QUANDO
LA SANITÀ È EFFICIENTE
C’è tempo per morire,
recita un adagio. E se è vero che –dantescamente– “viver è un correre a la morte” (Purgatorio, 33,54), se diffuso è il
proverbiale “Tristia iura necis nulla
medela fugat” (“Nessuna medicina mette in fuga le tristi leggi della
morte”), è altrettanto reale e possibile che la Buona Sanità intervenga a
respingere gli ossei artigli dell’Oscura
Signora, offrendo un’occasione in piú al morituro. Un rinvío, siamo d’accordo, giacché echeggia nella consapevolezza di
tutti il detto di Seneca: “Nihil nisi
mors certum est” (Ep.99,9); ma –ripetiamo– c’è sempre tempo per pagare e
per morire.
Nei suoi “Commentaries on
the Laws of England” (1768), il giurista inglese Sir William Blackstone parlava
per la prima volta di “mala praxis”, “malpractice”, “negligenza”, riferendosi
all’attività medica superficiale, inadempiente, ‘zoppa’. Rosenthal nel 1995
definiva la “Malasanità”: “una evidente e dimostrata mancanza di conoscenza e/o
abilità nella conduzione della pratica clinica”, che produce al paziente danno
immediato o differito nel tempo. In Italia è stata istituita una commissione
d’inchiesta che deve valutare gli errori in Sanità.
Ad apertura di
telegiornale non manca mai la cronaca di un episodio increscioso legato alla
Malasanità, che non risparmia alcuna struttura e nessun camice bianco, dal Nord
al Centro, al Sud dello Stivale. Stupisce e indigna che siano rari i casi in
cui si cita, invece, la Buona Sanità, con i suoi effetti positivi, spesso
salvifici o ‘miracolosi’. Fa certo piú notizia, desta piú scalpore (e miete piú
audience) la bomba carta dell’inefficienza medico-infermieristica, giacché
titilla la morbosità macabra della gente, sulla quale la disgrazia (altrui)
stimola le endorfine, pratica la fellatio e il cunnilinguo al sadismo e
all’attrait del Male coltivato nell’inconscio, singolo e collettivo. Ricordiamo
che le endorfine, in una definizione molto lasca e popolare, sono delle
sostanze chimiche prodotte dal cervello, le quali procurano un senso di piacere
al pari degli oppiacei, senza gli stessi effetti collaterali pericolosi e
negativi, eccetto che per l’etica e la morale (concetti valoriali di cui
l’umanità al 99,99% se ne impipa).
La cronaca nera è
dettagliata nel raccogliere e citare casi legati ad una inedita versione di
serial killer: l’infermiera assassina (prevalentemente di neonati o di
vecchietti); ad esempio l’italiana Sonya Caleffi (Ospedale Manzoni di Lecco),
condannata a 20 anni di carcere per l’omicidio di 5 pazienti, o le allegre
comari dell’ospedale Lainz di Vienna (siamo nel 1983), gruppetto di angeli
letali dal ‘vizietto omicida’ (Maria Gruber, Irene Leidolf, Stephanija Meyer),
capitanato da certa Waltraud Wagner (una cinquantina e passa di delitti in
corsia, robetta da poco). Il cinema di genere non poteva non appropriarsi del
morboso, viscido tema con il thriller-horror “Nurse 3D” (USA, 2013/14, regia di
Douglas Aarniokoski), protagonista la sexyssima Paz de la Huerta, nel ruolo di
Abby (Abigail) Russell, impeccabile infermiera di giorno, implacabile angelo
della morte di notte; e ricordiamo anche il delirante splatter “Maniac Nurses
Find Ecstasy” (1990, Usa/Belgio, regia di Léon Paul De Bruyn).
Ma qui parliamo,
vivaddio, di Buona Sanità, di ottima struttura ospedaliera, di uno staff
medico-infermieristico di alto livello, solerte, scrupoloso: nello specifico,
la Città Ospedaliera di Avellino, il Reparto ‘Medicina Interna’, diretto dal
dott. Simone De Silva.
I fatti: domenica 6
ottobre siamo stati ricoverati, con codice rosso, al Pronto Soccorso
dell’Azienda Ospedaliera S. Giuseppe Moscati di Avellino, con gravissima dispnea
e stato generale disastroso. Eravamo, in pratica, spacciati, ed i nostri piú
stretti familiari furono allertati sulla probabilità (90%) che non avremmo
superato la notte. Per miracolo (medico, fatale o celeste, o tutt’e tre le cose
assieme), superammo, al contrario, la fase cruciale, e hic et nunc siamo ancora
in piedi, con il sollievo dei pochissimi amici e il sincero (neanche tanto
segreto o dissimulato) rammarico degli svariati, trucidi nemici (poetesse,
critici, teatranti, caporalismo impiegatizio, esecrabili vecchie bambole ex
colleghe scolastiche, presidi che predicano bene e razzolano male, ingrate
genitrici di nostri ex allievi della ‘prima’ Logopea con G.Vesta). La diagnosi:
tromboembolia polmonare massiva; trombosi venosa profonda sottopoplitea
bilaterale. Cardiopatia ischemica già rivascolarizzata con bypass Ao-Co. Ipertensione
arteriosa. Fibrillazione atriale permanente. Diabete mellito 2.
Colecistolitiasi.
Un bel cocktail, non c’è
che dire. Dopo un mese di degenza avventurosa, dimissioni e un immediato
secondo ricovero a distanza di un’ora, siamo tornati a riappropriarci della
nostra casa, della nostra vita. Ma con tante mutazioni, non certo allegre.
Dieta alimentare e farmacologica rigorosa, controlli periodici inderogabili,
astensione da ogni sforzo e da occasioni di stress nervoso. In pratica, necesse
est condurre i nostri giorni sotto una campana di vetro, con penalizzazione nel
campo del lavoro (Progetti P.O.N., Teatro), se si esclude l’attività
intellettuale tra le pareti domestiche, seduti davanti al computer, telefonino
a portata di mano.
Meglio questo che un
cappotto di legno dietro la lapide, certo.
Tuttavia il drammatico
episodio è servito a farci riflettere sulla caducità del possesso della roba, l’attaccamento
passional-patologico per la verghiana roba,
sul buonsenso di tesaurizzare i giorni, sulla vanità della condotta quotidiana,
sul bisogno di investire gli affetti con adeguata selezione dei destinatari (qualcuno
davvero meritevole), sulla bellezza preziosa di un’esistenza data per scontata.
Ci è venuto in mente il tardivo amore per la vita del pirandelliano
protagonista di “L’Uomo dal fiore in bocca” e l’ultimo nostro libretto edito da
Delta 3: “Perfuncta vita”, un testo tendenzialmente profetico sulla sensazione
di nostra finitudine prossima, alquanto impressionante.
Il soggiorno nel reparto
di medicina interna è stato piacevole, oltre che salvifico: coccolati da
infermiere, caposala e dottoresse, ci siamo lentamente, progressivamente
rigenerati. Esprimiamo in questo articolo la nostra totale gratitudine al Primario,
dott. Simone De Silva (un giovane e battagliero Aristide La Rocca, sagace e
gioviale medico-poeta nolano, ex direttore amministrativo del Cardarelli di
Napoli, autore di piú di cento frammenti in endecasillabi sciolti), alle
dottoresse Maria Amitrano (angiologa, l’elfo d’oro del reparto, dalla voce
teatrale e il sorriso rassicurante), Antonella Barbato (compunta e precisa, ma
generosa e dotata di sorprendente dolcezza, pronta ad ammonirci: “Non esageri
con i riconoscimenti, professore!”), Rosanna Lombardi (avvenentissima trentenne
dalle voluttuose chiome), alla caposala Giovanna Ercolino (regale, dal profilo
di cammeo, dal collo e dai lobi delle orecchie gioielli naturali di per sé, che
anzi verrebbero ‘offesi’ dal piú raffinato vezzo di perle, dai piú pregiati
pendenti), autorevole ma garbata, alle infermiere: la materna e saggia Adriana
Della Sala; la simpatica e delicata Rita Mariani; la solerte Maria Luisa Di
Rita, che (pur essendo assai piú giovane) ci riporta alla preside/poeta
Mariastella Eisenberg e in parte all’attrice Lin Shaye (Insidious 2) e che
sostiene: “Se due persone tra loro rassomiglianti si fissano negli occhi, la
meno anziana è destinata a morire (racconto tradizionale o leggenda
metropolitana?); la premurosa cinciallegra Maria Guerriero, rotondetta e
deliziosamente mamma; la bella e pratica Rosita De Girolamo, che vediamo
avviluppata in un abito da sera di seta rosso-carminio, tacco 12, e un po’
similare, nella figura e nella pettinatura, alla già citata attrice Paz de la
Huerta; la sensuale Maria Ciani, ninfa lacustre/silvestre, dagli immensi occhi
verdi e sempre un fiore nei capelli corvini, maestra degli elettrocardiogrammi
e ballerina di latino-americano; Daniela Arcidiacono, uscita da una pagina
sentimentale della Jane Eyre di Charlotte Brontë; la spiritosa (acremiele)
d’acciaio cromato e dagli occhi di velluto mediterraneo Antonietta Prisco;
Carmela Pagliarulo e Arcangela Vitiello, ‘primedellaclasse’ dalle mani
indaffarate e dai sogni chiusi a doppia mandata sotto le palpebre liriche;
Carmela D’Avanzo e l’unico maschietto di reparto, Antonio Gaeta, affabile
tombeur de femmes, il Romeo/Rossano Brazzi/Claudio Amendola, che per poco non
ci pestava perché avevamo con noi un plaid dell’Inter; Angela Del Gaudio,
sardonica e frizzante, sempre disponibile, in finto broncio per esser
collocata, anche qui, per ultima… E ci si perdoni se ne abbiamo omessa
qualcuna. Della deliziosa Marianna dal taglio di capelli sbarazzino non
rammentiamo il cognome; resta però impresso il sorriso: ci siamo scambiati un
sonoro cinque incrociandoci nel
corridoio, durante una delle nostre escursioni a passetto di zombie.
Non dimentichiamo di
ringraziare i promettentissimi allievi Giovanna Lo Chiatto, Claudia Cascone,
Gionata Certini, Daniele Guarnaccia, Pellegrino Palmiero; l’affabile e
scrupolosa signora addetta all’igiene della camera, Severina -Rina- Barchiesi
(parente del ramo Barchiesi della nostra famiglia); il pacato e rilassante
sacerdote Luigi, che ha raccolto le nostre poco scabrose confessioni; la
signora Maria Fabrizio che assisteva privatamente una degente nella camera
attigua alla nostra, e i compagni di penitenza, Luigi Guarino (quotidianamente
visitato dalla figlia Alba e purtroppo volato in cielo, nonostante le
attenzioni, le competenze e le strategie largamente applicate) e soprattutto
l’amico irresistibile Antonio Ferrandino, che, generosamente donando, assieme
al regista Enzo Marangelo, alla famiglia del nostro ex allievo Giuseppe
Normando, ha riscattato la città di Solofra dall’immagine sordida a cui
l’avevano condannata Maria Michela Normanno e le aziende conciarie ‘La Divina’
e ‘L’Officina –Chimica in movimento’ di Giovanni D’Onofrio, ricusando, dopo
aver promesso, la (misera) sponsorizzazione al nostro concorso letterario
“Città di Conza della Campania”. Hanno risparmiato, costoro, sulle future spese
medicinali e sul carro nero che non mancherà, al momento stabilito, di far
sosta davanti ai rispettivi portoni.
Durante la degenza
abbiamo letto, scritto, dato le direttive della prima edizione 2015 del
sunnominato Concorso Letterario “Città di Conza Della Campania”, guidato i
giovani performers della sezione attoriale di Logopea, nostra solida
associazione, storica (gli anni di Cristo, 33!) benché (e forse è un pregio) in
sordina. Soprattutto abbiamo elaborato il seguente morceau poetico dedicato
alle suddette professioniste di reparto, e un diploma per i medici, da affiggere,
si spera, su una parete di quegli augusti corridoi.
L'Azienda Ospedaliera |
Un'altra veduta dell'Azienda Ospedaliera |
HOSPITAL
ANGELS
Se
l’Oscura Signora corruga minacciosa
la fronte
e al capezzale dell’infermo s’approssima
salvifiche ali frullando leggere e decise
fanno cerchio, sgranano biancore di cigno
sempiterno esorcismo affinché la speranza riaffiori
ed il cielo si compiaccia di concedere ancora
respiro e sollievo ai penitenti.
Atropo (1) depone le forbici in grembo
ed il filo di quella vita risparmiata si snoda
rinvigorita erba che di morienza
ha scongiurato la bruciante arsura.
Per corridoi, per stanze, per medicherie, donne e ragazze
dallo spirito intrepido sciamano:
misconosciute ancelle del soccorso, muse di Ippocrate,
l’anonimo drappello di professioniste e allieve
che brandelli di vita allo scoramento strappa
e amare sentenze spesso rovescia.
Giovanna, Antonietta, Adriana, Arcangela, Rita,
Marianna, Claudia, Daniela, Maria Luisa, Carmela,
Maria, Rosita, Angela
e tutte le altre… Le vostre mani recano
la grazia dell’abnegazione e il tocco della Provvidenza.
La bellezza dell’animo vostro risiede nel difficile dare
giorno dopo giorno, notte dopo notte, ora per ora.
Il profilo di tutte si staglia imperituro
ad ogni soffuso levarsi di Eos (2)
dalle rosee dita.
Che il mondo a voi sorrida.
Vobis gratias ago.
e al capezzale dell’infermo s’approssima
salvifiche ali frullando leggere e decise
fanno cerchio, sgranano biancore di cigno
sempiterno esorcismo affinché la speranza riaffiori
ed il cielo si compiaccia di concedere ancora
respiro e sollievo ai penitenti.
Atropo (1) depone le forbici in grembo
ed il filo di quella vita risparmiata si snoda
rinvigorita erba che di morienza
ha scongiurato la bruciante arsura.
Per corridoi, per stanze, per medicherie, donne e ragazze
dallo spirito intrepido sciamano:
misconosciute ancelle del soccorso, muse di Ippocrate,
l’anonimo drappello di professioniste e allieve
che brandelli di vita allo scoramento strappa
e amare sentenze spesso rovescia.
Giovanna, Antonietta, Adriana, Arcangela, Rita,
Marianna, Claudia, Daniela, Maria Luisa, Carmela,
Maria, Rosita, Angela
e tutte le altre… Le vostre mani recano
la grazia dell’abnegazione e il tocco della Provvidenza.
La bellezza dell’animo vostro risiede nel difficile dare
giorno dopo giorno, notte dopo notte, ora per ora.
Il profilo di tutte si staglia imperituro
ad ogni soffuso levarsi di Eos (2)
dalle rosee dita.
Che il mondo a voi sorrida.
Vobis gratias ago.
Note:
(1)
La piú anziana delle tre Moire; configura il destino finale della morte d’ogni
individuo.
A lei era assegnato il compito di recidere, con lucide cesoie, il filo che ne
rappresentava la
vita, decretandone il momento della morte.
(2) Dea greca dell’aurora.
Sapiens
medicus et bonus homini deus.
Beneficiorum memoria mea non labilis.
Beneficiorum memoria mea non labilis.
Il
medico sapiente e soccorrevole è come un nume per il paziente.
La mia gratitudine per i benefici ricevuti qui
non sarà né effimera né transitoria.
La mia gratitudine per i benefici ricevuti qui
non sarà né effimera né transitoria.
Allo staff medico di questo reparto efficiente
e funzionale. In particolare ai dottori: Simone De Silva, Maria Amitrano,
Antonella Barbato, Rosanna Lombardi; alla caposala Giovanna Ercolino, al corpus
infermieristico tutto; ai promettenti allievi Claudia Cascone, Gionata Certini,
Daniele Guarnaccia, Giovanna Lo Chiatto, Pellegrino Palmiero.
Grazie, vi debbo la vita.
Armando Saveriano nell'atrio dell'Ade |
Armando Saveriano circondato
dalle storiche attrici di
Logopea.
Da sinistra: Fiorella Zullo,
Chiara Mazza e Mena Matarazzo.
|
Dalle ceneri la fenice |
Locandina del film ''Nurse 3D'' |
Paz de la Huerta infermiera sanguinaria, protagonista del film ''Nurse 3D'' |
Gentile Prof
RispondiEliminacommento a caldo le righe appena lette, riservandomi piu tempo per una riflessione che esse meritano , certa di una risposta collettiva ed ufficiale da parte del nostro direttore dr De Silva
Le sue parole sono state una folata di vento su un mucchio di foglie autunnali e come queste si agitanoin un vorticoso turbinio cosi' si sono smosse le mie emozioni passando da sapide citazioni letterarie a gustosa ironia, da vivide pennellate materiche e lievi sfondi acquarellati......cosi', quasi per magia, quelle foglie che credevano essere morte si sono accorte del loro colore caldo e di poter ancora sollevarsi leggere
grazie
Antonella Barbato
Per la resurrezione di A.S.
RispondiEliminaCon zelo e senza fretta, Morte faceva un lavoro come tanti
minuzioso, ma poi nemmeno dei più importanti:
teneva sotto controllo del "per sempre" l’ambiguo concetto
che per donne e uomini è sempre stato non innocuo vizietto.
Sicché Morte s’imbatté un giorno in un accidente
mentre pensava si trattasse soltanto d’un nuovo cliente:
il canuto Poeta in un letto d'ospedale giaceva prostrato,
in guisa di un'immobilità tale cui non era abituato.
Morte pensò si trattasse solo d'un affare di pura formalità
ma ben presto dovev'Essa scoprire tutt'altre amenità,
ché il Poeta di morire così presto non aveva alcuna ansietà.
E indovinato inoltre del morituro il carattere veramente animoso
bene pensò di lasciarlo ancora ad un vivere meraviglioso
per differire, anche per sua comodità, il momento doloroso.
Con i migliori auguri, Mimmo De Falco