Tre missive scoperte e acquistate da un collezionista romano
E’
un’emozione che sempre si rinnova quando dal passato emerge,
premiando annose ricerche, o assolutamente per caso, un dettaglio,
una tessera significativa, una testimonianza, che chiariscono eventi,
smentiscono dati di fatto, o più semplicemente arricchiscono il
mosaico della conoscenza di un letterato, di un artista e del suo
tempo. E’ toccato ad un estimatore del poeta delle Operette
morali, ben quotato nel campo del
collezionismo romano, Raffaele Garofalo,
rintracciare tre inediti di Giacomo Leopardi,
nella fattispecie tre missive appartenenti al carteggio fra il grande
di Recanati ed il generale napoletano Pietro
Colletta, esule riparato a Firenze dal 1823.
Conoscevamo
sei lettere dell’epistolario Leopardi-Colletta, ed ora questi tre
inediti, brevi, espliciti, carichi di sensibilità e trepida
aspettativa, completano il quadro delle vicende che precedono il
sodalizio del poeta con l’ambiguo Antonio
Ranieri. Le tre missive sono datate
rispettivamente “Recanati 3 gennaio, 26
febbraio, 21 aprile 1830 ”.
Le lettere
provengono dalle carte del marchese Gino
Capponi, dell’Accademia
della Crusca”, esponente del liberalismo
moderato e prosatore classicista, fondatore, col Vieusseux,
dell’Antologia,
nonché promotore dell’Archivio storico
italiano; assieme ad esse -ripetiamolo,
inedite- il mecenate Garofalo ha recuperato inaspettatamente anche
gli autografi leopardiani delle sei lettere invece conosciute,
ritenuti finora dispersi o distrutti.
Pietro
Colletta si stava dedicando all’incirca dal 1827 alla stesura di un
manoscritto storico sul reame di Napoli, opera ambiziosa nella quale
riversava parecchie aspettative ed a cui profondeva energie massime
ed accorato impegno, pur rendendosi conto che il lavoro, così come
si profilava, richiedeva la necessità di un occhio letterario e di
un talento per migliorarne la struttura organica. Pertanto, la
conoscenza con Leopardi sembrò un segno del destino. Il poeta e il
militare intesserono un’amicizia che sembrò ad entrambi proficua,
giacché il primo sperava nell’interessamento del secondo in merito
alla premiazione delle “Operette morali” spedite al quinquennale
concorso bandìto dalla Crusca. Bisognoso di danaro per abbandonare
Recanati, Leopardi contava molto che il generale, in virtù del
legame con il marchese Gino Capponi, intervenisse a favorirlo
nell’assegnazione del premio.
“ Mio
caro Generale -scrive Giacomo nella prima
inedita del 3 gennaio 1830- forse saprete che
per consiglio o per istanza degli amici di Firenze, per bisogno di
danari, e disprezzo di fama, io mandai le operette morali al concorso
quinquennale proposto dalla Crusca. Intendo che Gino (Capponi,
n.d.r.) può quello che vuole collo Zannoni,
il quale nell’Accademia può tutto. Né domando però che adoperi
per me il suo potere, se non quanto egli e voi giudicherete che
convenga alla dignità sua. Vi prego molto che gli raccomandiate
questo affare, la cui risoluzione dev’esser presto (…) Non mi
stendo di più, perché le parole a me costan care a scrivere, a voi
poche bastano. Datemi le vostre nuove. Già risposi alla vostra cara
e pietosa dell’ultimo di Ottobre. Addio. Il vostro Leopardi”
Il Colletta s’industriò, perorò la causa per
quanto gliene consentivano un certo imbarazzo e le proprie risorse
nel porgere con cautela e delicatezza la segnalazione.
La ferma
volontà del Leopardi di trasferirsi a Firenze e di meritarsi
un’emancipazione dalle agre e avare dipendenze dal padre famigerato
collimava perfettamente con l’esigenza da parte del generale di
ricondurlo nella bella e viva città toscana per il tempo necessario
a ristrutturare la “Storia del Reame di Napoli”, o -perché no?-
anche in soluzione definitiva.
Nonostante
l’interessamento, Leopardi ottenne un solo voto per le sue
“Operette Morali”, contro i quattordici che premiarono invece
Carlo Botta con la “
Storia d’Italia”.
L’amarezza del Leopardi e la costernazione di
Pietro Colletta si sciolsero non appena il generale trovò la
soluzione per i reciproci scopi, ottenendo di mettere insieme una
discreta somma, uno speciale, dignitoso sussidio offerto da amici
intellettuali ed estimatori, o comunque persone con lui in obbligo,
che consentisse un adeguato soggiorno annuale, a Firenze, per
l’amico.
All’indomani
della guarigione da una fastidiosa “costipazione
con dolori”, Giacomo Leopardi partì,
sollevato e ben disposto, alla volta della Firenze tanto desiderata,
dove, un anno dopo, pubblicava i “Canti”
per i tipi dell’Editore Piatti.
Tuttavia il poeta non
portò mai a termine la sistemazione dell’opera del generale, il
quale, tra l’altro, forse per farsi “perdonare” l’episodio
spiacevole della bocciatura della Crusca, aveva mediato
l’occasione e i termini della pubblicazione; il
rapporto fra i due, anche in virtù di pettegolezzi e di dissapori,
cominciò a deteriorarsi fino allo scontro ideologico ed alla
freddezza. Al Leopardi venne così a mancare l’appoggio economico,
quando il generoso sostegno, dopo la rottura, non venne
logicamente rinnovato. Pertanto rechiamoci
uno di questi pomeriggi in libreria ed acquistiamo
(o cerchiamo di procurarcene copia su ordinazione) il
volume “Carteggio Leopardi-Colletta”,
a cura di Elisabetta Benucci,
con la chiarificante introduzione di Enrico
Ghidetti (Le Lettere, Eur 24,00).
ARMANDO SAVERIANO
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