martedì 26 marzo 2013

Leopardi, carteggio inedito


Tre missive scoperte e acquistate da un collezionista romano

E’ un’emozione che sempre si rinnova quando dal passato emerge, premiando annose ricerche, o assolutamente per caso, un dettaglio, una tessera significativa, una testimonianza, che chiariscono eventi, smentiscono dati di fatto, o più semplicemente arricchiscono il mosaico della conoscenza di un letterato, di un artista e del suo tempo. E’ toccato ad un estimatore del poeta delle Operette morali, ben quotato nel campo del collezionismo romano, Raffaele Garofalo, rintracciare tre inediti di Giacomo Leopardi, nella fattispecie tre missive appartenenti al carteggio fra il grande di Recanati ed il generale napoletano Pietro Colletta, esule riparato a Firenze dal 1823.
Conoscevamo sei lettere dell’epistolario Leopardi-Colletta, ed ora questi tre inediti, brevi, espliciti, carichi di sensibilità e trepida aspettativa, completano il quadro delle vicende che precedono il sodalizio del poeta con l’ambiguo Antonio Ranieri. Le tre missive sono datate rispettivamente “Recanati 3 gennaio, 26 febbraio, 21 aprile 1830 ”.
Le lettere provengono dalle carte del marchese Gino Capponi, dell’Accademia della Crusca”, esponente del liberalismo moderato e prosatore classicista, fondatore, col Vieusseux, dell’Antologia, nonché promotore dell’Archivio storico italiano; assieme ad esse -ripetiamolo, inedite- il mecenate Garofalo ha recuperato inaspettatamente anche gli autografi leopardiani delle sei lettere invece conosciute, ritenuti finora dispersi o distrutti.
Pietro Colletta si stava dedicando all’incirca dal 1827 alla stesura di un manoscritto storico sul reame di Napoli, opera ambiziosa nella quale riversava parecchie aspettative ed a cui profondeva energie massime ed accorato impegno, pur rendendosi conto che il lavoro, così come si profilava, richiedeva la necessità di un occhio letterario e di un talento per migliorarne la struttura organica. Pertanto, la conoscenza con Leopardi sembrò un segno del destino. Il poeta e il militare intesserono un’amicizia che sembrò ad entrambi proficua, giacché il primo sperava nell’interessamento del secondo in merito alla premiazione delle “Operette morali” spedite al quinquennale concorso bandìto dalla Crusca. Bisognoso di danaro per abbandonare Recanati, Leopardi contava molto che il generale, in virtù del legame con il marchese Gino Capponi, intervenisse a favorirlo nell’assegnazione del premio.
Mio caro Generale -scrive Giacomo nella prima inedita del 3 gennaio 1830- forse saprete che per consiglio o per istanza degli amici di Firenze, per bisogno di danari, e disprezzo di fama, io mandai le operette morali al concorso quinquennale proposto dalla Crusca. Intendo che Gino (Capponi, n.d.r.) può quello che vuole collo Zannoni, il quale nell’Accademia può tutto. Né domando però che adoperi per me il suo potere, se non quanto egli e voi giudicherete che convenga alla dignità sua. Vi prego molto che gli raccomandiate questo affare, la cui risoluzione dev’esser presto (…) Non mi stendo di più, perché le parole a me costan care a scrivere, a voi poche bastano. Datemi le vostre nuove. Già risposi alla vostra cara e pietosa dell’ultimo di Ottobre. Addio. Il vostro Leopardi”
Il Colletta s’industriò, perorò la causa per quanto gliene consentivano un certo imbarazzo e le proprie risorse nel porgere con cautela e delicatezza la segnalazione.
La ferma volontà del Leopardi di trasferirsi a Firenze e di meritarsi un’emancipazione dalle agre e avare dipendenze dal padre famigerato collimava perfettamente con l’esigenza da parte del generale di ricondurlo nella bella e viva città toscana per il tempo necessario a ristrutturare la “Storia del Reame di Napoli”, o -perché no?- anche in soluzione definitiva.
Nonostante l’interessamento, Leopardi ottenne un solo voto per le sue “Operette Morali”, contro i quattordici che premiarono invece Carlo Botta con la “ Storia d’Italia”.
L’amarezza del Leopardi e la costernazione di Pietro Colletta si sciolsero non appena il generale trovò la soluzione per i reciproci scopi, ottenendo di mettere insieme una discreta somma, uno speciale, dignitoso sussidio offerto da amici intellettuali ed estimatori, o comunque persone con lui in obbligo, che consentisse un adeguato soggiorno annuale, a Firenze, per l’amico.
All’indomani della guarigione da una fastidiosa “costipazione con dolori”, Giacomo Leopardi partì, sollevato e ben disposto, alla volta della Firenze tanto desiderata, dove, un anno dopo, pubblicava i “Canti” per i tipi dell’Editore Piatti.
Tuttavia il poeta non portò mai a termine la sistemazione dell’opera del generale, il quale, tra l’altro, forse per farsi “perdonare” l’episodio spiacevole della bocciatura della Crusca, aveva mediato l’occasione e i termini della pubblicazione; il rapporto fra i due, anche in virtù di pettegolezzi e di dissapori, cominciò a deteriorarsi fino allo scontro ideologico ed alla freddezza. Al Leopardi venne così a mancare l’appoggio economico, quando il generoso sostegno, dopo la rottura, non venne logicamente rinnovato. Pertanto rechiamoci uno di questi pomeriggi in libreria ed acquistiamo (o cerchiamo di procurarcene copia su ordinazione) il volume “Carteggio Leopardi-Colletta”, a cura di Elisabetta Benucci, con la chiarificante introduzione di Enrico Ghidetti (Le Lettere, Eur 24,00).

ARMANDO SAVERIANO

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