giovedì 19 marzo 2015

RITA PACILIO: SUSSULTI DELL’IO E DELLA GESTALT


Metateatro: oltre il segno, oltre il logos






In una tenebra metafisica squarciata da lampi eidetici di un mestruo simbolico che è accesso alla vita e preambolo per la finitudine, e che nella dualità ambigua delle possibilità, è stigma tormentoso per l’umanità sconfitta dai suoi stessi desideri, dalle sue dissennate aspirazioni, i corpi si manifestano nella nominazione ancestrale della poiesis, si torcono fra le fiamme della coscienza trasfigurata, si accostano per l’impossibile fusione, aderiscono per respingersi nell’urlo sussurrato dell’autrice/attrice, che s’annuncia demiurgo capovolto, impotente, declassato a osservatore narrante –ipnotico– tra sbigottimento, dolore, vergogna, tutt’al più autoconferendosi una tonalità oracolare.
Rita Pacilio è una figura di cera che si sfoglia a strati, a mano a mano che evoca immagini e spettri tachionici; è il sacerdote dell’arte che si raccapriccia di fronte all’entità grottesca di un Male che s’è agghindato del Bene fallito e che a sua volta deflagra, implode, buco nero per qualsivoglia valutazione morale. È la poetessa e la poesia che si incontrano, si trovano, si perdono, si chiamano, abitano geografie concentriche nei viluppi della mente. L’orecchiocchio dello spettatore è blandito e percosso, carezzato e lacerato dalle percussioni, ora erotiche e suadenti, ora irate come rumbe di spade che cozzano, tagliano, amputano.
Uomini e donne che neanche più sanno di poter cercare, di dover cercare un’identità: maschere svuotate di ogni pirandellismo nascondono volti spaccati dallo scalpello degli egoismi e dell’inadeguatezza a scegliere.
Anime tabefatte, sistemi di valori in cortocircuito, metropoli fagocitatrici, mercimonio di taidi, cartelli mafiosi, violenze sessiste pesantemente discriminanti e intimidatorie sono le tessere di un mosaico che eleva nuove, sediziose Babeli. Furori razzisti, pregiudizi antiomosessuali e passioni cannibali si riversano in un altrove stupefatto, tracimano da un Ade in polifonìa sofferente, aberrazioni di un privato simbolico, che manifesta il pathos in tutte le sue esulceranti alterazioni.
Immersa nel magma delle brutture, infissa nella piramide di pattume compatto alla deriva di sé, la telecamera a infrarossi della Pacilio, persistente, vigile, implacabile, ai limiti del perverso e dell’isterico, si espande, estroflette gangli e pseudopodi e registra senza risparmio; entità corale, reminiscente e veggente nel contempo, senza soluzione di continuità: è EvAdamo nell’Eden luciferino sul pianeta devastato, è la Gestalt di carne, umori, percezioni, deliri, sensi esasperati e voluttà soffocate dagli artigli di una malintesa estasi dei sessi ebbri, dei cervelli collassanti. Dio è Io [(D)Io] che alla sua immagine porge costantemente il frutto proibito per sancirne la coesistente natura diabolica che si reifica, si condensa e si contempera (perversamente) nel ‘NOI’.
L’idea stilistica funziona, ha una sua energia escapistico/rivoluzionaria, persino contiene un germe di progressione liberatoria, benché difficilmente catartica: “Quel grido raggrumato” è la sintesi della ricerca/denuncia schizofrenica e aurorale di Rita Pacilio, affiancata dalla coreografa Carmen Pepe e dal regista Armando Saveriano (benché bizzarramente a nessuno dei due ultimi spetti l’ufficialità della direzione artistica, rivendicata invece da intuizioni aneddotiche, cursori estetici, da lampi pulsionali che fanno tanto coup de théȃtre). I tre leggii decorati da fiocchi alla Hello Kitty stridono accanto allo sgabello occupato da una bimba/pupazza e alla desolante simbologia di due scarpe di vernice rossa dal tacco aggressivo. Meglio piuttosto usare del filo spinato, simbolo dell’artiglio della rosa alchemica del Primo Motore Negromantico, o Neuromantico, se si preferisce. Accostandovi, magari, una sequenza di musica e danza escerpita da “Lo spettro della rosa” dedicata a Waslaw Nijinsky (se non piuttosto ‘L’après midi d’un faune’), tanto nel celebrare quanto nell’onorare, dal verso di Orazio “omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci lectorem delectando pariterque monendo” (Ars poetica), il compito di ‘dilettare’ e di ‘ammonire’ (principio ripreso dal Tasso) che è della Poesia, qui prestata al Teatro. Operazione logicamente non nuova, se si pensa a Testori (‘Conversazione con la morte’, ‘Interrogatorio a Maria’), ad Aristide La Rocca (I ‘Frammenti’, la trilogia storica da ‘Scene Augustee’ a ‘Teodora’ e a ‘Zenobia’), tuttavia sempre funzionale.
Grande valenza ontologica del linguaggio nei quadri delle danzatrici, tra le quali spicca, divina, l’inarrivabile Sonja Lato (ci piace introdurre la ‘j’ nel nome di battesimo), capace di variazioni virtuosistiche da primadonna, con il sorriso trascolorante della menzogna, coincidente in teatro con la volontà delirante che si consegna alla lucida follia. Piacerebbe, la Lato, al decadentismo sia di Schnitzler sia di Hofmannsthal, ma anche al grande Peter Sellars, o alle sintesi spaziali-figurative di un Cesare e di un Daniele Lievi in un danzarte sonnambolico ispirato magari alla Caterina di Heilbronn di Heinrich von Kleist. La accoglierebbero la nostra Adriana Borriello, la compagnia Sosta Palmizi e la mitica Raffaella Giordano, che ha potuto vantare esperienze artistiche con mostri sacri del calibro di Pina Bausch e Carolyn Carlson. I fantasmi degli attori vittime/aguzzini, prede/cacciatori s’imprimono come dissacratorie sindoni profane, anche quando si concedono un attimo di autoirrisione nella breve performance pantomimica di Davide Cuorvo o un abrasivo frammento di dramma della ‘antimaternità franzoniana’ (che ha subito orrore di sé, purtuttavia non cancella e non recupera) nella sequenza in cui Hera Guglielmo (genitrice/bambola/meretrice) scaglia lontano dal seno la figlia/pupa, potente feticcio di quanto è ingenuo/inerme.
La quotidianità aberrante è il prodotto, per Pacilio, di una società chiaroscurale priva di mète, oppressa dal medesimo cinismo che trasmette al prossimo, pronto a ridestare forze irrazionali, mentre angosce e veleni interiori si rimescolano in calderoni miasmatici. Il senso di “situazione” si accresce via via di segni e simboli kantoriani, grazie alle capacità attoriali dei ‘manichini’ dalle neutre espressioni plastificate: e quando le maschere vengono sollevate, irrompe lo sconcerto di una disidentità spezzettata. Lo spettatore conserva fino all’uscita lo sconcerto, ripercorre ciò che ha visto, si rovista nelle tasche mentali alla ricerca di chiavi che gli consentano di elaborare i guasti e i torbidi tormenti della vita reale. Sicché, grazie alle intuizioni sceniche di Saveriano e al gusto e all’aderenza stilistica di Sonja Lato, Rita Pacilio ottiene il risultato shakespeariano, ma anche brechtiano, genȇtiano e pirandelliano (per tacer di Eduardo e di Ruccello) di un teatro non “usato”, ma “fatto”, che adempie allo scopo, accadendo. Come in poesia. Un po’ quanto ne “La confusione” di Turi Vasile e in “Fratellini” di Francesco Silvestri o nel bellissimo “Gioventù senza Dio” di Ödön von Horvat.

                                                                                                           LOGOPEA



QUEL GRIDO RAGGRUMATO di Rita Pacilio
 
Regia e Direzione Artistica non indicate – Coreografie Studio Danza 94 di Carmen Pepe – Collaborazione drammaturgica: Logopea di Armando Saveriano

Con Rita Pacilio, Sonja Lato, Davide Cuorvo, Hera Guglielmo, Antonio Mazzocca, Michele Amodeo, Alessandra Iannone, Alda De Vizia, Maria Caputo, Stefania Barone, Maria Irene Granati, Laura Repole, Valeria Rinaldi, Diana Parrella, Saveria Palermo, Ilaria Boniello

Musiche: Ivan Maroello

Trucco: Argania di Flaviana Mainolfi Fotoriprese: Luigi Cofrancesco Service: Event Lighting & Sound

Benevento,  Teatro  ‘Mulino Pacifico’ – 14 marzo 2015 – Ore 20,30 –  Ingresso Euro 12.00
Organizzaz. “Solòt”, Compagnia Stabile di Benevento per la Stagione Teatrale 2015 Obiettivo T 



Foto Serata della Prima - Teatro Mulino Pacifico - 14/03/2015



















Foto Anteprima Spettacolo

Sonia Lato
Da sinistra: Christian Cioce,
Michele Amodeo, Davide Cuorvo


Da sinistra: Davide Cuorvo,
Hera Guglielmo, Michele Amodeo
Da sinistra: Davide Cuorvo,
Michele Amodeo, Hera Guglielmo


Sonia Lato


Sonia Lato


Hera Guglielmo


Da sinistra: Rita Pacilio, Christian
Cioce, Michele Guglielmo, Davide Cuorvo


Davide Cuorvo, Rita Pacilio


Sonia Lato




Sonia Lato


Davide Cuorvo, Rita Pacilio




Da sinistra: Michele Amodeo,
Davide Cuorvo













Da sinistra: Christian Cioce,
Michele Guglielmo, Davide Cuorvo









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