilazioni alterità in Franca Maria Catri


Una poesia generosa, testimoniante, con un ordito tra prosa e canto, un incontrovertibile interloquire della coscienza multipla ardente e sacrale quanto consapevole del profano; così avvia le meditate sue variazioni con una chiarezza d’intenti immediata, le distillate essenze di una osservazione che è fiamma fissa nel lavoro poetico, la Franca Maria Catri, che troppo a lungo ha atteso il nostro preannunciato interesse per il libro “Uccelli di Passo”, inserito nella collana “Gazebo” di Mariella Bettarini e Gabriella Maleti.
Sfora la luminanza di un’ascesi tecnica incomparabile, che non è prima ad impressionare quanto la distillazione di una verità quasi stupefatta eppure tersa e miracolosa, di una calligrafia preservata dal virtuosismo in ogni stanza, in ogni appoggiatura. È la sostanza ad affascinare, ad avvolgere nell’attenzione la figura del lettore che sente in sé l’umiltà del novizio e un rinnovato rispetto di fede nella poesia. Non è una teoria claustrale di rarefazioni che esigono l’austerità della maturazione: i versi spandono tutta la loro tensione in spazi aperti, non solo smorzati e spirituali, ma avidi di natura e di danza, di frastuono, richiami, piogge e ceneri in terrazzi, teorie di pioppi, pentagrammi di emozioni tra spie di sole e petali di tenebre. Entra ed esce, la Catri, con leggerezza e misura, tra l’adagio e l’andante: modula i sospiri, mostra le legature dolenti e regali con l’ieri, si rivolge a tutti gli affini alla sua pacata, armonica malinconia, senza disseminare addii o promesse facili di ritorno, rispettosa delle proprie e altrui ferite, come se camminasse “incontro e avanti” a chi la accoglie con il libro tenuto lievemente tra le mani ferme e assorte.
“Uccelli di passo”, si potrebbe dire, parla di igiene del cuore, di mediazione tra fervore e vigilanza del turbamento, di equilibri sollecitati nel campo di una giustizia che trascende l’uomo e i miti; la poetessa trasfonde nella visione un senso di possesso predestinato, pronuncia parole che vanno ad appagare lo spirito oppure ad urtarlo, per indurlo alla indagine dei molteplici piani della realtà, in un’impresa forse impossibile e vanificata dalle paure e dalle passioni, volta a decifrare il mistero delle mutazioni o quello di un apparente stertore immobilizzante. Sono, le nostre, “vite contratte da abitare”; “a denti stretti ci spetta/il nostro acconto di eternità…l’avventura di un paradiso in affitto…noi inermi guerrieri di ipotesi”. Quanto contano l’ombra e la luce, la rosa o la pietra in una promessa d’eternità? E la morte è l’assenza dell’io mentre per altre egoità la vita procede imperterrita, indifferente, al riparo dall’introspezione d’angoscia, elevando impalcature di scotoma? E il valore di eterno è il nulla, non certo l’illusione degli umani percetti che credono d’inglobare il tutto. Se all’idea di morte si accordasse l’estrema attenzione finirebbe l’ipnosi, s’infrangerebbe lo schermo e la sofferenza sarebbe prometeica, la storia, con le sue variegate alchimie, spezzata. Gli uccelli di passo non griderebbero più, non soggiacerebbero a quel necessario equivoco dell’immaginazione; forse preferiscono ghermire “la farfalla oracolare, enigmatica e sospesa”, tenerla nel becco, ponendo domande di cui non si vuole, ammesso che provenga, ascoltare risposta. Il tempo è ciò che avviene, programmato, casuale, fortuito, avvertito, una fucina che forgia e discioglie al di là di noi, delle prospettive, delle ambizioni, dell’agitarsi, delle preghiere. Poesia di una fattualità agghiacciante entro una tenuta geroglifica, dove ogni somiglianza o profezia è scomposta in una nuova ricomposizione. Pesiamo le parole della Catri come fossimo rispettosi studiosi delle faglie di un insieme indipendente e inseparabile, diretto a un orecchio disciplinato e fine, al di là di debolezze e pregiudizi, un orecchio-occhio che assiste al manifestarsi del conosciuto nello sconosciuto, e viceversa, mentre tutti ci sfiora l’ala o l’ineffabile passo dell’inconoscibile. I transiti del gesto verbale sono purissimi, una costante di questo libro, un osservatorio dell’esperienza tragica e lieta, un notes di quanto pare innocente ed è raccapricciante, mentre ecco che dal sole della sera emerge un antico o sottovalutato o dimenticato approdo: si chiami forse Liana, faccia ancora cantare la ghiaia, riapra Leopardi in sorellanza o sia tondo della luna negli angoli, la voce delle mani nel tufo, il vento intorno al nostro amore e dopo.
                                                                                                                             
                                                                                                  
                                                                                                   ARMANDO SAVERIANO




Franca Maria Catri – Uccelli di passo – pp. 48 –  Gazebo Libri – ottobre 2013 –  s.i.p.

*

macerie

c’è un punto muto nel tempo
ala sfinita al volo
copre l’ora di chi
cuore di cenere
seduto sull’ultima pietra
guarda l’ombra rimasta
fermo
senza aspettare
è sacra
la forma in meno
goccia di fuoco ardente
eternità
forse più
non fosse indolore la roccia
se inorridisse
indicibili corpi appena
sollevati dall’incarico
storia non un granché
(storie di erosi segni
sogni di legni e regni
raggi di ragni)
a fermo immagine 
caduto in quest’ombra e cieco
occhio di luna
nella medesima ora e per sempre
l’alba scioglie ogni traccia
le viole stanno spalancate
tutto torna al suo peso
la rondine sta per gridare


Franca Maria Catri

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