Questo
testo inaugura il filone della Poesia mito-eroica.
STAZIONI DEL RABDOMANTE
Una tenue
fiamma
Al volto pallido parla
Mette insieme i riflessi
Rammendando il ricordo
Del filo d’erba che fu
Nel tuo
singolo bacio
Ansimava un papavero
Che nel vento batteva
Liquida la sua punta di spada
Ecco dove
vivrò
In un calesse rubato
In avara cantilena
Che soffrirà d’asma
E affondando affogherà
Con scricchiolío di Sibilla
Che a tanti parrà farfalla d’inchiostro
Nella garrula cipria del tempo
Ho atteso
con rabbia e con pazienza
Che il tuo sangue o sorte
Zampillasse per me dal fuoco
Sotto la mia anima scalza
Nel turchino alambicco dell’aria lugliferina
Ove ribolliva la formula alchemica
Dell’alterità
Mentre il suadente respiro giaceva
Appiattito come placenta di un sasso
Tu ed io
partoriti da un unico genio
Forestico
Intramati in infusione che decanta inebria
Fra ceneri là a scintillare il divino e il beffardo
Chi oserà mai disperdere il nostro
Inacquietante fiato?
La stessa
vergine mignotta (?forse?)
Dall’ombelico ricucito per sfregio
Di
masciara
Con la bocca vinosa impronunciabile
Gli occhi indecifrati sopra il labirinto
Della morte senza
sesso?
L’uno
all’altro dono spermatico
Del custode degli incensi e delle spire
E sella di drago nella cerca della gru d’oro
Del linguaggio
Una
forcella in mano
Mi chiamo
A
Nel rabido gabbiolo della carne
nome segreto Gabriel
nel sussurro del bagatto stralunato
Tu D
A camminare sul lungofiume come Re
Senzaterra
Onnipaziente per non sfiatare doce doce
Le visioni che sorgono dal niente
Davide
Negli incantesimi spendaccioni dell’infanzia
Scarabocchiavi il corpo
Com’è normale
Per il frale vino che riversa il sonno
E squilla nell’occhio l’iride profonda
Del suono
Ma a me
gli anni impazziscono dentro
Ragazzo che spacchi le noci senza temere
Mola di iattura
Calvario di faíne
Gli anni! mi impazziscono! dentro!
Come puoi capire come puoi capire
È il tempo che incarica l’infame
Architetto
Disastroso
D’aggrinzire curvare desquamare
La mollecoriacea buccia della pelle
Esporre alla ruota ilare dei giorni
Le scoperchiate oscenità degli organi
guasti
I denti sbalzati via a puntellare
Il furto degli ossari tra le nebbie
Co ! me ! puoi ! ca! pi ! re!
LA
PAURA
Di lasciarsi profanare dalle ortiche
E poi dal lancinante ghiaccio
Della
di
men
ti
can
za
sordida amante che annerisce e consuma
an ! nien
! tan ! do !
il passato
Oh mia
deportata gioventù
Fai di me
De ! so !
lan ! te !
Albergo di rimpianto
La mia cantina è sbarrata
Alla bellezza cadúca
Spoglio il lucernario
E solo vi
filtra
Una frangia di buio
La coda
fulva della notte
Io
Nemico e straniero
Per sete
tristezza e gelo
Sordomuto alla vecchiaia che canta issata sul carretto
Delle chincaglie
La favola del pungiglione
A trafiggere spacconeria e ingordigia
E del perfido osso
In gola al
cane sterratore
Debbo
uscire
Attratto
dalla fonte che scorre
Dentro le vene della terra
E forse
t’incontrerò
E quando mi
incontrerai
Lascerò che
io ne muoia
Bramerai
il mistico legno riprenderai
Il mio vagabondaggio
Con la
faretra delle pene figlio
E il ricco
bottino del dolore
Io
sono noi
Ascolterai dal cuore
An ! si ! man ! te !
Ascolterai
dal cuore
Amante
Della foresta ribellandoti - è giusto -
Ma della forcella non sbarazzarti
Cerca l’acqua
La bocca della notte è arsa
Di giorno fa scorrere la lampo del cielo
Scopri altre nuvole
Tu
sei noi - te lo ripeterò come se fossi
Tuo arto fantasma
Protome dal tuo
petto
E
iotunoi scelgoscegliscegliamo funi
Per segarci i polsi
E filtrare in
borraccia
Il lamento o la liberazione dell’esilio
A fil di sangue
Dove
sei
Dove
So che ci sei
So (ti ho veduto)
Come piú cieco ero viandante
A scomparire in
Una
Goccia
D’Erba
ARMANDO SAVERIANO


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