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L’entità metamorfica
insita in un autore, ribelle per inclinazione identitaria ad ogni
conformità o alla regola del momento storico-letterario, viene fuori
in questa nuova viandanza di Max Condreas, che con voce
squillante e forza terapeutica del logos si fa di natura mercuriale,
stavolta senza irruzioni, ma con una fluidità virale che non
intrappola senso e estetica: li libra in volo.
Gli
strumenti critici ed esegetici trovano terreno fertile in una simile
raccolta, omogenea, sensibile e sensoriale, che non strema l’analisi,
la rende ficcante.
Indubbiamente è con questo libro che Condreas, come un mirabolante
mastro vasaio dell’idea e dell’immagine, conquista la spiaggia
dorata della visibilità e del robusto riscontro, ci accompagna nella
basilica di una poesia trascinatrice, densa di stimoli e dettagli
suggestionanti, proponendo all’attenzione raziocinante ed emotiva
un circuito di frammentazioni, inquadrature da neorealismo spesso
repentinamente deformate o squarciate o con eleganza da flâneur
travasate nell’attimo in cui –in virtù di metafore sghembe,
fluttuazioni oniriche, scontro tra evento, ricordo, confessione e
oblio– il nastro narrativo e il lampo lirico si adagiano in quella
sinfonia che fa ruotare il mondo attorno all’animo, sporco e
sublime.
La straordinaria
inclinazione di Condreas all’evocatività fa da contrappunto a un
insolubile brivido esistenziale che misura sulla lingua il carico
delle verità e lo stilismo di un esasperato immaginario, che
preserva –non sempre– dall’esazione dell’ultima risorsa,
dell’ultima speranza in pieno gioco.
Cacciatore
di immagini, abile e non geloso custode dei percetti, l’io poetante
sprigiona il luogo del vuoto e lo vivifica battendo territori
perduti, situazioni anarchiche, cucendo fra di loro disordini e
escapismi, possibili, accessibili o aleatori; non confina mai la
parola-messaggio entro uno steccato di déjà entendu, o in qualche
modo di provvisorio, facendola anzi interprete vibrante, ferma, della
realtà esterna e della cognizione enterorecettiva, come farebbe un
archeologo capace di ricostruire con la tentazione –tenuta a bada–
alla modifica.
Tra il bivacco del
dolore e la vertigine della passione non assolutoria e tuttavia
salvifica, emerge e domina la responsabilità dello scrittore nella
fluttuazione di una nuova era che avrebbe potuto -ed ha fallito-
attutire gli antagonismi, rieducare alla non conflittualità le tante
slabbrature politico-ideologiche, avviando il modello di sviluppo
verso più alti destini, o quanto meno in direzione di un generale
miglioramento delle condizioni di vita. L’amarezza del poeta non
sbocca nell’insurrezione della retorica, si stempera nella
ri-appartenenza, nel ri-guadagno di sé in un piccolo miracolo laico,
scandito dal segno positivo di uno sguardo che non appena
illimpidisce sa allungarsi oltre l’orizzonte di apprensione e di
incertezza, oltre la modernità liquida, come sostiene Zygmunt
Bauman, di un mondo dai tornanti a rischio, minacciato
dall’imprevedibilità di ogni effettiva previsione.
“Origami
impazziti” è una tappa importante nel
percorso di crescita dell’autore, che qui segue, nelle piste e
nelle corde sue proprie, il dilemma tennysoniano tra vita e sua
fruizione speculare, tra esperienza diretta e osservazione
contemplativa, tra entrate e uscite, impugnazione ed inafferrabilità
di scopi e
senso del bersaglio. L’io poetante colleziona perdite e registra
nuove sfide per sfondare il muro di quel che non si vuole e quindi
non si vede; la nudità della colpa è correlata alla nudità della
redenzione o alle abrasioni dell’innocenza. La parola di Condreas
s’impasta e si fonde in cristallizzazioni e preziose geometrie
plurisensorie, crea il fenomeno meraviglioso della parola che si fa
respiro e irradia il sale e il seme della propria voce, non più
solivaga e rauca, ma consapevole e belligerante, ora caustica, ora
intinta di sarcasmo, ora tenera e commossa, in una coralità dal filo
quasi metafisico nei passaggi più ambiziosi e arditi.
Il co-fondatore del
fortunato periodico culturale “deComporre”, nato come foglio
letterario in sordina e assurto a meritatissima dignità di rivista
sempre più diffusa e letta, investe tutto se stesso nella corposità
ruvida e raffinata, sciolta e raddensante, di un dire schietto,
energico ed elegante, in una interlocuzione con il linguaggio piegato
all’afflato di riflessione e di resurrezione.
Ogni
componimento, puntualmente datato in calce, gode del privilegio di
un’incandescenza sua propria, che invita alla rilettura e a un
maturo soffermarsi su quanto è sublimato dalla fenomenologia
poematica dello scrittore. I testi, tra l’altro, risultano
intriganti per l’attore, o il fine locutore, che ne resta attratto
e fa della pagina una palestra di esercitazione per l’irradiazione
dell’empatia.
“Origami
impazziti” rappresenta un ottimo bigliettino d’ingresso per la
collana “Poetry”( deComporre edizioni) nel gran ventaglio
variegato di pubblicazioni consimili, grazie anche
agli equilibri di spazi e colori nella copertina quasi ad effetto
“sbalzato”, in un’illusione ottica assai piacevole.
E in
chiusura offriamo, tra le numerose, questa perla meditativa del
duttile e prolifico demiurgo di Formia: “Verso
quale immane grata/scivolano tutte le parole/di comodo/che
pronunciamo/perché spinti/dal frenetico inutile pulsare/di
appartenere a un/limitato definito/agglomerato/di unità
biologiche/tendenti all’opulenza del/disinteresse?”
ARMANDO SAVERIANO
ORIGAMI
IMPAZZITI MAX CONDREAS DECOMPORRE
ED. 2012 PAG. 90 EURO 10.00
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