giovedì 10 gennaio 2013

Origami di lingua e parola


Immagine tratta da ilportaledelsud.org

L’entità metamorfica insita in un autore, ribelle per inclinazione identitaria ad ogni conformità o alla regola del momento storico-letterario, viene fuori in questa nuova viandanza di Max Condreas, che con voce squillante e forza terapeutica del logos si fa di natura mercuriale, stavolta senza irruzioni, ma con una fluidità virale che non intrappola senso e estetica: li libra in volo.

Gli strumenti critici ed esegetici trovano terreno fertile in una simile raccolta, omogenea, sensibile e sensoriale, che non strema l’analisi, la rende ficcante. Indubbiamente è con questo libro che Condreas, come un mirabolante mastro vasaio dell’idea e dell’immagine, conquista la spiaggia dorata della visibilità e del robusto riscontro, ci accompagna nella basilica di una poesia trascinatrice, densa di stimoli e dettagli suggestionanti, proponendo all’attenzione raziocinante ed emotiva un circuito di frammentazioni, inquadrature da neorealismo spesso repentinamente deformate o squarciate o con eleganza da flâneur travasate nell’attimo in cui –in virtù di metafore sghembe, fluttuazioni oniriche, scontro tra evento, ricordo, confessione e oblio– il nastro narrativo e il lampo lirico si adagiano in quella sinfonia che fa ruotare il mondo attorno all’animo, sporco e sublime.
La straordinaria inclinazione di Condreas all’evocatività fa da contrappunto a un insolubile brivido esistenziale che misura sulla lingua il carico delle verità e lo stilismo di un esasperato immaginario, che preserva –non sempre– dall’esazione dell’ultima risorsa, dell’ultima speranza in pieno gioco.
Cacciatore di immagini, abile e non geloso custode dei percetti, l’io poetante sprigiona il luogo del vuoto e lo vivifica battendo territori perduti, situazioni anarchiche, cucendo fra di loro disordini e escapismi, possibili, accessibili o aleatori; non confina mai la parola-messaggio entro uno steccato di déjà entendu, o in qualche modo di provvisorio, facendola anzi interprete vibrante, ferma, della realtà esterna e della cognizione enterorecettiva, come farebbe un archeologo capace di ricostruire con la tentazione –tenuta a bada– alla modifica.
Tra il bivacco del dolore e la vertigine della passione non assolutoria e tuttavia salvifica, emerge e domina la responsabilità dello scrittore nella fluttuazione di una nuova era che avrebbe potuto -ed ha fallito- attutire gli antagonismi, rieducare alla non conflittualità le tante slabbrature politico-ideologiche, avviando il modello di sviluppo verso più alti destini, o quanto meno in direzione di un generale miglioramento delle condizioni di vita. L’amarezza del poeta non sbocca nell’insurrezione della retorica, si stempera nella ri-appartenenza, nel ri-guadagno di sé in un piccolo miracolo laico, scandito dal segno positivo di uno sguardo che non appena illimpidisce sa allungarsi oltre l’orizzonte di apprensione e di incertezza, oltre la modernità liquida, come sostiene Zygmunt Bauman, di un mondo dai tornanti a rischio, minacciato dall’imprevedibilità di ogni effettiva previsione.
Origami impazziti” è una tappa importante nel percorso di crescita dell’autore, che qui segue, nelle piste e nelle corde sue proprie, il dilemma tennysoniano tra vita e sua fruizione speculare, tra esperienza diretta e osservazione contemplativa, tra entrate e uscite, impugnazione ed inafferrabilità
di scopi e senso del bersaglio. L’io poetante colleziona perdite e registra nuove sfide per sfondare il muro di quel che non si vuole e quindi non si vede; la nudità della colpa è correlata alla nudità della redenzione o alle abrasioni dell’innocenza. La parola di Condreas s’impasta e si fonde in cristallizzazioni e preziose geometrie plurisensorie, crea il fenomeno meraviglioso della parola che si fa respiro e irradia il sale e il seme della propria voce, non più solivaga e rauca, ma consapevole e belligerante, ora caustica, ora intinta di sarcasmo, ora tenera e commossa, in una coralità dal filo quasi metafisico nei passaggi più ambiziosi e arditi.
Il co-fondatore del fortunato periodico culturale “deComporre”, nato come foglio letterario in sordina e assurto a meritatissima dignità di rivista sempre più diffusa e letta, investe tutto se stesso nella corposità ruvida e raffinata, sciolta e raddensante, di un dire schietto, energico ed elegante, in una interlocuzione con il linguaggio piegato all’afflato di riflessione e di resurrezione.
Ogni componimento, puntualmente datato in calce, gode del privilegio di un’incandescenza sua propria, che invita alla rilettura e a un maturo soffermarsi su quanto è sublimato dalla fenomenologia poematica dello scrittore. I testi, tra l’altro, risultano intriganti per l’attore, o il fine locutore, che ne resta attratto e fa della pagina una palestra di esercitazione per l’irradiazione dell’empatia.
“Origami impazziti” rappresenta un ottimo bigliettino d’ingresso per la collana “Poetry”( deComporre edizioni) nel gran ventaglio variegato di pubblicazioni consimili, grazie anche agli equilibri di spazi e colori nella copertina quasi ad effetto “sbalzato”, in un’illusione ottica assai piacevole.
E in chiusura offriamo, tra le numerose, questa perla meditativa del duttile e prolifico demiurgo di Formia: “Verso quale immane grata/scivolano tutte le parole/di comodo/che pronunciamo/perché spinti/dal frenetico inutile pulsare/di appartenere a un/limitato definito/agglomerato/di unità biologiche/tendenti all’opulenza del/disinteresse?”

ARMANDO SAVERIANO


ORIGAMI IMPAZZITI MAX CONDREAS DECOMPORRE ED. 2012 PAG. 90 EURO 10.00

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