
Dio, nauseato da un’umanità sempre più avida e perversa, atea e guerrafondaia, ha forse rinnegato il patto di non scatenare una seconda volta il Diluvio Universale? È tornato al Vecchio Testamento? L’indifferenza dei potenti nei confronti di una ecologia irreversibilmente sconvolta e compromessa ha collassato il nostro mondo? O non la magia nera? O non l’avvento di titaniche divinità ancestrali che ci restituiscono agli incubi e ai deliri di Howard Phillips Lovecraft?
Lo scrittore americano Brian Keene, vincitore del Premio Bram
Stoker per ben due volte, regala alle nostre paure più ataviche e inconsce un
romanzo d’impatto cataclismico, “I Vermi
Conquistatori”, che parte con una ipotesi alla “Deserto d’acqua” di Ballard,
presto innestata in un impianto di invasione endogena di mostri per eoni
esiliati nel cuore della Terra, per colorarsi subito di implicazioni fantasy
(sirene e incantamenti) e sfociare infine nelle atmosfere insostenibili dei
Miti di Cthulhu.
Il romanzo si legge tutto
d’un fiato per l’ottima traduzione di Luigi Musolino e Daniele Bonfanti; si
snoda in tre parti che amministrano in crescendo gli sviluppi di azione e
psicologia del gruppo di protagonisti (due uomini anziani, di scorza dura, un
sociopatico con la fissazione del complotto globale, una lesbica e un giovane
commesso in un negozio di video a Cockeysville, Baltimora). I colpi di scena
non sono mai fini a se stessi e le possibili rivelazioni, soltanto
intelligentemente suggerite, sono opzionabili, vanno interpretate dal lettore.
Giuseppe Lippi di Urania mette a segno un successo nella linea “horror”, che
prima ha avuto la designazione “Epix”. Ci chiediamo se non sarebbe stato meglio
proseguire la politica dello storico duo che curava la mitica Urania, Fruttero
& Lucentini. La vecchia guardia accontentava tutti i gusti, alternando,
sotto l’unica testata, la fantascienza hard, il ventaglio esteso delle sue
propaggini (SF d’invasione, space-opera, SF sociologica, teratologica,
cataclismica), il genere fantasy e l’horror tout-court.
La veste grafica era
passata dagli epici sensazionalismi coloratissimi a copertina intera, ad un
raffinato cerchio ornato di rosso in campo bianco, le cui illustrazioni erano
affidate a uno dei più grandi artisti all’epoca viventi: Karel Thole. Bastavano
i “cerchi di Thole” per eccitarci e farci sognare, per predisporci ad
assaporare i racconti, i romanzi, le ristampe nel formato tra volumetto e
rivista. La rotazione sapiente di generi era gradita a tutti, anzi favoriva
l’accostarsi del lettore “fissato” con un determinato filone ad altre sfere
narrative parallele, ai generi che magari non erano al top dei suoi gusti
personali. Poi, con il passaggio di gestione, fu decisa una “rivoluzione”
estetico-contenutistica: la scomparsa dell’horror e della fantascienza ad ampio
raggio e una massiccia, noiosa somministrazione di sf cyber-punk,
ipertecnologica, spaziale; il formato divenne tascabile e il prezzo - val la
pena di dirlo? - lievitò. Ci allontanammo da questo nuovo Urania con il forte rimpianto dei trascorsi anni
dell’adolescenza e della giovinezza (e non si trattò del classico singhiozzo
generazionale del laudator temporis acti), fino a che, oggi, non si
è rinsaviti e tornati, più o meno, ad una formula di compromesso, che rimedia
agli errori di valutazione commessi. C’è persino da sperare che cessi al più
presto la scomparsa inopinata (assolutamente imperdonabile!) dai titoli della
collana di un autore eccellente e per immaginazione e per stile, come Serge
Brussolo, liquidato perché scarsamente desiderato dalla maggioranza dei lettori
della testata: questa, la motivazione ufficiale; fosse vera la ragione,
vorrebbe dire che il lettore medio italiano è un imbecille e un incompetente;
siamo fermamente convinti che, al contrario, Brussolo non andasse giù (chissà perché)
ai curatori “dèi ex machina”, supremi giudici e amministratori dei gusti dei
compratori. O forse non ci si era accordati sui diritti di traduzione e stampa.
A chi si attestasse in una posizione di incredulità, suggerisco senza mezzi
termini di procurarsi qualche opera di Brussolo (“La notte del bombardiere”,
Urania 1119; “La collera delle tenebre”, U. 1040, “I seminatori di abissi”, U.
1061; “I soldati di catrame” U. 1081; “Terra di uragani”, U. 1094; “Sonno di
sangue”, U. 1104).
Tornando alla tematica
horror, essa si è intanto accentrata su quattro temi e sfondi: la casa
infestata; il serial killer; i fantasmi coreani-nippo-thailandesi, gli zombi. E
non se ne può più. Siamo nauseati da carrettate di romanzi e fumetti sui morti
viventi cannibali, sulle case possedute da demoni e dagli assassini seriali a
buon mercato, da bambine e donne spettro dai chilometrici nastri di capelli,
occupate a sbucare dai tubi catodici, a strisciare giù da scale e su per pareti
(altra cosa – vogliamo ricordarlo – il classico “La carta da parati gialla” di
Charlotte Perkins Gilman).
Ad essere onesti, sia il
cinema sia la letteratura hanno rivolto la loro attenzione all’universo fanta-orrorifico
di Lovecraft, ai suoi miti di Chtulhu; tuttavia in maniera discontinua ( e
certamente è un bene che ci ha risparmiato l’assuefazione di cui soffrono
vampiri adolescenti da soap opera, licantropi digitali e –gli insopportabili–
zombi). Il cinema ha prodotto pellicole interessanti, cominciando ad investire budget
ingenti – e ci riserviamo di parlarne, recensendo lo straordinario The Cabin in the woods (Drew Goddard,
USA 2012), che nella parte finale ha notevolissime aderenze con il romanzo di Keene
“The Conqueror Worms”, “I Vermi Conquistatori”. La sottovalutata associazione
da noi gestita, Logopea, si è tolta un sassolino dalla scarpa, producendo
(ovviamente con scarsissimi mezzi) un lungometraggio lovecraftiano sui “Grandi
Antichi”, interpretato da Mena Matarazzo, Chiara Mazza, Fiorella Zullo e
Salvatore Iermano, per la regia nostra e dell’ex allievo Roberto Flammia: “Dark
Madness” (su You Tube sono disponibili trailer e promo).

Intanto, Dio o Cthulhu o
Dagon o Azathot o il Verminoso, osceno Behemoth ci scampino dal velato annuncio
di stampa, nella testata Urania horror, dello zombistico The Rising (2003), che sempre dalla “penna” di Brian Keene avrebbe
dato linfa al genere dei morti a banchetto dei vivi. Vogliamo continuare ad
amare questo autore! Meglio puntare su Koontz, Campbell, Barker, Lansdale
(purché non zombizzanti!!). Ben venga,
dunque, come Lippi promette, “The Face That Must Die” di Ramsey
Campbell.
Armando Saveriano
I
VERMI CONQUISTATORI BRIAN KEENE (URANIA
H. 6) Pag. 252 – MONDADORI, SEGRATE (MI)
€ 5.90
Nessun commento:
Posta un commento