Una strategia dell'insicurezza
L’anonimato è una
strategia dell’insicurezza, che consente esenzione da rivalsa e
castigo; garantisce l’impunità del discredito, laddove non del
vilipendio.
Parlo
con generosità di insicurezza.
Si
tratta, piuttosto, di una posizione in cima alla codardìa; di un
atto screanzato nel migliore dei
casi. Non ammette pretesti, ragioni o scusanti, mosso com’è da
malignità perniciosa, impregnato della sdrucciolevole grettezza
dell’ignominia.
Volendo estremizzare,
riverbera di un’attitudine, o di una debolezza, elevata a vizio
degno di aggiunta ai sette capitali elencati in Occidente (superbia,
avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia) e agli otto
annoverati in Oriente (gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira,
pigrizia, vanagloria, superbia).
Ricordo un film
drammatico, doverosamente inserito tra le pietre miliari della storia
del cinema: “ Il Corvo”, di Henri Georges Clouzot (1943).
Ispirato a un reale fatto di cronaca, riveste una valenza potente
contro i danni della delazione; non ebbe circuitazione facile, mentre
regista e sceneggiatore si guadagnarono la sospensione dall’attività
per svariati mesi. Era un film fastidioso, che faceva sfrigolare
sulla carbonella le cattive coscienze, sia dei perseguitati sia dei
persecutori.
La conservazione
dell’incognito è da vantare solo nell’esercizio delle opere
benefiche, quando l’elargitore o l’onesto promotore, restando
nell’ombra, evita di imbrattare e svalutare l’azione altruistica
con il disvelamento della propria identità, per scongiurare gli
imbarazzi di una grondante gratitudine e sventare ogni conseguente
vantaggio per la propria immagine pubblica.
La
cortina di nebbia identitaria è inoltre giustificata nella
prevenzione di un crimine, nel suo impedimento, nel contributo, da
parte dell’anonimo, decisivo per lo scioglimento di una infrazione
fortemente anomica e delittuosa connessa all’applicazione e al
successo della legalità e per la conseguente comminazione della pena
irrogata dall’autorità giudiziaria.
La
creatura pusillanime e infingarda che nell’incauto, superficiale
commento al mio articolo sull’Invettiva osa invitare me a più
dettagliato studio sul kairòs, palesando coram
populo la propria predisposizione al
malinteso intellettuale e –ahimè!– la propria condizione di
portatore/portatrice di atrofia congenita delle valvole cerebrali, ha
disastrosamente equivocato
sulla pertinenza della citazione. Non ho mai inteso attribuire al
filosofo di Stagira la coniazione del termine kairòs, né la
paternità concettuale; fidando sull’intelligenza e sulla
preparazione dell’ipotetico fruitore, ho implicitamente alluso al
contesto di tempo-spazio nell’afferrabilità del momento
favorevole.
All’osservazione
maleducata e superba dell’anonimo, si è aggiunta quella, colta,
ragionata, di Costantino, che pubblicamente ringrazio per
l’applicazione della correttezza e per l’apporto contenutistico
della sua replica. Ma anche Costantino, in buona fede, è incorso in
uno scivolone di senso nell’interpretazione del mio passaggio,
dando per scontato ch’io abbia inteso dire ciò che mai ho avuto in
animo di affermare.
In
realtà ci troviamo di fronte a tre gradazioni di arroganza:
l’arroganza veniale di
chi qui scrive, che ha puntato per certo sull’immediata
accreditabilità di senso nel nesso Aristotele-kairòs (lo Stagirita
se ne è largamente occupato, benché in retorica); l’arroganza
innocente del pur
versatile e virtuoso Costantino, il quale avrebbe dovuto porre
attenzione all’intero
contesto dell’articolo e non a minima parte di esso; l’arroganza
capitale, ostentata
dall’anonimo commentatore (che da adesso –maschio o femmina che
sia– battezzo maestrina dalla penna rossa),
impelagato nella presunta superiorità dottrinale.
Tornando
ai meccanismi perversi che (nell’articolo sulla legittimità
dell’Invettiva) spingono gli invidiosi a odiare e ad avversare
quanti a differenza loro sono stati tempestivi
nell’accorgersi della fugace apparizione
del kairòs (momento favorevole), ad afferrarlo e a renderlo
funzionale ai propri interessi grazie alle risorse personali, mi
riferivo alla dinamica dell’indeterminazione di un tempo nel mezzo
(che non è affatto kronos), qualificativo dell’opportunità
speciale.
Il
kairòs è l’attimo fuggente, l’hic et
nunc, che può avvantaggiare e mutare
addirittura il corso dell’esistenza, al di là del Fato. Il kairòs
è generalmente raffigurato come un
giovinetto in corsa, con un ciuffo di capelli sulla fronte, mentre la
parte posteriore del cranio è calva; il ciuffo di capelli
rappresenta l’allegoria dell’afferrabilità nel momento di
passaggio, in quel determinato momento;
viceversa l’occasione non è ricatturabile, mai
più (la mano virtuale si protenderebbe
invano verso la parte posteriore rasata della testa del giovanetto in
fuga, lontano per sempre).
Quanto
alla punzecchiata velenosa che la supponente, acida maestrina
dalla penna rossa crede di infliggere al
blog, penalizzato, secondo lei (però! Vuol dire che lo tiene
d’occhio!), dall’assenza di frequentatori (il che è da
dimostrare; tuttavia concediamolo: potrebbe benissimo essere, quello
di Logopea, uno spazio che non suscita né curiosità né interesse
in alcuno, tenuto conto della vuotezza e della superfluità che
impera nell’arcipelago alla moda di
blog fatui, inutili, sconcertanti e kitsch. Infine, questo blog di
seconda generazione non ha ancora compiuto due mesi di vita!),
preferisco l’astensione di siffatti pellegrini, storditi,
confusionari, sgrammaticati e disidentitarî.
Non
ringrazio gli sciocchi che, come lei, maestrina,
toccano il fondo dell’albagia, della tracotanza e del delirio di
autoreferenzialità, occultandosi dietro la maschera neutra
dell’irresolutezza, della malsicurezza di sé, sintomi tra l’altro
di apatica ignoranza, di disinformazione patente e di artata
animosità nei miei confronti (smettiamola, mio caro, idealista
Costantino, di pensare che morsi e pugnalate siano l’altra faccia
dell’affetto! Certa gentaglia non merita il nostro buonismo…).
È
probabile che io abbia individuato il molestatore senza nome, né
mail…è facile, anzi, che io possa strappargli la maschera. Chissà,
voglio divertirmi nel formulare ipotesi…Magari un’attricetta
illusa, una frustrata che ha in odio le donne belle e
accoppiate…un’insulsa zitelluccia predestinata alla solitudine
totale, una laureatucola ordinaria, in seria difficoltà con la
varietà lessicale, la punteggiatura e la grammatica…una reginetta
di mediocrità in più
d’un campo. Che so…una transfuga disonorevole della “vecchia
Logopea”, una apostata, una voltagabbana, una sciagurata, una
caracollante blatta che percorre con tenacia disperata la cunetta
provinciale del guittismo becero e dell’ipocrita perbenismo alla
crinolina… Se è costei
la maestrina,
ella crede di rendersi irresistibile come le eroine dei romanzi chick
lit. Forse si identifica addirittura nella
capricciosa e affascinante Scarlett O’Hara del capolavoro di
Margaret Mitchell.
Indubbiamente
le donne con un carattere bisbetico e ribelle, di forte personalità,
scontrose, permalose, difficili per educazione e condotta,
predisposte al contraddittorio logico e savio, esercitano un
formidabile attrait…
purché tali caratteristiche, congenite o studiate, si appoggino
all’avvenenza fisica, alla grazia. In assenza di tal dote, il
maschio non fa neanche il dietro-front: non si avvicina… Il
caratteraccio, insomma, è il disvalore aggiunto, il secondo
deterrente.
Il
commento, maestrina, è
sgrammaticato, infarcito di errori di battitura: indice di
sciatteria. Segno che lei, a differenza di Costantino, non rilegge e
corregge quel che spurga con sicumera, con malriposta fiducia nelle
sue (scadenti) qualità letterarie.
La
pretesa mancanza di frequentatori attivi del blog potrebbe essere
attribuita facilmente al timore di incorrere in una figura barbina
(non tutti sono incoscienti come lei, maestrina!),
tenuto conto della cura sintattica e dell’applicazione di un
editing pignolo da parte del/dei curatore/ri. Cosa che avveniva con
scrupolosa puntualità all’epoca del primo blog di Logopea: nessun
intervento otteneva il lasciapassare alla
pubblicazione, se prima non espunto dai rovi degli anacoluti,
dell’errata consecutio temporum, delle ripetizioni, degli
ingarbugliamenti espressivi, della scorante ingenuità (fatto salvo
il contenuto, il diritto alla libera opinione).
ARMANDO SAVERIANO
Nessun commento:
Posta un commento