martedì 23 settembre 2014

GESUALDO RICORDA IL SUO D’ERRICO - Affluenza e commozione degli amici veri

L’uscita di scena di un personaggio pubblico, che nel privato è stato un grand’uomo, coerente con i suoi princìpî morali, è un colpo forte inferto alla società culturale e agli affetti autentici. Giuseppe D’Errico ha vissuto la sua lunga vita alla luce pacata della modestia, all’insegna dell’onestà e del lavoro. Dedito alla famiglia, ha onorato l’arco felice della creatività assecondando la vena di scrittore e quella di musicologo, senza conoscere le molle sferrate verso l’ambizione e la conquista di un primato. Intorno a sé ha sparso la sicurezza degli ideali e la tranquillità di un uomo pago e sereno.
Gli amici non dimenticano la sua accoglienza, il conforto gentile, i contributi al giornalismo, alla scuola, alla poesia, e versano una lacrima sofferta, assai dolce. La famiglia perbene, consolidata grazie all’esempio di un padre e di un marito accorto e coscienzioso, guarda ancora e sempre a lui con una dignità cristallina, e lo rammemora non come una figura dal profilo ormai evanescente, ma come una eterea essenza pregnante a cui è facile rivolgere sempre un sorriso e porgere la mano.
Sicché, la comune idea di raccogliere in un volume testimoniale il patrimonio emotivo e morale che egli ha edificato quiggiù in Terra per giovamento e guida ai parenti, ai sodali, ai collaboratori, agli ammiratori, ai colleghi presidi, è stata accolta immediatamente.
Paolo Saggese ha chiamato tutti a raccolta per una testimonianza individuale che componga l’esteso e resistente mosaico degli omaggi in amore e in gratitudine. Il libro ha preso forma, verrà stampato e messo a disposizione, durante eventi pubblici tra Avellino e Gesualdo, paese dei natali, in tempi ragionevolmente brevi.
Intanto il territorio delle origini accoglie in un intenso saluto corale, nella sala consiliare del municipio, il professore mite ed esigente, il poeta lirico in assoluto, il narratore di novelle e racconti dal piglio realista e dalle punte d’ali rosate e fiabesche, l’autore di musiche di sogno e di canzoni, il saggista, il drammaturgo che ha saputo trarre ben prima di Benigni il garbo e una goccia di miele dagli orrori della Shoah.
Il diciotto di agosto si sono levate le voci accorate di quanti lo hanno affiancato in progetti e intenti, di quanti solo a lui potevano ricorrere con la sicurezza di venire ascoltati, di quanti ne hanno goduto la compagnia e i benefici del cuore aperto e ipersensibile. L’atmosfera che vibrava nel luogo di confluenza bandiva ogni angoscia e celebrava la soddisfazione di parlare a tu per tu con un uomo, di un uomo probo, parco, virtuoso,  limpido, franco, dalla reputazione impeccabile e dalla cifra inossidabile. Si sono alternate le rimembranze del preside Alfonso Cuoppolo, di Alfonso Nannariello, di Giuseppe Iuliano, di Salvatore Salvatore, di Nicola Prebenna: tutte mosse e un tantino scosse dall’emozione.
A un certo punto noi abbiamo avuto addirittura la sensazione che assiepata dietro invisibili banchi ci fosse anche l’adunanza sottile dei più, degli scomparsi che lo hanno accolto nei giardini di un mondo migliore: per esempio l’amico poeta e preside Pasquale Martiniello, commosso per quanto la nobile famiglia D’Errico/Martino si prodighi nel dimostrare la compattezza e la bellezza di un legame puro, scevro da interessi pragmatici ed estraneo a ogni miseria. Una famiglia integra e meravigliosa che ha saputo e sa apprezzare gli afflati di quanti si sono sempre stretti intorno all’animo scintillante dell’illustre dipartito.
Riferiamo con perfetta commozione un aneddoto: di ritorno ad Avellino, dopo il convegno in fratellanza, la figlia Giusy e la compagna Rosanna ci hanno consegnato, con tremulo pudore, un pacchetto, un accurato involto che il preside aveva serbato per noi e che non aveva avuto il tempo e l’occasione di offrire direttamente o di far pervenire. Conteneva un magnifico fermacarte di cristallo, con una coccinella della fortuna adagiata in un angolo, tutta argentata. Ecco, in simile & diversa circostanza, lì riprovevole e sciagurata, ben altro ci venne (SIC!) recapitato da eredi inqualificabili: una diffida per aver dato alle stampe su una rivista di libera collaborazione la nostra prefazione e un paio di poesie tratte dall’ultimo libro dell’autorevole scomparso, mai, da quasi cinque anni a questa parte, pubblicato dai membri (agiatissimi) di quella famiglia!!!!!!
Coloro – e non pochi –  che sono a parte di tale episodio ancora tentennano il capo, e compatiscono.

O quantum est in rebus inane! Difficile est satira non scribere…
Il male, il rancore, l’invidia e l’avidità per La Roba, la rincorsa al labile prestigio professionale sono peccati che non allignano nei componenti l’insigne Famiglia D’Errico, schiva, riguardosa, leale, riconoscente, schietta, pulita.
Mentre congiunti e amici già si pongono l’obiettivo di riordinare il congruo materiale inedito di Giuseppe D’Errico, non possiamo non rattristarci nel pensare ad analoghe eredità letterarie sperse o relegate nel ristagno delle polveri e dei maceri, per indifferenza, ignoranza, piccolezza e meschinità di chi, indegnamente, inerte resta, ed eleva pretestuosità bizantine, invece di ardere nel rossore consapevole dello scorno.
                                                                                           ARMANDO SAVERIANO

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