martedì 19 febbraio 2013

Sull'anonimato



Una strategia dell'insicurezza

L’anonimato è una strategia dell’insicurezza, che consente esenzione da rivalsa e castigo; garantisce l’impunità del discredito, laddove non del vilipendio.
Parlo con generosità di insicurezza.
Si tratta, piuttosto, di una posizione in cima alla codardìa; di un atto screanzato nel migliore dei casi. Non ammette pretesti, ragioni o scusanti, mosso com’è da malignità perniciosa, impregnato della sdrucciolevole grettezza dell’ignominia.
Volendo estremizzare, riverbera di un’attitudine, o di una debolezza, elevata a vizio degno di aggiunta ai sette capitali elencati in Occidente (superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia) e agli otto annoverati in Oriente (gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, pigrizia, vanagloria, superbia).
Ricordo un film drammatico, doverosamente inserito tra le pietre miliari della storia del cinema: “ Il Corvo”, di Henri Georges Clouzot (1943). Ispirato a un reale fatto di cronaca, riveste una valenza potente contro i danni della delazione; non ebbe circuitazione facile, mentre regista e sceneggiatore si guadagnarono la sospensione dall’attività per svariati mesi. Era un film fastidioso, che faceva sfrigolare sulla carbonella le cattive coscienze, sia dei perseguitati sia dei persecutori.
La conservazione dell’incognito è da vantare solo nell’esercizio delle opere benefiche, quando l’elargitore o l’onesto promotore, restando nell’ombra, evita di imbrattare e svalutare l’azione altruistica con il disvelamento della propria identità, per scongiurare gli imbarazzi di una grondante gratitudine e sventare ogni conseguente vantaggio per la propria immagine pubblica.
La cortina di nebbia identitaria è inoltre giustificata nella prevenzione di un crimine, nel suo impedimento, nel contributo, da parte dell’anonimo, decisivo per lo scioglimento di una infrazione fortemente anomica e delittuosa connessa all’applicazione e al successo della legalità e per la conseguente comminazione della pena irrogata dall’autorità giudiziaria.
La creatura pusillanime e infingarda che nell’incauto, superficiale commento al mio articolo sull’Invettiva osa invitare me a più dettagliato studio sul kairòs, palesando coram populo la propria predisposizione al malinteso intellettuale e –ahimè!– la propria condizione di portatore/portatrice di atrofia congenita delle valvole cerebrali, ha disastrosamente equivocato sulla pertinenza della citazione. Non ho mai inteso attribuire al filosofo di Stagira la coniazione del termine kairòs, né la paternità concettuale; fidando sull’intelligenza e sulla preparazione dell’ipotetico fruitore, ho implicitamente alluso al contesto di tempo-spazio nell’afferrabilità del momento favorevole.
All’osservazione maleducata e superba dell’anonimo, si è aggiunta quella, colta, ragionata, di Costantino, che pubblicamente ringrazio per l’applicazione della correttezza e per l’apporto contenutistico della sua replica. Ma anche Costantino, in buona fede, è incorso in uno scivolone di senso nell’interpretazione del mio passaggio, dando per scontato ch’io abbia inteso dire ciò che mai ho avuto in animo di affermare.
In realtà ci troviamo di fronte a tre gradazioni di arroganza: l’arroganza veniale di chi qui scrive, che ha puntato per certo sull’immediata accreditabilità di senso nel nesso Aristotele-kairòs (lo Stagirita se ne è largamente occupato, benché in retorica); l’arroganza innocente del pur versatile e virtuoso Costantino, il quale avrebbe dovuto porre attenzione all’intero contesto dell’articolo e non a minima parte di esso; l’arroganza capitale, ostentata dall’anonimo commentatore (che da adesso –maschio o femmina che sia– battezzo maestrina dalla penna rossa), impelagato nella presunta superiorità dottrinale.
Tornando ai meccanismi perversi che (nell’articolo sulla legittimità dell’Invettiva) spingono gli invidiosi a odiare e ad avversare quanti a differenza loro sono stati tempestivi nell’accorgersi della fugace apparizione del kairòs (momento favorevole), ad afferrarlo e a renderlo funzionale ai propri interessi grazie alle risorse personali, mi riferivo alla dinamica dell’indeterminazione di un tempo nel mezzo (che non è affatto kronos), qualificativo dell’opportunità speciale.
Il kairòs è l’attimo fuggente, l’hic et nunc, che può avvantaggiare e mutare addirittura il corso dell’esistenza, al di là del Fato. Il kairòs è generalmente raffigurato come un giovinetto in corsa, con un ciuffo di capelli sulla fronte, mentre la parte posteriore del cranio è calva; il ciuffo di capelli rappresenta l’allegoria dell’afferrabilità nel momento di passaggio, in quel determinato momento; viceversa l’occasione non è ricatturabile, mai più (la mano virtuale si protenderebbe invano verso la parte posteriore rasata della testa del giovanetto in fuga, lontano per sempre).
Quanto alla punzecchiata velenosa che la supponente, acida maestrina dalla penna rossa crede di infliggere al blog, penalizzato, secondo lei (però! Vuol dire che lo tiene d’occhio!), dall’assenza di frequentatori (il che è da dimostrare; tuttavia concediamolo: potrebbe benissimo essere, quello di Logopea, uno spazio che non suscita né curiosità né interesse in alcuno, tenuto conto della vuotezza e della superfluità che impera nell’arcipelago alla moda di blog fatui, inutili, sconcertanti e kitsch. Infine, questo blog di seconda generazione non ha ancora compiuto due mesi di vita!), preferisco l’astensione di siffatti pellegrini, storditi, confusionari, sgrammaticati e disidentitarî.
Non ringrazio gli sciocchi che, come lei, maestrina, toccano il fondo dell’albagia, della tracotanza e del delirio di autoreferenzialità, occultandosi dietro la maschera neutra dell’irresolutezza, della malsicurezza di sé, sintomi tra l’altro di apatica ignoranza, di disinformazione patente e di artata animosità nei miei confronti (smettiamola, mio caro, idealista Costantino, di pensare che morsi e pugnalate siano l’altra faccia dell’affetto! Certa gentaglia non merita il nostro buonismo…).
È probabile che io abbia individuato il molestatore senza nome, né mail…è facile, anzi, che io possa strappargli la maschera. Chissà, voglio divertirmi nel formulare ipotesi…Magari un’attricetta illusa, una frustrata che ha in odio le donne belle e accoppiate…un’insulsa zitelluccia predestinata alla solitudine totale, una laureatucola ordinaria, in seria difficoltà con la varietà lessicale, la punteggiatura e la grammatica…una reginetta di mediocrità in più d’un campo. Che so…una transfuga disonorevole della “vecchia Logopea”, una apostata, una voltagabbana, una sciagurata, una caracollante blatta che percorre con tenacia disperata la cunetta provinciale del guittismo becero e dell’ipocrita perbenismo alla crinolina… Se è costei la maestrina, ella crede di rendersi irresistibile come le eroine dei romanzi chick lit. Forse si identifica addirittura nella capricciosa e affascinante Scarlett O’Hara del capolavoro di Margaret Mitchell.
Indubbiamente le donne con un carattere bisbetico e ribelle, di forte personalità, scontrose, permalose, difficili per educazione e condotta, predisposte al contraddittorio logico e savio, esercitano un formidabile attrait… purché tali caratteristiche, congenite o studiate, si appoggino all’avvenenza fisica, alla grazia. In assenza di tal dote, il maschio non fa neanche il dietro-front: non si avvicina… Il caratteraccio, insomma, è il disvalore aggiunto, il secondo deterrente.
Il commento, maestrina, è sgrammaticato, infarcito di errori di battitura: indice di sciatteria. Segno che lei, a differenza di Costantino, non rilegge e corregge quel che spurga con sicumera, con malriposta fiducia nelle sue (scadenti) qualità letterarie.
La pretesa mancanza di frequentatori attivi del blog potrebbe essere attribuita facilmente al timore di incorrere in una figura barbina (non tutti sono incoscienti come lei, maestrina!), tenuto conto della cura sintattica e dell’applicazione di un editing pignolo da parte del/dei curatore/ri. Cosa che avveniva con scrupolosa puntualità all’epoca del primo blog di Logopea: nessun intervento otteneva il lasciapassare alla pubblicazione, se prima non espunto dai rovi degli anacoluti, dell’errata consecutio temporum, delle ripetizioni, degli ingarbugliamenti espressivi, della scorante ingenuità (fatto salvo il contenuto, il diritto alla libera opinione).

ARMANDO SAVERIANO

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