venerdì 18 aprile 2014

AZIONE DEL DIRE, FIBRA DELL’ESSERE 
Deux morceaux, deux essai dal ginnasio poetico di Angelo Iermano

Fra colpo di coda da tardo romanticismo e cadenza della noia di duale ascendenza baudelairiana
si sviluppano - diversissime - due recenti poesie di Angelo Iermano.

(1) L’ode consolatoria, il sorso offerto dalla coppa religiosa, non scongiura l’irrompere della metafora pagana, benché lampo, benché silhouette dell’intuizione (la sofferenza irrespirabile che s’intrude acre fin dentro la carne): nel suo corpus campeggia e persevera l’angoscia della perdita per la via accidentata della rassegnazione, la crudità dell’amputazione, coi relativi lasciti caustici. Pur volendo l’io poetante virare alla volta di una risoluzione riparatrice e “luminosa”, rimanda alle contaminazioni idillio/tumulto dell’anima, certezza della fede/inafferrabile quid primordiale di Annette von Droste-Hűlshoff  e all’appeal che su Tarchetti esercitava il fondersi dei contrasti (“velo bianco della prima comunione/veste nera del rito funebre”; “fogliolina verdognola…sradicata” che ascende al “giallo del sole”; “pianti e lacrime per lui che è morto s’acquetan e rinfrancan in Lui che è risorto”; “la tramontana che inerme ti batteva/ ora si muta nello zefiro che t’asciuga le guance umide”). Un rincorrersi di incanto-disincanto, di amarezza e di aisthesis parousias, un intreccio di nascente dedizione amical/amorosa e di penetrazione del reale (la finitudine, l’elaborazione del lutto di sutura non completa, la desolazione) che bilanciano le quote del verso e conseguono -a tratti- un effetto di passionate calm (Wallace Stevens, così Simone Weill).
                                                                                                  Armando Saveriano


UNA METAMORFOSI

Non piange la bimba il cane fuggiasco
o nel gioco il balocco spezzato
spezzato è altro: il fiato dai singhiozzi,
l’albero che le ha dato la vita è stato troncato.
Piccola fanciulla
la vita ha deciso di metterti alla prova
e crudele ti abbatte
abbandonando il corpo di tuo padre
e ti costringe
a scambiare il velo bianco della prima comunione
con l’inadatta veste nera del rito funebre.

Piccola fogliolina verdognola
sradicata, acerba, dal ramo che ti diede la vita
condannata a vagar nel vento
smarrita nella pioggia, come l’ombra che ti precede.
E la pioggia che dal cielo nell’intemperie ti bagna
è la stessa che triste ti bagna dagli occhi le guance.

E verdognola sul ramo alto
ti trovi anzitempo
ingiallita sul suolo basso.

Rivolgi in alto questa preghiera:
“Seppur tu mi lasciasti, io mai ti lasciai.
Dio! Ti invoco e misuro il mio dolore.
E l’amore che smarrito ha il suo dolce oggetto
si riversa in Te, Padre Mio.
S’è perso, e più non si trova.
S’è perso, e pace non si rinnova.”

Ma lui c’è, e ti segue in cuor tuo
perché oramai è tutto spirito.
E sa, per l’amore che sai,
cosa è buono per te
e t’asciuga ancora, dolce,
le lacrime che di notte distrattamente fai uscire.

Pianti, e lacrime, e pianti per lui che è morto
si acquetan e rinfrancan in Lui che è risorto.

Così da foglia abbattuta che eri
il giallo delle tue spoglie
seguendo l’esempio Nazareno
risorse
e divenne il giallo del Sole.

Non asprezza, non durezza, ma Amore.
Sì, Amore!
Perché non vi è fonte più grande di Amore di Dio
che nel dolore che lui stesso ci infligge.
La tramontana
che inerme ti batteva
ora si muta nello zefiro
che t’asciuga le guance umide.

I tuoi lunghi capelli nel vento fluttante
ora brillano
scintillano
nel Sole.


Angelo Iermano


(2) Disagio esistenziale produce noia, la noia germina una pigrizia che a passetti si spinge a contemplare i peccati dell’accidia. Più che spleen decadente, malessere consapevole dei danni che produce, un taedium vitae che si stempera nell’atteggiamento del flȃneur , sintomo del mal de vivre, ma anche -bizzarramente- “antidoto”. C’è dell’impenitenza nella confessione dell’io poetante? Un carezzarsi “voluttuoso” i lividi delle “proprie inadempienze”? E tuttavia non siamo tanto a braccetto con Moraldo, Alberto, Fausto, Riccardo, Leopoldo (i felliniani Vitelloni), non col pittorico dannatismo poetico esaltato da assenzio e oppio, quanto con l’atteggiamento fatalistico-autoironico di un “camminante” che si estranea quando gli conviene, che non si lascia assalire dalla disidentità e che soprattutto non è contaminato dalla parèsi dell’impotenza per eclissi di speranza. Se il fulcro della coscienza nuda non fosse complice dell’inguaribilità, da Apuleio potrebbe maturare un cambiamento, “ma la colpa si sconta rispettando la propria curiosità”.                                                                                                
                                                                                                           Armando Saveriano      


LAVORARE CON LENTEZZA

In una passeggiata immeritata
scopro il mio valore
e la mia stanchezza.

Nel ritmo andante
fendo la folla con sbuffi di fumo francese
inglese, all’occorrenza.
La sigaretta non è che una siringa
che risucchia il fiato,
una spada stretta tra i denti
con la quale battersi.
Lo spudorato tentativo di sputare via lo spirito
dei miei falliti propositi.

Il fiato fiacco di questo fumo raro
spazzato fuori da una locomotiva in fuga
nutrita del carbone delle mie inadempienze
ricorda quanto poco afflato contenga
come un otre sgonfio di vino
ché la pigrizia, grave colpa
esala la vitalità
bucando subdola
la mia pelle sottile.

Sotto gli occhi ho una Metamorfosi
“quid necesse mihi sit”.

Alla fine scopro un esametro
che mi strappa un leggero sorriso.

Ma la colpa
si sconta
rispettando la propria curiosità.

Angelo Iermano

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