giovedì 10 gennaio 2013

Poiein, album degli autori - Assunta Finiguerra

La splendida strega che graffia oltre il tempo

Una donna straordinaria che non rassegna le dimissioni per rivendicare ed esercitare i suoi diritti, aspri e cocenti come le passioni, scabri e difficili come la sua Basilicata.
Poetessa e donna di scintillante temperamento e di spinoso orgoglio, ha inteso opporsi sino all’ultimo alle bieche tirannie del destino e alle regole blindate dei musoni benpensanti.
A un certo punto ha legittimamente preteso di seguire i suoi istinti, prevedendone le conseguenze e senza temerle, ma, anzi, infischiandosene.
Ha cominciato a comporre, nella sua cucina, versi che schizzavano olio bollente da tutte le parti, soffriggendo sofferenza e rivalsa, umiliazioni e ripicche, lividure e lasciti di un tormentato passato.
Strega moderna, se l’intelletto e l’indipendenza sono i filtri magici per riscattare troppi giorni bui, ha fatto circolare i suoi tesori spesso scritti furiosamente su pezzetti di carta stropicciata, ed ha raccolto immediatamente favori e stizzose invidie, attenzione e scandalo, augusti consensi di critici non provinciali né bazzotti, dentro e fuori il circuito meridionale.
Apprezzatissima da Franco Loi, che ne ha seguito la crescita e ne ha segnalato il passaggio tra le figure più genuine e sensazionali dei grandi della letteratura, dalla seconda metà del novecento agli esordi del terzo millennio, Assunta ha viaggiato –richiestissima– in tutta Italia, acclamata anche in seno a quei consessi più rigidamente schematici.
Lettrice e interprete sanguigna dei suoi versi colati via dal magma puro, non resterà nel nostro ricordo come poetessa angustamente dialettale; ma musa per se stessa e gli altri oltre ogni confine, al di là e al di sopra di qualsivoglia etichettatura.
Neanche gli orrori del cancro l’hanno fiaccata. Ha lavorato fino all’estremo, combinando nel veemente laboratorio alchemico nuove raccolte e preparando sempre progetti, forte dell’accoglienza di Einaudi, Mursia, Zone, Lietocolle.
Il suo verso grida, strappa, scuote, taglia anche nel sussurro erotico e nei sussulti di fronte ai tradimenti della vita, che l’ha voluta infelice, costantemente sul filo dell’ansia e della rabbia.
Lascia splendidi volumetti, veri scrigni di verità, bellezza e dolore, ove il dialetto lucano eccezionalmente non viene frodato dalle versioni in lingua ufficiale. Altrettanto godibili, altrettanto indimenticabili nella sonorità e nella scossa emotiva. Tra i suoi titoli, citiamo “Scurije”, “Solije”, “Tunnicchio”, una gustosissima riscrittura dialettale del Pinocchio di Collodi, in versi nervosi e sapidissimi, e “Tatemije”, il suo testamento prima della silenziosa dipartita. Che ha gettato nello sgomento quanti l’hanno veramente amata.


ARMANDO SAVERIANO




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