giovedì 19 novembre 2015

LA MORTE SA ATTENDERE



QUANDO LA SANITÀ È EFFICIENTE














C’è tempo per morire, recita un adagio. E se è vero che –dantescamente– “viver è un correre a la morte” (Purgatorio, 33,54), se diffuso è il proverbiale “Tristia iura necis nulla medela fugat” (“Nessuna medicina mette in fuga le tristi leggi della morte”), è altrettanto reale e possibile che la Buona Sanità intervenga a respingere gli ossei artigli dell’Oscura Signora, offrendo un’occasione in piú al morituro. Un rinvío, siamo d’accordo, giacché echeggia nella consapevolezza di tutti il detto di Seneca: “Nihil nisi mors certum est” (Ep.99,9); ma –ripetiamo– c’è sempre tempo per pagare e per morire.
Nei suoi “Commentaries on the Laws of England” (1768), il giurista inglese Sir William Blackstone parlava per la prima volta di “mala praxis”, “malpractice”, “negligenza”, riferendosi all’attività medica superficiale, inadempiente, ‘zoppa’. Rosenthal nel 1995 definiva la “Malasanità”: “una evidente e dimostrata mancanza di conoscenza e/o abilità nella conduzione della pratica clinica”, che produce al paziente danno immediato o differito nel tempo. In Italia è stata istituita una commissione d’inchiesta che deve valutare gli errori in Sanità.
Ad apertura di telegiornale non manca mai la cronaca di un episodio increscioso legato alla Malasanità, che non risparmia alcuna struttura e nessun camice bianco, dal Nord al Centro, al Sud dello Stivale. Stupisce e indigna che siano rari i casi in cui si cita, invece, la Buona Sanità, con i suoi effetti positivi, spesso salvifici o ‘miracolosi’. Fa certo piú notizia, desta piú scalpore (e miete piú audience) la bomba carta dell’inefficienza medico-infermieristica, giacché titilla la morbosità macabra della gente, sulla quale la disgrazia (altrui) stimola le endorfine, pratica la fellatio e il cunnilinguo al sadismo e all’attrait del Male coltivato nell’inconscio, singolo e collettivo. Ricordiamo che le endorfine, in una definizione molto lasca e popolare, sono delle sostanze chimiche prodotte dal cervello, le quali procurano un senso di piacere al pari degli oppiacei, senza gli stessi effetti collaterali pericolosi e negativi, eccetto che per l’etica e la morale (concetti valoriali di cui l’umanità al 99,99% se ne impipa).
La cronaca nera è dettagliata nel raccogliere e citare casi legati ad una inedita versione di serial killer: l’infermiera assassina (prevalentemente di neonati o di vecchietti); ad esempio l’italiana Sonya Caleffi (Ospedale Manzoni di Lecco), condannata a 20 anni di carcere per l’omicidio di 5 pazienti, o le allegre comari dell’ospedale Lainz di Vienna (siamo nel 1983), gruppetto di angeli letali dal ‘vizietto omicida’ (Maria Gruber, Irene Leidolf, Stephanija Meyer), capitanato da certa Waltraud Wagner (una cinquantina e passa di delitti in corsia, robetta da poco). Il cinema di genere non poteva non appropriarsi del morboso, viscido tema con il thriller-horror “Nurse 3D” (USA, 2013/14, regia di Douglas Aarniokoski), protagonista la sexyssima Paz de la Huerta, nel ruolo di Abby (Abigail) Russell, impeccabile infermiera di giorno, implacabile angelo della morte di notte; e ricordiamo anche il delirante splatter “Maniac Nurses Find Ecstasy” (1990, Usa/Belgio, regia di Léon Paul De Bruyn).
Ma qui parliamo, vivaddio, di Buona Sanità, di ottima struttura ospedaliera, di uno staff medico-infermieristico di alto livello, solerte, scrupoloso: nello specifico, la Città Ospedaliera di Avellino, il Reparto ‘Medicina Interna’, diretto dal dott. Simone De Silva.
I fatti: domenica 6 ottobre siamo stati ricoverati, con codice rosso, al Pronto Soccorso dell’Azienda Ospedaliera S. Giuseppe Moscati di Avellino, con gravissima dispnea e stato generale disastroso. Eravamo, in pratica, spacciati, ed i nostri piú stretti familiari furono allertati sulla probabilità (90%) che non avremmo superato la notte. Per miracolo (medico, fatale o celeste, o tutt’e tre le cose assieme), superammo, al contrario, la fase cruciale, e hic et nunc siamo ancora in piedi, con il sollievo dei pochissimi amici e il sincero (neanche tanto segreto o dissimulato) rammarico degli svariati, trucidi nemici (poetesse, critici, teatranti, caporalismo impiegatizio, esecrabili vecchie bambole ex colleghe scolastiche, presidi che predicano bene e razzolano male, ingrate genitrici di nostri ex allievi della ‘prima’ Logopea con G.Vesta). La diagnosi: tromboembolia polmonare massiva; trombosi venosa profonda sottopoplitea bilaterale. Cardiopatia ischemica già rivascolarizzata con bypass Ao-Co. Ipertensione arteriosa. Fibrillazione atriale permanente. Diabete mellito 2. Colecistolitiasi.
Un bel cocktail, non c’è che dire. Dopo un mese di degenza avventurosa, dimissioni e un immediato secondo ricovero a distanza di un’ora, siamo tornati a riappropriarci della nostra casa, della nostra vita. Ma con tante mutazioni, non certo allegre. Dieta alimentare e farmacologica rigorosa, controlli periodici inderogabili, astensione da ogni sforzo e da occasioni di stress nervoso. In pratica, necesse est condurre i nostri giorni sotto una campana di vetro, con penalizzazione nel campo del lavoro (Progetti P.O.N., Teatro), se si esclude l’attività intellettuale tra le pareti domestiche, seduti davanti al computer, telefonino a portata di mano.
Meglio questo che un cappotto di legno dietro la lapide, certo.
Tuttavia il drammatico episodio è servito a farci riflettere sulla caducità del possesso della roba, l’attaccamento passional-patologico per la verghiana roba, sul buonsenso di tesaurizzare i giorni, sulla vanità della condotta quotidiana, sul bisogno di investire gli affetti con adeguata selezione dei destinatari (qualcuno davvero meritevole), sulla bellezza preziosa di un’esistenza data per scontata. Ci è venuto in mente il tardivo amore per la vita del pirandelliano protagonista di “L’Uomo dal fiore in bocca” e l’ultimo nostro libretto edito da Delta 3: “Perfuncta vita”, un testo tendenzialmente profetico sulla sensazione di nostra finitudine prossima, alquanto impressionante.
Il soggiorno nel reparto di medicina interna è stato piacevole, oltre che salvifico: coccolati da infermiere, caposala e dottoresse, ci siamo lentamente, progressivamente rigenerati. Esprimiamo in questo articolo la nostra totale gratitudine al Primario, dott. Simone De Silva (un giovane e battagliero Aristide La Rocca, sagace e gioviale medico-poeta nolano, ex direttore amministrativo del Cardarelli di Napoli, autore di piú di cento frammenti in endecasillabi sciolti), alle dottoresse Maria Amitrano (angiologa, l’elfo d’oro del reparto, dalla voce teatrale e il sorriso rassicurante), Antonella Barbato (compunta e precisa, ma generosa e dotata di sorprendente dolcezza, pronta ad ammonirci: “Non esageri con i riconoscimenti, professore!”), Rosanna Lombardi (avvenentissima trentenne dalle voluttuose chiome), alla caposala Giovanna Ercolino (regale, dal profilo di cammeo, dal collo e dai lobi delle orecchie gioielli naturali di per sé, che anzi verrebbero ‘offesi’ dal piú raffinato vezzo di perle, dai piú pregiati pendenti), autorevole ma garbata, alle infermiere: la materna e saggia Adriana Della Sala; la simpatica e delicata Rita Mariani; la solerte Maria Luisa Di Rita, che (pur essendo assai piú giovane) ci riporta alla preside/poeta Mariastella Eisenberg e in parte all’attrice Lin Shaye (Insidious 2) e che sostiene: “Se due persone tra loro rassomiglianti si fissano negli occhi, la meno anziana è destinata a morire (racconto tradizionale o leggenda metropolitana?); la premurosa cinciallegra Maria Guerriero, rotondetta e deliziosamente mamma; la bella e pratica Rosita De Girolamo, che vediamo avviluppata in un abito da sera di seta rosso-carminio, tacco 12, e un po’ similare, nella figura e nella pettinatura, alla già citata attrice Paz de la Huerta; la sensuale Maria Ciani, ninfa lacustre/silvestre, dagli immensi occhi verdi e sempre un fiore nei capelli corvini, maestra degli elettrocardiogrammi e ballerina di latino-americano; Daniela Arcidiacono, uscita da una pagina sentimentale della Jane Eyre di Charlotte Brontë; la spiritosa (acremiele) d’acciaio cromato e dagli occhi di velluto mediterraneo Antonietta Prisco; Carmela Pagliarulo e Arcangela Vitiello, ‘primedellaclasse’ dalle mani indaffarate e dai sogni chiusi a doppia mandata sotto le palpebre liriche; Carmela D’Avanzo e l’unico maschietto di reparto, Antonio Gaeta, affabile tombeur de femmes, il Romeo/Rossano Brazzi/Claudio Amendola, che per poco non ci pestava perché avevamo con noi un plaid dell’Inter; Angela Del Gaudio, sardonica e frizzante, sempre disponibile, in finto broncio per esser collocata, anche qui, per ultima… E ci si perdoni se ne abbiamo omessa qualcuna. Della deliziosa Marianna dal taglio di capelli sbarazzino non rammentiamo il cognome; resta però impresso il sorriso: ci siamo scambiati un sonoro cinque incrociandoci nel corridoio, durante una delle nostre escursioni a passetto di zombie.
Non dimentichiamo di ringraziare i promettentissimi allievi Giovanna Lo Chiatto, Claudia Cascone, Gionata Certini, Daniele Guarnaccia, Pellegrino Palmiero; l’affabile e scrupolosa signora addetta all’igiene della camera, Severina -Rina- Barchiesi (parente del ramo Barchiesi della nostra famiglia); il pacato e rilassante sacerdote Luigi, che ha raccolto le nostre poco scabrose confessioni; la signora Maria Fabrizio che assisteva privatamente una degente nella camera attigua alla nostra, e i compagni di penitenza, Luigi Guarino (quotidianamente visitato dalla figlia Alba e purtroppo volato in cielo, nonostante le attenzioni, le competenze e le strategie largamente applicate) e soprattutto l’amico irresistibile Antonio Ferrandino, che, generosamente donando, assieme al regista Enzo Marangelo, alla famiglia del nostro ex allievo Giuseppe Normando, ha riscattato la città di Solofra dall’immagine sordida a cui l’avevano condannata Maria Michela Normanno e le aziende conciarie ‘La Divina’ e ‘L’Officina –Chimica in movimento’ di Giovanni D’Onofrio, ricusando, dopo aver promesso, la (misera) sponsorizzazione al nostro concorso letterario “Città di Conza della Campania”. Hanno risparmiato, costoro, sulle future spese medicinali e sul carro nero che non mancherà, al momento stabilito, di far sosta davanti ai rispettivi portoni. 
Durante la degenza abbiamo letto, scritto, dato le direttive della prima edizione 2015 del sunnominato Concorso Letterario “Città di Conza Della Campania”, guidato i giovani performers della sezione attoriale di Logopea, nostra solida associazione, storica (gli anni di Cristo, 33!) benché (e forse è un pregio) in sordina. Soprattutto abbiamo elaborato il seguente morceau poetico dedicato alle suddette professioniste di reparto, e un diploma per i medici, da affiggere, si spera, su una parete di quegli augusti corridoi.



L'Azienda Ospedaliera
Un'altra veduta dell'Azienda Ospedaliera












HOSPITAL ANGELS

Se l’Oscura Signora corruga minacciosa la fronte
e al capezzale dell’infermo s’approssima
salvifiche ali frullando leggere e decise
fanno cerchio, sgranano biancore di cigno
sempiterno esorcismo affinché la speranza riaffiori
ed il cielo si compiaccia di concedere ancora
respiro e sollievo ai penitenti.
Atropo
(1) depone le forbici in grembo
ed il filo di quella vita risparmiata si snoda
rinvigorita erba che di morienza
ha scongiurato la bruciante arsura.
Per corridoi, per stanze, per medicherie, donne e ragazze
dallo spirito intrepido sciamano:
misconosciute ancelle del soccorso, muse di Ippocrate,
l’anonimo drappello di professioniste e allieve
che brandelli di vita allo scoramento strappa
e amare sentenze spesso rovescia.
Giovanna, Antonietta, Adriana, Arcangela, Rita,
Marianna, Claudia, Daniela, Maria Luisa, Carmela,
Maria, Rosita, Angela
e tutte le altre… Le vostre mani recano
la grazia dell’abnegazione e il tocco della Provvidenza.
La bellezza dell’animo vostro risiede nel difficile dare
giorno dopo giorno, notte dopo notte, ora per ora.
Il profilo di tutte si staglia imperituro
ad ogni soffuso levarsi di Eos
(2)
dalle rosee dita.
Che il mondo a voi sorrida.
Vobis gratias ago.


Note: 
(1) La piú anziana delle tre Moire; configura il destino finale della morte d’ogni individuo. 
     A lei era assegnato il compito di recidere, con lucide cesoie, il filo che ne rappresentava la 
     vita, decretandone il momento della morte.

(2) Dea greca dell’aurora.















Sapiens medicus et bonus homini deus.
Beneficiorum memoria mea non labilis.


Il medico sapiente e soccorrevole è come un nume per il paziente.
La mia gratitudine per i benefici ricevuti qui
non sarà né effimera né transitoria.



 Allo staff medico di questo reparto efficiente e funzionale. In particolare ai dottori: Simone De Silva, Maria Amitrano, Antonella Barbato, Rosanna Lombardi; alla caposala Giovanna Ercolino, al corpus infermieristico tutto; ai promettenti allievi Claudia Cascone, Gionata Certini, Daniele Guarnaccia, Giovanna Lo Chiatto, Pellegrino Palmiero.

                                                                                                     Grazie, vi debbo la vita.


                                                                                               ARMANDO  SAVERIANO 



Armando Saveriano
nell'atrio dell'Ade
Armando Saveriano circondato 
dalle storiche attrici di Logopea.
 Da sinistra: Fiorella Zullo, 
Chiara Mazza e Mena Matarazzo.














Dalle ceneri la fenice


Locandina del film
''Nurse 3D''
Paz de la Huerta infermiera sanguinaria,
protagonista del film ''Nurse 3D''














2 commenti:

  1. Gentile Prof
    commento a caldo le righe appena lette, riservandomi piu tempo per una riflessione che esse meritano , certa di una risposta collettiva ed ufficiale da parte del nostro direttore dr De Silva
    Le sue parole sono state una folata di vento su un mucchio di foglie autunnali e come queste si agitanoin un vorticoso turbinio cosi' si sono smosse le mie emozioni passando da sapide citazioni letterarie a gustosa ironia, da vivide pennellate materiche e lievi sfondi acquarellati......cosi', quasi per magia, quelle foglie che credevano essere morte si sono accorte del loro colore caldo e di poter ancora sollevarsi leggere
    grazie
    Antonella Barbato

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  2. Per la resurrezione di A.S.

    Con zelo e senza fretta, Morte faceva un lavoro come tanti
    minuzioso, ma poi nemmeno dei più importanti:
    teneva sotto controllo del "per sempre" l’ambiguo concetto
    che per donne e uomini è sempre stato non innocuo vizietto.

    Sicché Morte s’imbatté un giorno in un accidente
    mentre pensava si trattasse soltanto d’un nuovo cliente:
    il canuto Poeta in un letto d'ospedale giaceva prostrato,
    in guisa di un'immobilità tale cui non era abituato.

    Morte pensò si trattasse solo d'un affare di pura formalità
    ma ben presto dovev'Essa scoprire tutt'altre amenità,
    ché il Poeta di morire così presto non aveva alcuna ansietà.

    E indovinato inoltre del morituro il carattere veramente animoso
    bene pensò di lasciarlo ancora ad un vivere meraviglioso
    per differire, anche per sua comodità, il momento doloroso.

    Con i migliori auguri, Mimmo De Falco

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