Milano, 24/03/2012
Caro, anche qui ora, mentre scrivo, la tua idea viene prima del mare che ci
divide. Perfetta a questo dito indice intanto che mi ritorna come insegna
luminosa fino alla nostra casa. Ti vedo seduto in quel piccolo studio. In
solitudine. Nell’ovvietà dei pomeriggi accaldati di quel paese lontanissimo.
Aspettare, aspettare te è un sonno leggero che s’affretta al mattino dopo e
ancora all’altro dopo. E’ vita che perdo, caro amore, in ogni minuto. Sono in
cucina, immobile davanti la mia solita tisana. Verso l’ennesima sera dove la
solitudine cade sulle ombre che si allungano sgonfie e verso il tuo viso
sfocato. Mario ieri ha dipinto il cancello che da sull’orto. Lui diceva che era
ancora in buono stato ma, io vedevo il legno tarlato e stretto all’apertura
della serratura nuova. Così l’ho fatto sanare per ridipingere tutto verde.
Verde come il nostro orto-giardino pieno di semine e verdure tra i gerani che
devono sbocciare. Mi giunge il tempo ai nostri primi anni. Ti ricordi?
Adattarsi in quella vecchia casa di famiglia, improvvisati e folli con quattro
cieli di sogni. Noi a tutti i costi decisi e squattrinati a stare insieme
mentre dal tetto pioveva sempre dallo stesso punto. Tuttavia accucciati
nell’umido del nostro letto con Zara e le sue zampe sopra l’unico cuscino della
nostra camera. La nostra bestiolina pelosa. E stasera, amore mio, c’è la luce
giusta proprio sulla finestra. In un certo senso entra dritta e vicino alla
penombra della tua poltrona. Dietro la mensola dove svettano usurati i tuo
libri di anatomia. Indosso il tuo pullover, quello a scacchi. Mi fa sostegno
perché ancora inzuppato del tuo odore. Lo vezzeggio mentre mentalmente conto le
tue parole, i dettagli di ogni filo rosso di quei quadrati così infilati accuratamente
dentro la tua voce. Ti ho scritto che ti amo? Poco male, amore mio, lo farò
adesso. Ti amo. Apri il muro dello studio e cercami con le labbra fino a
diventare il ramo di questo oleandro che vedo dal riflesso del davanzale
Cullarsi nella nenia del vento che vende a caso e per domani non sa ancora
quale gioco immaginare. Ecco, vado a letto. Ti amo. Permettimi il bacio della
buonanotte. Guardo il mio corpo nel tuo. Al di là del confine e della cartina
geografica. Questa specie di voglia inattesa l’ho chiamata “sindrome del
follicolo”. Non ridere. E’ in onore al mio essere femmina quando ti penso tra
le pagine sfogliate della mia carne. Si, senza pudore. In quella nudità crespa
e bianca che va e viene. In ogni caso una marea. Potremmo pensarci con questo
scatto d’istante: complici allo specchio di questa stanza per la nostra fame di
sesso e di anime. Dimmi che mi vorresti voluttuosa ma sempre contraddittoria
alle mie enormità difettose. So che tutte le mie idee balzane ti meravigliano.
Io, poi, dimentico appena dopo. Tu sai già. Sono pensieri. Pensieri fuori dal
quotidiano. Esclusi da ogni ora ordinaria. Scivolano. Scivolano senza ordine e
senza meta. Mi sembra di scrutare i tuoi occhi accovacciati dentro la vena
calda del cuore. Sotto il lenzuolo che va a formare il tuo calco e mi respira
accanto. Pochi giorni, amore. L’ultima prova della distanza.
Ti bacio.
FRANCESCA DONO
Francesca Dono |
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