domenica 29 giugno 2014


LA STORIA DI COME RE GREGORIO MARTINO, DETTO IL GENEROSO, PERSE TUTTO PER COLPA DELLE FIGLIE E DI COME RIACQUISTO’ LA SUA FORTUNA

Questa storia è stata concepita dai bambini del PON di Scrittura Creativa dell'Istituto Comprensivo "Padre Andrea Martini" di Castel Baronia. In attesa dalla sua prossima pubblicazione su formato cartaceo, la proponiamo qui, accompagnata da alcuni disegni dei bambini coinvolti.

C’era una volta in un reame lontano tre o quattro giorni di cavallo da Nottingham (più o meno tra Derby e Burton sul Trent), un re dal nobilissimo nome di Gregorio Martino, ma in tutto il Nottinghamshire era famoso come ‘Il Generoso’, per la sua straordinaria prodigalità e le sue eccezionali doti di buon governatore. Questo re di discendenza cristiana aveva due figlie che non potevano essere più diverse: la prima, Adriana, era colta e molto ben istruita, aveva tante qualità, ma purtroppo non poteva vantare una grande bellezza… Invece la sorella più piccola, Elisabetta, era incredibilmente bella, ma non apriva un libro neanche se l’avessero costretta legandola ad una sedia (e una volta ci hanno pure provato…).

Alla corte di re Gregorio Martino ‘Il Generoso’ vi era un uomo coltissimo venuto dalla Normandia: si chiamava Abelardo e dopo aver viaggiato per tutta l’Inghilterra, si fermò in quella corte perché il re gli aveva offerto di fare da maestro alle figlie.
La principessa Elisabetta però prestava poca attenzione alle lezioni del maestro: riteneva che poesie come quelle francesi e italiane e opere letterarie come quelle latine erano del tutto inutili per i giovani del suo tempo. E inoltre, riteneva che la scienza fosse noiosa e che nessuno aveva voglia di perdere un sacco di tempo a fare conti su conti: “Che senso hanno le moltiplicazioni?”, diceva la principessa sfaticata. “Non è più meglio fare tante addizioni?”.

Fu così che tutto infastidito Abelardo andò dal re a lamentarsi:
“Vostra Maestà…”.
“Ditemi, Abelardo, coltissimo uomo di lettere, scienziato e astronomo acutissimo”.
“Vostra Maestà, la principessa Elisabetta svilisce il mio operato ed il mio sapere!”.
“Ah, Abelardo! Ti capisco e ti compiango! Ma credimi, mia figlia Elisabetta, anche se rimarrà ignorante come un’asina, saprà giovare al regno, quando io sarò in regni ben più alti di quelli terreni…”.
“Maestà, che dite?” chiese preoccupato lo studioso.
“Quando io sarò di fronte a San Pietro per entrare in Paradiso, sarò sereno, perché se anche il mio regno andasse nelle mani di Elisabetta, la sua bellezza richiamerà tanta di quella gente e appacificherà tanti di quei popoli che per tutta la sua vita sarà garantita felicità e pace al regno.
Ma non vedete come già adesso la folla si raduna alle porte di questo castello solo per poterla vedere fare capolino tra le tende della sua camera? Giuro che una volta ho visto un contadino svenire solo perché lei gli aveva rivolto un cenno!”.
“Questo che mi dite, Maestà, lo vedo tutti i giorni. Ho visto contemporaneamente uomini rispettabili e villici perdere il senno mentre lei scendeva per lo scalone esterno della torre est, quello che dà verso il mercato. Ebbene, quando la domenica il mercato è affollato, loro si accalcano sotto la parete orientale del castello e lanciano baci come se fosse Venere in persona! E i più colti a gridare ‘Mirabile visione!’, ‘Prodigio di bellezza!’, e i villani a strillare ‘Guarda che pupa!’, ‘Che bambola!’”.
“Se lo sapete, Abelardo, qual è il problema?”.
“Il problema è che vostra figlia non studia, e sebbene possa avere qualità naturali che gioveranno al regno, non sono sicuro che sarà in grado di reggere e amministrare la corona secondo le leggi del buon governo: quando le ho detto di leggere le opere politiche di Isocrate e Plutarco lei mi ha detto che non voleva perdere tempo a leggere i loro scarabocchi! Invece la principessa Adriana li ha letti con passione e mi ha presentato un commento scritto IN GRECO ANTICO!”.
“Sapete bene”, rispose il re, “che sono orgoglioso tanto della bellezza di Elisabetta, quanto dell’intelligenza di Adriana. Fui preveggente quando decisi di darle il nome del colto imperatore romano. Lei però non è bella… Mi dicono che per il popolo si è diffusa questa battuta: ‘Il re ha per figlie una capra: una intelligente come una capra, l’altra bella come una capra!’. Ad ogni modo, il popolo può ridere quanto vuole: io rimango sereno anche se il mio regno dovesse finire nelle mani di Adriana. Quindi state sereno anche voi, Abelardo: i vostri precetti saranno comunque utili al futuro di questo paese”.
“Come desiderate, vostra maestà”.

Fu così che la vita al castello riprese tranquillamente, fino a quando Adriana iniziò ad essere invidiosa delle attenzioni che il popolo e la nobiltà riservavano alla sua bellissima sorella. Si chiedeva: “Come può un nobile, un cavaliere, un duca, essere così insensibile alle mie citazioni colte e alle mie argomentazioni, ma sciogliersi come la neve ad Agosto al cospetto di una fanciulla che non ha alcun argomento buono a sostenere una conversazione seria?!”.

E fu proprio durante il gran ballo della vigilia di Natale che l’invidia della figlia segnò l’avvenire delle fortune del ‘Re Generoso’…

Come ogni anno, re Gregorio Martino organizzava un gran ballo nella sua sala del trono, dove radunava tutti i più grandi nobili britannici del tempo.
C’erano Sir Galeot dall’Oxfordshire, Clarence Boyd Maryweather arciduca del Suffolk, Sir Clifton Glower conte di Newton Abbot, il barone Jonathan Kyd Thomas dal vicereame di Scozia, l’arcivescovo di Cambridge Ben Gunn Griffith, il principe Gano del Sussex, il visconte Eginardo da Basquerville, la contessina Mary-Anne Stewart dal Surrey, il colonnello Llewyn Clark Ellesmire dal Galles del nord e persino Sir Paul John Martin da Liverpool sul Mersey.
Ma il più bello e notabile di tutti, quello che tutti gli uomini e le donne (e soprattutto le donne) invitati alla festa stavano aspettando era lui: Sir Norman Whiteside marchese di Belfast e futuro principe di Manchester.

Adriana si fece avanti come tutte, e tra tutte quelle dame che gli facevano una corte spietata, il marchese rimase sinceramente colpito dal suo arguire e dal suo dissertare. Parlarono per ore di Cicerone e di Virgilio, ma proprio mentre Adriana aveva iniziato a parlare delle implicazioni socio-politiche delle Georgiche, ecco che apparve luminosa la sorella Elisabetta. Come la luce della luna rompe il buio della notte causando l’ira di quegli animali che di notte cacciano, così Elisabetta interruppe la conversazione, causando l’ira di Adriana che già pregustava il saporito bottino della sua singolare caccia.

Adriana, con lacrime miste di tristezza e rabbia, scappò via dalla sala per rifugiarsi nelle sue stanze e nascondere l’invidia, l’ira e l’imbarazzo che il suo volto umido e i suoi occhi gonfi non riuscivano a celare. Ma nell’andare via veloce, vide il suo maestro che usciva di soppiatto dalla porta che conduceva allo scantinato. Incuriosita dal suo fare misterioso, lo fermò e, con la scusa di discutere con lui alcuni passi della scienza di Aristotele, lo trattenne e riuscì furbescamente a sottrargli la chiave che l’erudito aveva infilato frettolosamente in una tasca troppo larga.
Liberatasi dal maestro, la ragazza entrò rapidamente in cantina e scese con cautela le antiche e buie scale: era da quando era bambina che il padre le impediva di andare lì sotto, adesso poteva finalmente vedere cosa ci fosse in quell’antro oscuro! Mentre scendeva le scale già ricordava le storie che da piccola immaginava intorno a quella cantina proibita e profonda, quando ecco un bagliore verdastro stagliarsi sul fondo della stanza. La ragazza provò un attimo di intensa paura, ma la sua cultura e i suoi studi le avevano insegnato a non credere scioccamente al paranormale: “Quello che ho davanti”, pensò, “ non è un fantasma: questa luce sarà semplicemente il riflesso di qualcosa di scintillante, quindi un metallo o una pietra preziosa”. E infatti Adriana aveva ragione: avvicinatasi con rinnovato coraggio al misterioso bagliore, poté constatare che si trattava di uno smeraldo intagliato finissimamente.
Questo smeraldo sigillava la serratura di uno scrigno. Per la curiosità che guidava i suoi studi, Adriana decise di aprire questo piccolo forziere per scoprire cosa ci fosse dentro. Trovato un vecchio candelabro, lo usò per forzare la serratura, con successo.
Ma a quel punto, sollevato il coperchio dello scrigno, una luce abbagliante la fulminò. La principessa arretrò e quasi accecata da quel lampo strano, tornò di corsa in camera sua, senza però dimenticare di chiudere la porta della cantina.
Il gran ballo intanto proseguì regolarmente, ed Elisabetta ballò a lungo col marchese Norman, che però dovette abbandonare presto la festa per tornare in Irlanda del Nord.

Il mattino seguente, il giorno del santo Natale, Elisabetta decise di andare per la città a comprare i regali che consuetudinariamente si fanno in questo giorno di festa. E, fiduciosa del suo aspetto, era sicura che i commercianti del paese avrebbero fatto a gara per attirarla nei loro negozi e offrirle la loro merce.
Ma non avvenne nulla di tutto questo.
Le bastò entrare nel primo negozio per capire che qualcosa non andava: il negoziante la accolse quasi inorridito… E fu proprio in quel negozio che per la prima volta in quel mattino le fu possibile guardarsi attentamente in uno specchio: era diventata bruttissima! Era brutta come sua sorella! Anzi: era sua sorella!
In fretta e furia, tra l’ira e la vergogna, si diresse veloce al palazzo, irruppe nella stanza della sorella che ancora dormiva e iniziò a riempirla di botte! Calci e pugni che avrebbero steso un cinghiale! “Cosa mi hai fatto? Perché ho la tua faccia e tu la mia?!”.
Adriana non ebbe il tempo di spiegare il motivo di questa singolare inversione, anche perché non riusciva a trovare le parole: non le venivano proprio in mente! Aveva perso tutto d’un tratto la sua dotta capacità di linguaggio e adesso parlava… come la sorella!
La loro zuffa continuò per tutto il palazzo, e misero in subbuglio stanza su stanza, fino ad arrivare nello studio di Abelardo, che stava tenendo degli esperimenti di chimica. Sconvolto da tale trambusto, l’erudito corse dal re e senza mascherare la sua preoccupazione gli rivolse queste parole: “Sire: hanno scoperto tutto!”.
Il re fu preso da sgomento e si precipitò verso la cantina: quello scrigno segreto doveva essere richiuso affinché le diverse personalità delle figlie potessero rientrare nei rispettivi corpi! Purtroppo nella corsa il re prese un brutto scivolone: Ermengarda, la servetta del palazzo, dopo il gran ballo aveva pulito e passato la cera nella sala del trono. Il sovrano ruzzolò giù per lo scalone di marmo, aggrappandosi a tende, drappi, arazzi, armature, decorazioni e suppellettili varie pur di fermare il suo moto precipitoso, ma così non fece altro che peggiorare la caduta che gli procurò una commozione cerebrale, la rottura del piede sinistro, del mento, del mignolo della mano destra, di una costola e mezzo, dell’ulna e di un altro osso che fu scoperto in quella occasione.

Alla notizia delle condizioni di salute del re, la regina Heather, che era nel Devon dalla zia, l’arciduchessa
Faith Nestorina Bluthenthal di Exmouth, tornò a casa più in fretta che potesse, costringendo i cavalli che tiravano la sua carrozza ad uno sforzo sovrumano, anzi: sovranimale.
Arrivata al palazzo dopo pochi giorni, poté subito parlare con il marito: Abelardo, infatti, dotto come era di ogni scienza, aveva medicato molto bene il re, che ora, pur essendo convalescente a letto, era in grado di parlare.
Spiegatale la situazione, la regina Heather tentò di risolvere il problema con Abelardo, che pure sapeva del sortilegio di quello scrigno segreto. Il problema però era questo: non si trovava più la chiave! Infatti l’aveva rubata Adriana, ma purtroppo era andata perduta nella zuffa con la sorella!
Fu così che il regno attraversò un periodo molto difficile: infatti con il re in quelle condizioni, e le figlie così scombinate, il reame si avviò ben presto alla fine delle sue fortune e di quelle dello stesso sovrano.
Certo, poteva reggere il potere la regina, o anche Abelardo, che godeva della massima fiducia e stima del re. Ma la regina non sapeva dove mettere le mani: sebbene fosse una donna nobile e abbastanza istruita, non sapeva assolutamente come amministrare uno Stato. Abelardo poi era uno scienziato, un tecnico, e per governare efficacemente un paese ci vuole ben più della conoscenza tecnica e dell’erudizione.
E fu così che la fine del povero re Gregorio Martino, detto ‘Il Generoso’ arrivò prima che arrivasse la primavera.

Le ricchezze del re finirono presto in mano a mercanti e uomini d’affari che speculavano sulle disgrazie altrui. Il sovrano quindi fu costretto a lasciare il castello e la sua città.
‘Il Generoso’, sua moglie Heather e le figlie, insieme al fido Abelardo, iniziarono allora un lungo peregrinare per tutta la Gran Bretagna, da nord a sud, da est a ovest, dalle bianche scogliere di Dover a Falkirk, in Iscozia, da Stockton, nel nord Yorkshire, a Tywyn, nel Galles, dove furono raggiunti dalla notizia che un mercante di Bristol aveva comprato il palazzo e aveva venduto tutto quello che c’era dentro! Tutto!
Il re allora si rassegnò a quel girovagare incostante, e accettò il suo destino: non gli rimaneva che tenersi le figlie così scambiate e ancora incapaci di parlarsi, e di stabilirsi in un luogo dove ripartire da zero: il re (anzi, l’ex-re) Gregorio Martino non accettava aiuti dagli altri nobili di Inghilterra: “ Sono i re che devono fare la carità, non riceverla!” ripeteva alle figlie che insistevano affinché accettasse i doni e le offerte delle persone che volevano aiutarli.
Fu così che Gregorio Martino, che oramai nessuno più chiamava ‘re’, si stabilì in una baracca sulle sponde di un lago poco fuori Lancaster. Nella baracca c’erano solo cinque letti e un tavolo incastrati chissà come in quello spazio così angusto. A quel punto Gregorio Martino possedeva solo i vestiti che aveva indosso, una Bibbia e un libro di Cicerone sull’amicizia che amava commentare con Abelardo: questo era uno dei pochi momenti lieti che quella vita difficile gli concedeva.
La famiglia così riunita si era stabilita su quelle sponde perché l’oramai ex-re era riuscito a comprare quella baracca e una canna da pesca con i soldi della vendita di un vecchio libro di un anonimo poeta inglese.
Ora che aveva venduto tutto, quella canna da pesca era l’unico mezzo di sostentamento per la sua famiglia.

La pesca fu magra in un primo periodo, ma poi ‘Il Generoso’, applicandosi con dedizione, fatica e sacrificio a questo nuovo e umile mestiere e imparando dalle lezioni che la dura natura gli impartiva, divenne un ottimo pescatore e un profondo conoscitore della pesca e dei pesci: presto finì col trovare piacere nell’applicarsi in un’attività che richiedeva ingegno e manualità.

Quando oramai la sua bravura gli permetteva di pescare qualsiasi pesce incappasse nel suo amo, ‘Il Generoso’ si ritrovò davanti a un pesce enorme che passando vicino alla sua sponda gli mostrò la lingua in segno di sberleffo. Fu così che dentro quella bocca aperta il re, o meglio, l’ex-re intravide un bagliore verde… Avrebbe riconosciuto quel bagliore ovunque: era lo scrigno che stava nel suo palazzo! “Qualche mercante l’avrà comprato e di mano in mano sarà arrivato fin qui, finendo poi per essere mangiato da quel pesce!” pensò emozionato ‘Il Generoso’.
Fu così che preso dalla foga si tuffò nel lago e inseguì il pesce che guizzava di roccia in roccia. Gli aveva quasi afferrato una pinna quando si ritrovò davanti a un pesce grande come un toro: era uno squalo!
Il re scappò più in fretta che potesse e uscì dall’acqua aggrappandosi a un albero i cui rami sporgevano sul lago.
Tutto bagnato e tremante di freddo e paura, il re tornò nella baracca, raccontò il tutto e con Abelardo pensò a come fare per riottenere quello scrigno e quindi le sue fortune.
Non aveva senso cercare di pescare quel pesce: quella linguaccia dimostrava che era troppo furbo per farsi pescare. Però sott’acqua era quasi stato preso…
Abelardo allora preparò un intruglio capace di far stare sott’acqua l’ex-re per due ore, così da poter acchiappare il pesce, nella speranza che non si ritrovasse di fronte lo squalo…

La mattina dopo, all’alba, ‘Il Generoso’ si tuffò per andare ad afferrare il pesce e con esso le proprie ricchezze.
Passò mezz’ora prima che lo vedesse, ma una volta visto iniziò un inseguimento sfrenato. Il pesce però era furbo e aveva visto che il giorno prima l’uomo era scappato in preda alla paura dello squalo. Così passò di fronte alla sua grotta e in un attimo ‘Il Generoso’ da inseguitore divenne inseguito. Riuscì a rifugiarsi celermente in un anfratto, tutto palpitante e ansioso: oramai mancavano pochi minuti prima che la pozione cessasse il suo effetto.

Ma la fortuna stavolta aiutò l’uomo nel suo tentativo di riacquistare le sue fortune da re: in quell’anfratto l’uomo trovò una lancia, finita lì perché in quel periodo a Lancaster imperversava la guerra.
Afferratala, ‘Il Generoso’ uscì feroce dal nascondiglio e affrontò lo squalo. Appena il bestione spalancò le fauci, gli piantò in bocca la lancia con tutta la forza e la rabbia che quell’inseguimento senza sosta gli aveva procurato. Così ferito, lo squalo scappò.
Con l’ultima aria che gli era rimasta, prese subito il pesce che stava inseguendo prima: molto scioccamente infatti quell’animale acquatico si rilassava e si beava tra le alghe perché era convinto che lo squalo aveva sistemato lo scocciatore umano.
‘Il Generoso’ uscì dall’acqua in tempo con il pesce sotto il braccio e veloce afferrò una pietra per schiacciarla sulla testa di quel mascalzone con le pinne, quando improvvisamente: “Fermo!”.
L’uomo si fermò stranito.
“Fermati re Gregorio Martino, detto ‘Il Generoso’! Sono io che ti parlo! Sono il pesce!”.
“Tu parli? E per quale sortilegio?”.
“Eh, è una lunga storia, vostra maestà. Troppo lunga da raccontare in una favola sola… Ma forse potrò raccontarvela l’anno prossimo…”.
“E sia. Tu però continui a chiamarmi re, ma è da tempo che nessuno mi chiama così…”.
“E che c’entra! Io sono un pesce, mica un uomo! Io vi chiamo come mi pare e piace, Vostra Altezza, e mi appello proprio alla vostra natura di sovrano: voi ora non avete regno, non avete potere… ma avete il potere di decidere della mia vita. Vostra Maestà, vi prego, non uccidetemi, vi supplico. Io sono solo un pesce: che senso ha vendicarsi col sangue versato di un pesce? Rendete onore al nome che vi ha dato il popolo della contea di Nottingham, che ancora vi ama. Ordunque, siate ‘Generoso’! Rendetemi salva la vita e io realizzerò un vostro desiderio”.
Il re, commosso da questo appello e dal ricordo delle sue precedenti fortune di sovrano, agì come il re che era sempre stato: perdonò la sfacciataggine del pesce e gli chiese solamente che gli restituisse il suo scrigno, cosicché ogni cosa potesse tornare al suo posto.
Il pesce fu di parola ed esaudì il desiderio del nobiluomo.

Tornato a casa,’il Generoso’ fu felice di vedere che c’era una grande festa nella sua baracca: le sue figlie avevano riacquistato le rispettive personalità!
Festeggiarono con grande allegria, anche se con scarsità di mezzi, e la mattina seguente le principesse erano pronte a tornare con la regina nella contea di Nottingham, dove erano sicure che la popolazione le avrebbe accolte e rimesse a capo del loro vecchio regno in virtù dell’amore per la famiglia reale e del suo secolare buon governo.
Ma il re quella mattina non voleva partire…

Mentre le figlie e la moglie già si avviavano sulla strada, lo notarono seduto sulla sponda dove si metteva di solito a pescare.
“Non voglio partire, non voglio tornare a Nottingham” disse. “Credo che qui starò benissimo. Qui ho imparato la bellezza della natura, ho imparato che essa ha tanto da darci, se noi la rispettiamo e sappiamo imparare da lei. Ho provato la soddisfazione unica di procurarmi da mangiare con le mie stesse mani, la soddisfazione di tornare a casa stanco e sudato, con le mani incallite o ferite dalla fatica del lavoro manuale. E questa soddisfazione mi ha fatto sentire libero da tutte quelle preoccupazioni che assalgono gli uomini, soprattutto quelli di governo. E allora, come può essere più felice un uomo libero? Di cosa ha bisogno un uomo che di fronte a sé ha a disposizione l’intera natura? Qualcosa da mangiare e un giaciglio basteranno alla sua felicità.
Sì, è vero, sono stato un re. Da un po’ di tempo a questa parte sono stato solo un uomo. Sì, ero sempre Gregorio Martino, ero sempre ‘il Generoso’ che sono sempre stato, ma non ero più un sovrano. Ora sarò un pescatore. Rimarrò qui, felice e povero, non perché prima io sia stato lussurioso o mi sia dato a vizi e mollezze, ma perché non c’è miseria nel fare ciò che si ama. E io amo tutto quello che  faccio intorno a questo lago, amo la vita che pullula in questi boschi, le erbe che colgo per condire i miei pasti, i gufi che mi fanno compagnia quando accendo un fuoco nella notte umida, le stelle che mi illuminano il capo quando d’estate dormo all’aperto. Non avevo mai provato nulla del genere a corte.
Perciò andate, ora che ho risolto i vostri destini, sono sereno e felice, e non mi interessano più le cose umane. Guerre, mercanti, ladri, ricevimenti, preti, affari, soldi, nobili… sono cose che di fronte alla magnifica semplicità della natura non hanno alcun senso.
Andate alla vostra corte, senza biasimo. Non vi obbligo a fare le mie scelte, se non lo fate per la vostra felicità. Siete felici a Nottingham? Andate a Nottingham. Siete felici a Londra? Andate a Londra. Voi mi troverete sempre qui, a pescare, e io sarò felice di accogliervi quando avrete bisogno di me.
Elisabetta e Adriana: siete due splendide ragazze, per motivi differenti, e so che per motivi differenti sarete delle buone governatrici. Vedo che questa lunga e dolorosa esperienza vi ha insegnato a rispettare ed amare le reciproche qualità che prima ignoravate o disprezzavate. Vogliatevi bene, come io ne ho voluto e ne voglio a voi.
Heather, moglie mia, sai quanto sei stata fondamentale nella mia vita, nella buona e nella cattiva sorte. Una compagna come te è la forza più bella che possa trovare un uomo nei momenti di difficoltà. Amore mio, sai che per me sei come l’aria che respiro, e di fatto aria altissima e pura porti nel tuo nome, Heather. Sei stata la stella silenziosa che mi guidava nell’ora buia. Ora però va’ con le tue figlie, e pensa adesso alla felicità tua senza le preoccupazioni che un marito re può averti dato.
Abelardo, amico mio fraterno, non essere sciocco, segui la mia famiglia. Loro hanno ancora bisogno di te, della tua cultura, dei tuoi consigli. Io starò bene anche da solo: qui ho di che meditare e pensare. E so che questa vita attrae anche te, ma sii forte e fai il tuo dovere: vai con loro. E’ l’ultima cosa che il tuo amico e re ti ordina”.
Tutti commossi abbracciarono il re che, divenuto uomo, volle farsi pescatore. Sua moglie Heather lo strinse lungamente, ricoprendolo di baci confusi con lacrime.

Così le donne e Abelardo tornarono nel Nottinghamshire, e il re-pescatore ‘Generoso’ iniziò la nuova vita da eremita.
Ma la storia straordinaria del re-pescatore si diffuse per tutta la Gran Bretagna, e poi per la Francia, la Danimarca e il resto d’Europa, e tutti i più grandi re europei si recavano nei pressi di Lancaster per parlare con quel saggio ed umile pescatore.
La sua storia, pertanto, non si ferma qui. Come pure quella delle sorelle: governeranno insieme? O sarà il popolo a decidere? Ci sarà una guerra per deciderlo? E a proposito di guerra: come finirà la guerra di Lancaster? E poi: per quale sortilegio il pesce riesce a parlare? Chi ha fatto questo incantesimo? E perché c’era un scrigno incantato nella cantina del castello?
Queste ed altre domande troveranno risposta solo al prossimo PON!

Oriana Bardaro, Domenico Leone, Anna Maria Lo Russo, Maria Pia Petillo e Chiara Spagnoletti, con la supervisione di Angelo Iermano.

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