Cominciamo dal titolo,
Bianco di Titanio, che attira il lettore cui piace indugiare
sulle “soglie” del testo, osservare la “vetrina” prima di
introdursi al suo interno, esplorare labili tracce di un percorso di
sensi e suoni, prospettarsi delle attese per verificare se saranno
soddisfatte o deluse.
Titanio?
Un elemento leggero, di
colore bianco metallico, lucido, resistente alla corrosione,
utilizzato come pigmento bianco in vernici e cemento da costruzioni.
E nella definizione da
vocabolario trova posto anche l’aggettivo bianco, che nel
titolo indica il colore che precede l’elemento chimico.
Dipanando questo filo,
possiamo fare qualche ipotesi su temi e forme della poesia del testo,
considerando che ciò che caratterizza gli oggetti poetici non è la
loro semplice corporeità ma un surplus connotativo che li rinvia ad
un sovrasenso allusivo?
E se il titolo fosse un
elemento metapoetico? Una dichiarazione poetica dell’autore? Se si
riferisse al “fare” stesso del poeta?
Il foglio bianco,
che contorna la pagina, ha in poesia lo stesso valore dei segni neri
delle parole: un silenzio in cui si ascoltano suoni, un vuoto che si
riempie di presenze, uno sguardo che anima spettri, uno spazio di
dialogo interiore che si fa comunicazione, un deserto in cui si
incontrano oasi, una interferenza di morte e vita.
Una ipotesi rafforzata
dalla prevalenza diffusa del colore bianco in copertina nel
particolare del dipinto di Salvatore Bartolomeo Chamber Music
(anche questo un titolo che può ben esprimere la peculiarità dello
spazio poetico), che si estende anche alla quarta.
Un bianco che non è una
tabula rasa, dato che sotto la sua spenta epidermide continua a
sussistere l’intero spettro dei colori. Ed allora affiorano, tra
varie sfumature, il nero, il colore che “tinge la scrittura, la
catena delle consonanti e delle vocali, riempie le pagine dei libri”
(A. Boatto); il rosso, che accende il sangue ma anche la speranza; il
giallo, caratterizzato dal doppio segno di solarità e malessere
psicofisico. Colori che richiamano particolari percezioni, stati
d’animo, stimoli mentali.
Bianco di titanio:
un bianco dunque leggero, ma resistente e non corrompibile. E quali
altre parole, se non quelle della poesia, sono inconsumabili,
sfuggono al ciclo produzione-consumo, odiano essere immesse nel
circuito della quotidiana comunicazione, conservano un loro
essenziale significato non svuotato da un logorio che le riduce a
meri flatus vocis?
Ed ora attraversiamo la
soglia ed entriamo nello spazio del testo.
Lo sguardo nel suo
attraversamento si muove nel centro cittadino bottegaio al
crepuscolo, tra una movida indistinta/le luci una macedonia
strabica, si allontana nella campagna grigioverde, vede
infissi blu lasciati a fiammeggiare, si sofferma su mantelli
distesi in pergolati di tramezzi, entra in un cinema
ingiallito di nicotina, si siede in un cinese di periferia con
vista sull’inverno, segue una costiera con appartamenti
sfitti/polverosi di sabbia e di salsedine/delle traverse del
lungomare, scorge pennoni di fari salati nel mare/venato di
bianco come una bistecca, ritrova minerali e conchiglie/in un
fazzoletto di mare. Oggetti ricoperti da colori sbiaditi,
corrosi dagli agenti del tempo, allineati come gerani in sequenza
il cui senso ci sfugge. E, ancora, vede sconosciuti seduti
in cerchi nell’ombra/sotto eternit di tetti in rovina nei campi,
incontra ragazzini sdentati… Correlativi oggettivi
(sì, riprendiamo il sintagma montaliano), dati materiali ed esseri
viventi, di una particolare condizione: monotonia solitudine
abbandono disarmonia disfacimento; riflessi dello stato d’animo
dell’osservatore, il cui sguardo non indugia con commozione su
queste presenze minime di una quotidianità dimessa e anonima, ma
tende oltre quelle apparenze vane e dolorose. E la poesia è
strumento di questa ricerca, anche se la sua esperienza si risolve in
uno smacco. Rimangono innominati arcani e al poeta di tante
corrispondenze, incomplete, incompiute/(…) rimangono i bozzetti
tracciati a grafite. E se, rivolgendosi ai lettori, chiede: Ma
c’è qualcosa che volete dirmi?, non è perché possa sapere
perché per ogni mia domanda la risposta è una pausa, perché
alle loro domande abbia una risposta, ma solo perché conserva la
speranza che la manciata di parole gettate sul bianco trovino
chi sia disposto ad ascoltarle.
Leggiamo:
A Cupra Marittima
salutavo due bambine
si sbracciavano bionde
dallo stabilimento sull’Adriatico
io nel vagone del
treno elegante e il papà che additava
dite ciao buon viaggio
a quel signore azzimato.
Mi chiesi per un
attimo, più lungo delle rotaie
che effetto avrebbe
fatto essere quel tipo d’uomo.
Campo e controcampo, che
non è solo una scena con personaggi inquadrati da due punti di vista
contrapposti, ma anche uno scambio di sguardi corpi pensieri vissuti
che si incontrano nell’immaginazione. Un fantasma di dialogo che
fugge via in un attimo. Lo scacco si ripete, ma… dal niente
può materializzarsi un’epifania.
L’autore costruisce
testi brevi, in versi liberi, cui dà una forma che si articola come
un discorso. Dice Giampiero Neri nella nota introduttiva: “Un modo
affabile di raccontare, un lessico familiare e accattivante”,
aggiungiamo non privo di accenti (auto)ironici, rovesci e
spiazzamenti situazionali e linguistici. Ma non si aspetti il lettore
una poesia prosastica, un discorso normalmente colloquiale fatto del
linguaggio comune della quotidianità. Si aprono al contrario
accostamenti inediti, immagini analogiche, riferimenti colti,
vocaboli ermetici, volute ambiguità, funzionali ad un dettato
poetico che si costruisce attraverso l’interrelazione e la
corrispondenza del livello tematico e dei significanti che lo
esprimono. Il bianco di titanio è si leggero, ma resiste ad
una facile fruizione.
Lucciola/lucciola si
accende/si spegne, svela/nasconde, fa luce/mostra ombre.
È la poesia.
Pasquale Gerardo Santella
(Contatti, ordini: www.decomporredizioni.com)
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