domenica 29 marzo 2015

C’È SEMPRE UN READING


Poesia vitalissima in città: ma attenzione a qualità e intenti






Certo, c’è reading e reading. Si moltiplicano, ad esempio, quelli organizzati da (infime) case editrici con la serpe nel manicone, che della Poesia se ne impipano, anche per il semianalfabetismo dei microimprenditori, esclusivamente interessati ad adescare potenziali clienti di belle speranze e patologiche illusioni, per indurli a stampare, sborsando dai millecinquecento ai duemila euro, in cambio di qualche centinaia di copie di libelli dalla veste grafica approssimativa. Come testimonial si affidano ad un poeta valido, che fa da garante e da traino per i gonzi. Dispiace quando poetesse con la puzza sotto al naso, che, invitate al Versipelle, fanno le schizzinose e vogliono sapere con CHI si troveranno a confrontarsi, aderiscono senza esitazione a raduni di sotto-genere, e non provano più l’orticaria nello stare gomito a gomito con gente che (a parole), e in privato,  disprezzano. 
Ma questo “Primavera in reading”, patrocinato da provincia e comune di Avellino, sotto l’egida del Premio Prata “La cultura nella Basilica”, il Premio di giornalismo e poesia “Giuseppe Pisano”, la pro loco di Montefredane, l’“Agorà” di Pratola Serra, organizzato da Monia Gaita e da Antonietta Gnerre al Caffè Letterario avellinese in via Brigata 41/43, non nasconde fini pecuniari, non alletta disperati in cerca di visibilità attraverso costose e inutili operazioni di carta stampata. Si concede l’offerta di spazio a poeti affermati e a voci non pretenziose, paghe di condividere afflati e voli pindarici, intime confessioni o semplici cantate sugli ambienti urbani e rurali che conoscono, senza pronunciate altezze espressivo-lessicali.
Gaita e Gnerre non sono nuove a iniziative del genere, sanno come gestire al meglio un evento, dosando l’aspetto indagativo e quello della pura lettura condivisa; le loro interviste agli ospiti mirano a creare un’atmosfera di agio e di piacevole scorrevolezza del pensiero…emotivo.
Gli ospiti hanno detto la loro sulle rispettive poetiche, mantenendo intelligentemente un profilo medio, dato il tenore non accademico della serata; i tre testi che ognuno ha letto o declamato, ora divertiti, ora malinconici, ora didascalici, ora di derivazione filosofico-artistica, ora funambolici tra immagine e senso, hanno composto un puzzle variato, camaleontico o immediato e riconoscibile.
Qualcuno è intervenuto sulla valenza dell’impegno civile che la poesia in fondo da sempre detiene, pagando lo scotto della verità, del coraggio, dell’azione politica polemica, in disaccordo con le leadership; qualcun altro ha fatto la levata sui giovani, sulle responsabilità di una scuola (e di una famiglia, aggiungiamo noi) sempre più disfunzionale.
È raro che in consessi tra il mondano e il letterario entrino la satira e –horribile dictu!– l’invettiva. Ma satira e invettiva si rifiutano di andare a ramengo, rivendicano una dignità letteraria solida e illustre (si vada all’articolo sul diritto all’indignazione postato tempo fa sul nostro blog); se poi smascherano vizi e debolezze, ipocrisie e compromessi terra terra tra poeti tanto avidi di notorietà e di plauso quanto privi di sostanza, allora acquistano una dimensione etico-sociale che non può essere redarguita se non soffoca la verità e anzi declina moniti e li dispensa (mai con altezzosità!).
Chi lamentava la tiepidezza dell’engagement poetico irpino disconosceva implicitamente l’accesa e annosa opera di polemisti come Pasquale Martiniello, Peppino Iuliano, Alfonso Attilio Faia, e in misura meno eclatante Della Fera. Chi si ergeva a difesa della scuola deprivata di sostegno e fracassata da programmi sorpassati e controproducenti non aggiungeva che molti atteggiamenti abulici, reprensibili e reazionari appartengono anche a categorie di studenti e a famiglie dissociate, a volte in gara sotto una incombente anomia.
Uno dei problemi della poesia è quello di scrollarsi di dosso una buona volta le ideologie muffite che hanno fatto il loro tempo, i revanscismi sessual-razziali (senza con questo negare discriminazioni, stigmi e sopraffazioni che di fatto ancora affliggono il mondo accademico, la sfera umanistica, e vanno energicamente contrastati) che spesso s’impregnano del sapore di esibizionismo e del piacere di dirsi “alternativi”. Se non ci si vuole rifugiare nel limbo della pura astrazione, si tolgano di mezzo i vincoli retorici, si dia la stura a soluzioni disamene e scomode, che in diretta, franca nudità, rammentino al mondo come sia ora di smetterla di tradurre (e tradire) la realtà con scatti di sentimentalismi iperglicemici o di galleggiare tra sofismi e presunte, inautentiche vertigini di senso. 
Molti poeti continuano a gettare sul foglio rimasticazioni di autoreclusione, e conservano ipoteche stagnanti di debiti verso il maelstrom del proprio (non sempre autentico) dissenso. Oppure scivolano nella prevenzione che blocca il loro stesso linguaggio, relegandoli nella reticenza o nel parlatismo antilirico, nell’accezione meno giustificata del concetto.
La finalità degli incontri organizzati, diretti e condotti dal duo Gaita /Gnerre guarda apertamente e con coerenza all’abbattimento del formalismo retorico démodé, vuole costruire o ri-costruire una congiunzione tra opzione mentale e pratica di una poesia dinamica, intrigante per i critici eppure accessibile e gradita ai non addetti ai lavori, una poesia la cui primaria tendenza sia quella di non lasciarsi coinvolgere dalle ubriacature dell’estetica fine a se stessa o dell’introiezione a tutti i costi, di grana grezza se pensiamo ad Amelia Rosselli; una poesia che impianti nelle coscienze (individuali e collettiva) una vis inquieta ma rifondativa della differenza, oltre l’abisso, al di là degli immensi risucchi del Vuoto. Finalità ambiziosa, certamente, e assaporata a piccole dosi, dove il valore umano e il giudizio poetico si prendano a braccetto e non prevalgano l’uno sull’altro.
Questo mercoledì 25 marzo sono intervenuti su una vexata quæstio (l’etica giornalistica e i diritti dell’informazione) Gianni Festa, direttore del Quotidiano del Sud, e Joseph Ayina, presidente dell’Associazione “Amici del Camerun”; quindi la sfilata dei poeti più ferratamente engagés, o di meno tensiosa pasta verbale: Claudio Finelli, dai cui versi ci si aspetta –invano– che facciano capolino Kavafis o Penna; Domenico Cipriano, in bilico tra pietre e stelle, giocoliere di una parola setacciata nei segnali di accadimenti personali o di irraggiamento esponenziale nel lungo passo storico; Armando Saveriano (la cui griffe risulta sempre eccentrica, fosforica e scandalosa); Agostina Spagnuolo (oggi anche saggista e ricercatrice), via via più raffinata e poliedrica nei timbri e nelle modalità; Davide Cuorvo, alla conquista di una parola radiosa e politonale; Marco Parisi, con le sue polarità di entusiasmo e frustrazione; Marciano Casale, ruspante nelle istantanee paesane, dai tasti accattivanti; tutti a traghettarsi da soggettivismo lirico, nostalgia di un mondo semiscomparso e in attesa di patito, tardivo riscatto, a indisponibilità nei confronti delle cadenze sentimentali e verso linee di confine tra ragione e assurdo; da preteso (quando non pretestuoso) barlume neorealista a vocazioni inventive stranìte; da focale percezione dell’alterità inafferrabile a presa in giro tragicamente seria.

                                                                                                             LOGOPEA




ALCUNI MOMENTI DELLA SERATA


Da sinistra: Antonietta Gnerre,
Monia Gaita, Gianni Festa
Da sinistra: Monia Gaita,
Antonietta Gnerre




Da sinistra: Joseph Ayina,
Antonietta Gnerre









Da sinistra: Domenico Cipriano,
Antonietta Gnerre







Armando Saveriano
Da sinistra: Monia Gaita,
Armando Saveriano









Da sinistra: Claudio Finelli,
Antonietta Gaita
Da sinistra: Monia Gaita,
Armando Saveriano


Marco Parisi





Marciano Casale



Davide Cuorvo






















Da sinistra: Antonietta Gnerre,
Agostina Spagnuolo




Da sinistra: Davide Cuorvo,
Antonietta Gnerre

























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