sabato 12 gennaio 2013

Laboratorio teatrale Loglab - Studio di Perseo


foto di Enzo Patria

È appena uscito illeso dallo scontro con Medusa. La tensione è stata forte, con grande scarico di adrenalina. Ansima, i muscoli ancora tesi, i sensi appena appena placati. Stringe l’arma in pugno, rivoli di sudore gli scorrono sul volto; la magica sacca che conterrà la testa di Medusa è ai suoi piedi. Più in là, il mostruoso capo mozzo, rutilante di serpi in agonia, è rivolto verso il pubblico.

Fra quanti mostri ed eroi hanno intessuto la storia aspramente sanguinosa dei mortali, noi due, Gorgona, siamo tra i più singolari. Le nostre vicende epiche e penose si legano a un Fato ineluttabile, irridente: si dice che Tiche, dea della sorte, sia irresponsabile delle sue decisioni; corre qua e là, facendo rimbalzare una palla per dimostrare che è il destino cosa incerta.
Eppure sono convinto che i disegni degli dei siano ben precisi e che l’opporsi ad essi è vano, viene anzi punito dallo scudiscio di Nemesi.
La tua antica bellezza, o Medusa, e quella ancora risplendente nella madre mia Danae, hanno portato a te umiliazione e sciagura, e adesso la morte; per me hanno tracciato un tortuoso sentiero di lotta, benché mi sia stato in compenso promesso l’amore di una fanciulla di straordinaria avvenenza e di ascendenza regale.
E dunque, io non ho che da ringraziare dei benevoli, Afrodite, Ermete, Atena soprattutto…le Ninfe Stigie per i sandali alati, l’elmo che rende invisibili, la magica sacca ove riporre l’orrida testa spiccata dal busto.
La porterò a Polidette, mio re e padre adottivo, che me la chiese come personale dono, in occasione delle sue nozze di ripiego con Ippodamia. In cambio, non avrebbe preteso che Danae reticente, per la quale egli è tuttora infiammato d’amore, sostituisse Ippodamia nel talamo.
Tu, invece, infelice Medusa, hai pagato da sola l’ira di Atena, dopo il nefasto accoppiamento con Poseidone nel tempio a lei sacro…il coito a cui soggiacesti, perché sarebbe stato inaudito ardire il solo schermirsi al lascivo desiderio di un dio così temibile e potente.
Immagino…voglio pensare…che la fanciulla che fosti esitò nell’infausta scelta dell’alcova.
Ma Poseidone… protervo, impaziente, dietro di sé ti trascinava, blandiva le tue oneste riserve.
In realtà egli voleva intenzionalmente recare offesa ad Atena, che invincibilmente lo odiava, e ne aveva forse motivo…Da dio, poteva a differenza tua arrogarsi il diritto all’empietà, profanare proprio il tempio di quella dea, che già aveva irritato, quando, per beffa, convinse Efesto che le sue bramose attenzioni sarebbero state bene accette, come particolare segno di gratitudine per l’armatura che nella sua fucina le forgiava.
Intimidita e frastornata dalla cupidigia del Signore degli Oceani, accondiscendesti a saziarne la libidine. In quel connubio egli ti donò, col seme, l’attimo dell’estasi che precede la piccola morte, per abbandonarti repentinamente non appena ebbe saziato gli appetiti della duplice profanazione.
E te, inerme, sconsolata, colma di vergogna, violata e ignuda, nonostante le suppliche inascoltate, le ignorate invocazioni di perdono, consegnava alla vendetta della suscettibile dea dei saperi e delle armi. Meglio, per una mortale, nascere con modeste sembianze, onde non attirare la lussuria dei numi e la gelosia delle loro dee.
Atena non tardò a manifestare la sua crudeltà implacabile: lo fece con Aracne, mutandola in un ragno ripugnante per essersi la giovinetta vantata di tessere impareggiabilmente…Con te…scatenò il più macabro esercizio di mutazione…progettò un orrore che sulla Terra non aveva pari…
La pelle soffice e iridata ti si coprì di coriacee scaglie, viscide spire sostituirono le eburnee cosce, nidi di serpi immonde fagocitarono i capelli morbidi e lucenti, vanto delle tre sorelle Gorgone, occhi calamitosi dal lampo insostenibile ti condannarono a divenire fattrice di pietre e sassi…Chiunque avesse da allora incontrato il tuo sguardo maligno e guizzante…uomo o animale che fosse… avrebbe arricchito quest’antro di statue disperate, colte nella sorpresa dell’immediato congedo dal respiro e dal caldo ruscellare del sangue. Il cuore sarebbe sopravvissuto per il tempo di dannarsi senza poterti neanche maledire.
Ma io…il tuo uccisore…provo per quel che hai subìto una greve pena. Nemesi ha voluto che tu scontassi il fio delle traumatiche morti di tanti disgraziati.
E mi chiedo…con un sentore amaro…che eroe sono io…quale vittoria è siffatta…se le Ninfe Stigie, per ferrea volontà celeste, mi consegnarono i sandali prodigiosi, la speciale sacca e l’elmo che nasconde alla vista, consigliandomi di non fissare mai direttamente il tuo sguardo letale, bensì la tua immagine riflessa in questo lucentissimo scudo, anch’esso dono di Atena??!!?
Quale eroe son io, se fu sempre la mano della dea a guidare la spada con cui troncai la testa sibilante di rettili immondi?1?
Uno strumento. Uno strumento sono stato e sarò, lo avverto in tutte le fibre del mio essere…finché il capriccio degli dei mi terrà in vita e mi vorrà trionfante in imprese protette, ove è facile avere la meglio…senza la travagliata conquista di una vera gloria meritata col solo braccio e le astuzie della mente! (Pausa)
Madre…almeno tu, attendimi sollevata e lieta: su di te non calerà la spada sospesa dello stupro nuziale. Goda Polidette del suo raccapricciante trofeo. È facile che gli riesca nocivo.
Io torno a te con il più triste trionfo!


ARMANDO SAVERIANO

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