giovedì 2 aprile 2015

IL NODO SPEZZATO


QUANDO UN PADRE SOPRAVVIVE AL FIGLIO





Con uno stile e una configurazione strutturale narrativa più matura e consapevole, Vittorio Graziosi si ripropone al pubblico con un racconto lungo, “Sangue di Rosa Scarlatta”, che si muove tra scavo interiore in ogni nicchia dell’io abraso e mutilato e studio d’una vita sullo sfondo sociale traumatizzato dalle deflagrazioni anomiche del terrorismo con la sua atroce strategia del terrore. Graziosi resta qui più che mai un prosatore poetico, che carezza e esalta le virtù radianti della parola, curata come un gatto di razza, e nutrita d’appassionata attenzione al tono, al suono, alla caratura. Questo impreziosisce e rende fluidissime le pagine, senza mai tradire il ritmo di scorrimento, che appartiene alla novella e non alla cadenza tradizionale del romanzo. La materia è disturbante, il nucleo della trama s’attorce attorno agli effetti d’una violenza subìta e per ritorsione programmata; l’andamento è quello frammentato dell’annotazione diaristica con la morbidezza estetica di metafore eleganti, che conquistano e contrastano la tragedia, rendendone più digeribile l’avvenienza; bilanciano la spietatezza della sfiliazione e la crudezza della vendetta acquattata nell’inconscio e reificata quasi per abreazione indotta dal personaggio “distante” della moglie del protagonista. Graziosi rende con plausibilità lo shock permanente che investe come una bomba neuronale, psicogena, il padre “sfigliato” sia brutalmente sia fatalmente: l’orrore della morte è addirittura superato dal ruolo beffardo del destino, che ha stabilito diaboliche casualità e che ha appiccato la miccia per le ricadute catastrofiche sulle vite di almeno tre altre persone, sradicate dal ruolo di genitore e di fidanzata. Le immagini descrittive si muovono con coerenza sul filo di linearità e simultaneità, potenziando, con la parola e nella parola, la coesistenza degli opposti: visione-visionarietà, reale-fantasticato, desiderio-sogno. Il padre resta e si muove in solitudine, nonostante la tentazione d’inluiarsi in Paolo, possedendone, desiderato e posseduto, la compagna Francesca. La stessa ex moglie è una “revenante”, benché giochi un ruolo di catalizzatrice di eventi, di macchina motrice, di coscienza esterna che s’incarna in una erinni giustiziera illegittima (secondo il codice penale). Restano, la moglie Lucia e la mancata nuora, amante episodica e per inevitabilità, Francesca, sullo sfondo, lungo una parete un po’ sfocata. In primo piano, solitario, in bilico tra sanità e psicopatia montante, l’uomo adulto, il padre “sfigliato”, che usa le pagine del diario come tele cartacee su cui far danzare pennelli espressivi, quasi un’estetica della mania, una grazia della follia, un impari risarcimento allo strazio della perdita, brutale e prostrante. È pezzente, smarrito, dilacerato in una non luoghità che non riesce più né a comprendere né a reggere, se non con un atteggiamento spiritato, posto sulla riva d’un altro mare, dalla parte del cannocchiale rovesciato. E diverrebbe monade incancrenita, nolontà, nescienza, se non fosse per la presenza reale e/o fantasmatizzata di Francesca, che più che circuirlo plasma la sua carne e modella la sua mente predisposta fino al tentativo di trasformarlo in Paolo, fino a indurlo a calarsi nell’animus e nell’anima del giovane morto, senza che Graziosi renda macabro o morboso il processo induttivo. Magistrale, per delicatezza ed esplicitazione non volgare, la sequenza erotica nella scena del bagno, tra l’uomo adulto e la donna giovane trasfigurati nei ruoli; tra il padre e la fidanzata golpizzati dalla sorte, detronizzati della paternità e dell’uxorietà, rinati attraverso l’evocazione reificata del terzo elemento collegante, Paolo. Esisterà, persisterà sempre un velo tra realtà e reinterpretazione della realtà, per gli occhi del protagonista, e quindi per il lettore, favorito dall’abilità empatica di Graziosi nell’immedesimazione. Un ennesimo “coup de plot” Graziosi lo riserva verso la fine, quando tutto, a Londra, si ribalta, e i piani si capovolgono, i destini reclamano una loro inconcepibile gemmazione. La quadratura del cerchio si attua con una sorprendente, spiazzante semplicità. E il diario si spinge in un futuro che tutti potrebbero ritenere fiabesco, improbabile, se la magistrale penna (e i talenti empatici) di Graziosi non riuscissero, con naturalezza, a farcelo accettare.
Splendida la tavola di copertina di Eugenio Derevyanko. Quanto alla prefazione, andiamoci cauti: Antonella Montecchiari non entra nel merito e nelle competenze della letterarietà; si limita a informare sui (lodevolissimi) propositi umanitari e altruistici dello scrittore, il quale, nel sostenere il progetto “Solidarietà contro il Terrorismo”, devolve l’intero ricavato della vendita del volumetto all’Associazione onlus Nabat, “che opera a Kiev a sostegno di bambini in situazione di grave disagio”. 
Infine, il gradevole, delicatissimo racconto “La storia di Sasha” (un’odissea del cuore) fa da insolita postfazione (e giammai da ruota di scorta) al testo portante che dà titolo al libretto; è più di un cameo, è anzi un dono del ricordo, una commemorazione ad perpetuum, una stilla di commozione che ci rimanda ai migliori racconti e allo stile dell’indimenticabile Ray Bradbury o alla potenza penetrativa di Taylor Caldwell.

                                                                                        ARMANDO SAVERIANO



SANGUE DI ROSA SCARLATTA–V. GRAZIOSI–SCRIPTORAMA ED. PRIVATA–2014–FERMO–PP 100–EURO 12.00




Il volume verrà presentato al Circolo della Stampa, sabato 4 aprile p.v. alle ore 17.00, a cura dell’Associazione Culturale “Logopea” e del Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud. Relazioneranno: Paolo Saggese e Alessandro Di Napoli, critici letterari; Stefania Marotti, giornalista de “Il Mattino”; Armando Saveriano, patron di Logopea, direttore artistico della manifestazione con Davide Cuorvo, modererà il dibattito e interpreterà brani scelti. Accompagnamento musicale di Hera Guglielmo.




Vittorio Graziosi
Vittorio Graziosi











Vittorio Graziosi


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