martedì 26 marzo 2013

Un satellite meteorologico




I mutati tempi, in progressione crescente a causa della competizione spregiudicata, delle manipolazioni subdole e sleali delle leggi di mercato, delle distanze fra individuo e individuo anche in seno alla famiglia, hanno fatto scadere, anzi hanno inibito il contatto con un ventaglio di sentimenti, di emozioni, di orientamenti istintivi portati alla solidarietà, alla benevolenza, al rispetto, alla generosità, alla rinuncia per non ledere altri, per non sottrarre o precludere ad altri.
Quando ci sintonizziamo sui canali televisivi, esploriamo internet, sfogliamo un quotidiano, veniamo sopraffatti da una gragnuola di barbare crudeltà, di rivelazioni scioccanti, di scandali e scandaletti, di violenze sbalorditive che ormai non ci sbalordiscono più: l’ortodossia conquistata dal Leviatano di Thomas Hobbes, con il secco slogan “esistenza uguale guerra di tutti contro tutti” , è avallata, esercita il trionfo dell’egoismo, recita la declinazione della brama inveterata di possesso, sancisce lo schiacciamento dei valori laici e cristiani, esiliandoli nei territori restrittivi, irriguardosi, calunniatòri e sminuenti della debolezza. Oggi esercitare la rettitudine significa andare inevitabilmente a ingrossare le file dei perdenti. Figurarsi adoperare il garbo! È ridicolo e fa sentire ridicoli; porgersi con gentilezza suscita diffidenza e vellica le paranoie più morbose e stolte. Dimostrare uno slancio di altruismo non è certo una virtù cardinale: viene bensì considerato un calcolo per certo, un abituale escamotage per estorcere con l’inganno, con l’induzione dell’abbassamento della guardia, in vista di un proprio utile, di un vantaggio concreto, un guadagno tondo tondo (finalizzato insomma al raggiungimento di una meta della quale si sia gli esclusivi beneficiari). L’altruismo non è mai riconosciuto per tale: viene inteso come artifizio che dia i suoi frutti con gli interessi, a scapito dei precetti basilari di Jean-Jacques Rousseau, tra l’altro sconfessando quell’indicatore della salute mentale di cui scriveva David Winnicott nel 1970.
Lo spirito della coscienza sociale è retorico gonfalone di cui continua a fare sfoggio la Chiesa, o che appartiene a certa filosofia, alla ridondanza delle utopie.
Le conseguenze di tale andazzo sono l’insoddisfazione e la complementare spinta a raddoppiare le proprie forze, a moltiplicare le strategie e a pianificare ogni risorsa, pur di accaparrarsi il proverbiale posto al sole, pur di godere di maggiore, effimero prestigio.
Non importa se a sanguinare è la felicità; se l’infelicità è il prezzo esoso e logorante che tutti sono disposti a pagare, spacciando per compiuta realizzazione la “cura della roba”, e allineando, sul banco rancido dei pretesti, passati e recenti capri espiatori.
La poesia d’azione civile e sociale può caricarsi delle funzioni di satellite meteorologico per individuare e smascherare ipocrisie e brutture, ammonendo e istruendo le vittime sociali di mille abusi e di reiterati tranelli e tradimenti, incoraggiando le ultime generazioni a inaugurare un percorso graduale di autodirezione, benché non semplice e fortemente cimentante.
Il problema è trovare oggi siffatta poesia, soprattutto nella consapevolezza che essa rischia carenza d’ascolto e indifferenza, impopolarità e detrazione, artata messa al bando, rifiuto.

ARMANDO SAVERIANO

Nessun commento:

Posta un commento