sabato 20 giugno 2015

QUANDO UN’INTENSA VITA ANNUNCIA IL SUO CONGEDO



Tra pessimismo e ironico autocompatimento






Ho dovuto consultare il mio vecchio vocabolario di latino per riscoprire il significato, dimenticato, di “perfungor, perfungeris, perfunctus sum, perfungi”.  Perfuncta: compiuta interamente, adempiuta, ma anche sostenuta, “sopportata”, sperimentata e, perché no?, goduta. Armando Saveriano ci offre una plaquette, di dodici pagine, soltanto sei poesie, la più recente in ordine di tempo, con un titolo complesso ed erudito, come è il suo solito. L’immagine di copertina, di Dino Valls, mostra il volto di una graziosa fanciulla dallo sguardo penetrante e incisivo, rafforzato dal dito indice della mano, rivolto al lettore. Un altro volto, lo stesso, alle spalle, fissa con lo stesso sguardo, e sembra allontanarsi, all’indietro, con le mani aperte. Un’immagine surreale, come le poesie della plaquette.  “Sei tarli nel giustacuore” dice il sottotitolo e ci anticipa che l’accezione sperata, di vita goduta, non è. Un titolo dal forte pessimismo, dunque, e di solitudine. Nessun segno di punteggiatura a intercalare le righe delle poesie: uno sfogo tutto d’un fiato: “Non c’è più rosso- Ogni notte cambia il suo dolore- Troppo provato per soffrire ancora- Ho cessato di porre domande al cielo- Sospingimi eterea sospingimi- Una scudisciata nel cielo dibattuto ammutolì”. Sono i versi con i quali iniziano, in ordine, i sei componimenti poetici. Neanche un filo di luce trapela, se non quello, fioco, della prima lirica dal titolo “Sfinita la notte ed insaziata”: “… fanciulle nelle Apuane/ognuna scalza con un rocchetto di lana/ e un chiaro ciotolino d’olio alla luna/ s’avventa la memoria sugli usci delle case/ poi alle tegole s’alza sbigottita/ e filtra nei pori delle vecchie addormentate.” Ma “è sfinita la notte ed insaziata/ per pochi occhi soli/ e per spaziose mani/ frugifera e mendace”. Ritorna l’immagine di copertina. La vita si allontana e non indica più, le mani sono aperte. E si è soli. Ma perché tanto pessimismo nel poeta?  “Il mondo è solo una lapide che attende iscrizioni” dirà nell’ultima poesia della raccolta. Anche le liriche “Nel nulla” e “Nato da Macchina e Sfinge” sono sfogo ad altri momenti di sconforto. Toccante il ricordo di Elizabeth Eleanor Siddal, la poetessa dalla triste avventura di vita, di cui Saveriano ripercorre in “Cerimonia per Elizabeth” il sacrario in cui riflette se stesso: “Non sono che una creatura straziata” scrivevi/Né la mia sorte potrà mutare”. Questo pessimismo, tuttavia, chiama il poeta a nuova luce, la luce della poesia, la luce salvifica, di cui egli sempre si nutre e ammaestra. Gli occhi della vita, quella rappresentata in copertina, sembrano dire: “Che cos’è la vita se non il proprio sé che s’imponga comunque sulle sorti?” E l’indice, rivolto al lettore, che cosa indica se non che la vita va guidata, non subita? Vi è una luce, anche se flebile fiammella, che non bisogna mai far sfuggire, una luce da afferrare, da rendere torcia per i propri passi. Diceva lo stesso autore in “Se poesia è verità”, una lirica che non appartiene a questa plaquette: “Avremmo se potessimo ascoltare molte cose su cui meditare”. È il caso di meditare, sì, ma con leggerezza, perché non a noi è dato di sapere quando, né quanto, la vita sia “perfuncta”, nel senso di adempiuta, come recita il mio vecchio, caro vocabolario di latino, il Bianchi, del 1961. Chi può dirlo, Armando? A noi pare sia più giusto credere che la vita debba essere sostenuta, supportata, sperimentata, nell’altra più convincente accezione del termine.

                                                                                               AGOSTINA SPAGNUOLO



ARMANDO SAVERIANO - PERFUNCTA VITA - DELTA 3 (Grottaminarda) 2015 PP. 12 - EURO 5,00



NOCTESCIT

Ogni notte cambia il suo dolore
e il mio pensare aggruma
c’è sempre un’ora che quando scocca
dimentica aperta la sua porta
io cerco affinità nelle orme
che le foglie non coprono
le bestemmie non colmano
Continuo a stare in grembo a Venere
queste parole sbocciano girovaghe
colpite all’ala
Togli le tue dita se vuoi legarmi a morte
scrosci di me spaventano
chi tiene il sangue acquoso
sosta nel desiderio anche chi non ha nome
s’ibernano le ombre molte e disciplinate
le chiamo a mio capriccio
e vestono i miei occhi
sfiora se vuoi le braccia
io taccio sulla sorte

ARMANDO SAVERIANO




Agostina Spagnuolo
Armando Saveriano





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