foto di Enzo Patria
È
appena uscito illeso dallo scontro con Medusa. La tensione è stata
forte, con grande scarico di adrenalina. Ansima, i muscoli ancora
tesi, i sensi appena appena placati. Stringe l’arma in pugno,
rivoli di sudore gli scorrono sul volto; la magica sacca che conterrà
la testa di Medusa è ai suoi piedi. Più in là, il mostruoso capo
mozzo, rutilante di serpi in agonia, è rivolto verso il pubblico.
Fra
quanti mostri ed eroi hanno intessuto la storia aspramente sanguinosa
dei mortali, noi due, Gorgona, siamo tra i più singolari. Le nostre
vicende epiche e penose si legano a un Fato ineluttabile, irridente:
si dice che Tiche, dea della sorte, sia irresponsabile delle sue
decisioni; corre qua e là, facendo rimbalzare una palla per
dimostrare che è il destino cosa incerta.
Eppure
sono convinto che i disegni degli dei siano ben precisi e che
l’opporsi ad essi è vano, viene anzi punito dallo scudiscio di
Nemesi.
La
tua antica bellezza, o Medusa, e quella ancora risplendente nella
madre mia Danae, hanno portato a te umiliazione e sciagura, e adesso
la morte; per me hanno tracciato un tortuoso sentiero di lotta,
benché mi sia stato in compenso promesso l’amore di una fanciulla
di straordinaria avvenenza e di ascendenza regale.
E
dunque, io non ho che da ringraziare dei benevoli, Afrodite, Ermete,
Atena soprattutto…le Ninfe Stigie per i sandali alati, l’elmo che
rende invisibili, la magica sacca ove riporre l’orrida testa
spiccata dal busto.
La
porterò a Polidette, mio re e padre adottivo, che me la chiese come
personale dono, in occasione delle sue nozze di ripiego con
Ippodamia. In cambio, non avrebbe preteso che Danae reticente, per la
quale egli è tuttora infiammato d’amore, sostituisse Ippodamia nel
talamo.
Tu,
invece, infelice Medusa, hai pagato da sola l’ira di Atena, dopo il
nefasto accoppiamento con Poseidone nel tempio a lei sacro…il coito
a cui soggiacesti, perché sarebbe stato inaudito ardire il solo
schermirsi al lascivo desiderio di un dio così temibile e potente.
Immagino…voglio
pensare…che la fanciulla che fosti esitò nell’infausta scelta
dell’alcova.
Ma
Poseidone… protervo, impaziente, dietro di sé ti trascinava,
blandiva le tue oneste riserve.
In
realtà egli voleva intenzionalmente recare offesa ad Atena, che
invincibilmente lo odiava, e ne aveva forse motivo…Da dio, poteva a
differenza tua arrogarsi il diritto all’empietà, profanare proprio
il tempio di quella dea, che già aveva irritato, quando, per beffa,
convinse Efesto che le sue bramose attenzioni sarebbero state bene
accette, come particolare segno di gratitudine per l’armatura che
nella sua fucina le forgiava.
Intimidita
e frastornata dalla cupidigia del Signore degli Oceani,
accondiscendesti a saziarne la libidine. In quel connubio egli ti
donò, col seme, l’attimo dell’estasi che precede la piccola
morte, per abbandonarti repentinamente non appena ebbe saziato gli
appetiti della duplice profanazione.
E
te, inerme, sconsolata, colma di vergogna, violata e ignuda,
nonostante le suppliche inascoltate, le ignorate invocazioni di
perdono, consegnava alla vendetta della suscettibile dea dei saperi e
delle armi. Meglio, per una mortale, nascere con modeste sembianze,
onde non attirare la lussuria dei numi e la gelosia delle loro dee.
Atena
non tardò a manifestare la sua crudeltà implacabile: lo fece con
Aracne, mutandola in un ragno ripugnante per essersi la giovinetta
vantata di tessere impareggiabilmente…Con te…scatenò il più
macabro esercizio di mutazione…progettò un orrore che sulla Terra
non aveva pari…
La
pelle soffice e iridata ti si coprì di coriacee scaglie, viscide
spire sostituirono le eburnee cosce, nidi di serpi immonde
fagocitarono i capelli morbidi e lucenti, vanto delle tre sorelle
Gorgone, occhi calamitosi dal lampo insostenibile ti condannarono a
divenire fattrice di pietre e sassi…Chiunque avesse da allora
incontrato il tuo sguardo maligno e guizzante…uomo o animale che
fosse… avrebbe arricchito quest’antro di statue disperate, colte
nella sorpresa dell’immediato congedo dal respiro e dal caldo
ruscellare del sangue. Il cuore sarebbe sopravvissuto per il tempo di
dannarsi senza poterti neanche maledire.
Ma
io…il tuo uccisore…provo per quel che hai subìto una greve pena.
Nemesi ha voluto che tu scontassi il fio delle traumatiche morti di
tanti disgraziati.
E
mi chiedo…con un sentore amaro…che eroe sono io…quale vittoria
è siffatta…se le Ninfe Stigie, per ferrea volontà celeste, mi
consegnarono i sandali prodigiosi, la speciale sacca e l’elmo che
nasconde alla vista, consigliandomi di non fissare mai direttamente
il tuo sguardo letale, bensì la tua immagine riflessa in questo
lucentissimo scudo, anch’esso dono di Atena??!!?
Quale
eroe son io, se fu sempre la mano della dea a guidare la spada con
cui troncai la testa sibilante di rettili immondi?1?
Uno
strumento. Uno strumento sono stato e sarò, lo avverto in tutte le
fibre del mio essere…finché il capriccio degli dei mi terrà in
vita e mi vorrà trionfante in imprese protette, ove è facile avere
la meglio…senza la travagliata conquista di una vera gloria
meritata col solo braccio e le astuzie della mente! (Pausa)
Madre…almeno
tu, attendimi sollevata e lieta: su di te non calerà la spada
sospesa dello stupro nuziale. Goda Polidette del suo raccapricciante
trofeo. È facile che gli riesca nocivo.
Io
torno a te con il più triste trionfo!
ARMANDO SAVERIANO
Nessun commento:
Posta un commento