giovedì 24 aprile 2014

Simone Lucciola - Bianco di Titanio (deComporre Edizioni, Gaeta, 2014, pp. 80, € 10)

Cominciamo dal titolo, Bianco di Titanio, che attira il lettore cui piace indugiare sulle “soglie” del testo, osservare la “vetrina” prima di introdursi al suo interno, esplorare labili tracce di un percorso di sensi e suoni, prospettarsi delle attese per verificare se saranno soddisfatte o deluse.
Titanio?
Un elemento leggero, di colore bianco metallico, lucido, resistente alla corrosione, utilizzato come pigmento bianco in vernici e cemento da costruzioni.
E nella definizione da vocabolario trova posto anche l’aggettivo bianco, che nel titolo indica il colore che precede l’elemento chimico.
Dipanando questo filo, possiamo fare qualche ipotesi su temi e forme della poesia del testo, considerando che ciò che caratterizza gli oggetti poetici non è la loro semplice corporeità ma un surplus connotativo che li rinvia ad un sovrasenso allusivo?
E se il titolo fosse un elemento metapoetico? Una dichiarazione poetica dell’autore? Se si riferisse al “fare” stesso del poeta?
Il foglio bianco, che contorna la pagina, ha in poesia lo stesso valore dei segni neri delle parole: un silenzio in cui si ascoltano suoni, un vuoto che si riempie di presenze, uno sguardo che anima spettri, uno spazio di dialogo interiore che si fa comunicazione, un deserto in cui si incontrano oasi, una interferenza di morte e vita.
Una ipotesi rafforzata dalla prevalenza diffusa del colore bianco in copertina nel particolare del dipinto di Salvatore Bartolomeo Chamber Music (anche questo un titolo che può ben esprimere la peculiarità dello spazio poetico), che si estende anche alla quarta.
Un bianco che non è una tabula rasa, dato che sotto la sua spenta epidermide continua a sussistere l’intero spettro dei colori. Ed allora affiorano, tra varie sfumature, il nero, il colore che “tinge la scrittura, la catena delle consonanti e delle vocali, riempie le pagine dei libri” (A. Boatto); il rosso, che accende il sangue ma anche la speranza; il giallo, caratterizzato dal doppio segno di solarità e malessere psicofisico. Colori che richiamano particolari percezioni, stati d’animo, stimoli mentali.
Bianco di titanio: un bianco dunque leggero, ma resistente e non corrompibile. E quali altre parole, se non quelle della poesia, sono inconsumabili, sfuggono al ciclo produzione-consumo, odiano essere immesse nel circuito della quotidiana comunicazione, conservano un loro essenziale significato non svuotato da un logorio che le riduce a meri flatus vocis?
Ed ora attraversiamo la soglia ed entriamo nello spazio del testo.
Lo sguardo nel suo attraversamento si muove nel centro cittadino bottegaio al crepuscolo, tra una movida indistinta/le luci una macedonia strabica, si allontana nella campagna grigioverde, vede infissi blu lasciati a fiammeggiare, si sofferma su mantelli distesi in pergolati di tramezzi, entra in un cinema ingiallito di nicotina, si siede in un cinese di periferia con vista sull’inverno, segue una costiera con appartamenti sfitti/polverosi di sabbia e di salsedine/delle traverse del lungomare, scorge pennoni di fari salati nel mare/venato di bianco come una bistecca, ritrova minerali e conchiglie/in un fazzoletto di mare. Oggetti ricoperti da colori sbiaditi, corrosi dagli agenti del tempo, allineati come gerani in sequenza il cui senso ci sfugge. E, ancora, vede sconosciuti seduti in cerchi nell’ombra/sotto eternit di tetti in rovina nei campi, incontra ragazzini sdentati Correlativi oggettivi (sì, riprendiamo il sintagma montaliano), dati materiali ed esseri viventi, di una particolare condizione: monotonia solitudine abbandono disarmonia disfacimento; riflessi dello stato d’animo dell’osservatore, il cui sguardo non indugia con commozione su queste presenze minime di una quotidianità dimessa e anonima, ma tende oltre quelle apparenze vane e dolorose. E la poesia è strumento di questa ricerca, anche se la sua esperienza si risolve in uno smacco. Rimangono innominati arcani e al poeta di tante corrispondenze, incomplete, incompiute/(…) rimangono i bozzetti tracciati a grafite. E se, rivolgendosi ai lettori, chiede: Ma c’è qualcosa che volete dirmi?, non è perché possa sapere perché per ogni mia domanda la risposta è una pausa, perché alle loro domande abbia una risposta, ma solo perché conserva la speranza che la manciata di parole gettate sul bianco trovino chi sia disposto ad ascoltarle.
Leggiamo:
A Cupra Marittima salutavo due bambine
si sbracciavano bionde dallo stabilimento sull’Adriatico
io nel vagone del treno elegante e il papà che additava
dite ciao buon viaggio a quel signore azzimato.
Mi chiesi per un attimo, più lungo delle rotaie
che effetto avrebbe fatto essere quel tipo d’uomo.
Campo e controcampo, che non è solo una scena con personaggi inquadrati da due punti di vista contrapposti, ma anche uno scambio di sguardi corpi pensieri vissuti che si incontrano nell’immaginazione. Un fantasma di dialogo che fugge via in un attimo. Lo scacco si ripete, ma… dal niente può materializzarsi un’epifania.
L’autore costruisce testi brevi, in versi liberi, cui dà una forma che si articola come un discorso. Dice Giampiero Neri nella nota introduttiva: “Un modo affabile di raccontare, un lessico familiare e accattivante”, aggiungiamo non privo di accenti (auto)ironici, rovesci e spiazzamenti situazionali e linguistici. Ma non si aspetti il lettore una poesia prosastica, un discorso normalmente colloquiale fatto del linguaggio comune della quotidianità. Si aprono al contrario accostamenti inediti, immagini analogiche, riferimenti colti, vocaboli ermetici, volute ambiguità, funzionali ad un dettato poetico che si costruisce attraverso l’interrelazione e la corrispondenza del livello tematico e dei significanti che lo esprimono. Il bianco di titanio è si leggero, ma resiste ad una facile fruizione.
Lucciola/lucciola si accende/si spegne, svela/nasconde, fa luce/mostra ombre.
È la poesia.

Pasquale Gerardo Santella


(Contatti, ordini: www.decomporredizioni.com)

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