martedì 20 maggio 2014

APPUNTAMENTO AL CASALE - Un pugno di irresistibili irredenti all’ombra delle Muse


Quando, alcuni anni orsono, i coniugi Palmieri / Eisenberg pensarono di battezzare la tenuta in Laiano (Sant’Agata dei Goti) semplicemente Il Casale, certo non pensavano a una sorta di bed & breakfast occasionale, tantomeno ad un punto di riferimento (ci si augura in itinere, in progress) per incontri di poetica fra prede & sacerdoti dell’ineffabile poiein.
Il Casale ha aperto i suoi cancelli a scrittori, poeti, pittori, musicanti: artisti in generale, se la definizione, espunta dal ridicolo cui la espongono falangi di improvvisatori e di strampalati intellettualoidi sciroccati (dame in decadenza fisico-cerebrale, dal dubbio pedigree araldico-erudito, torve maestre d’asilo in urto con il mondo, moscetti snobboni che credono d’incarnare l’esprit flȃneur, opache zie Caroline col vezzo d’insegnare (gulp!) scrittura creativa, professori toccati dai sonagli di una sferragliante, innocua, pittoresca follia) può ancora essere impiegata in forza d’una spallata di credibilità.
In ogni caso, sabato 10 maggio u.s., per la seconda volta, uno sparuto drappello di annosi pionieri del culto e della diffusione delle poetiche, si è radunato nel rustico, raffinato, accogliente tempio pagano custodito e tutelato dall’arguto Pasquale Palmieri, pronto a battezzare gli eletti convenuti sguainando l’anima di lucente (e tagliente) metallo d’un apparentemente inoffensivo bastone da passeggio, efficiente, quand’occorra, più d’una letale coppia di rottweiler foraggiati a croste di formaggio e acqua per una settimana intera.
Più leggiadra, la consorte Mariastella, fluttuante come una figurina di Dresda, sorridente, fresca di giardino e di cestini di primizie, appena rientrata dalla passeggiata del Lungosenna, o transfuga da un Cafè, col suo inventario di violette e cigarettes.
Qualcuno, viziato dai mondani e frivoli salotti di città e provincia, penserà ad un futile incontro fra sciagurati pataccari, edaci di riconoscimenti caduchi, fanfaronati dall’inestirpabile chiodo dell’invasamento poetico alto e ineffabile; magari ad un meeting dorato e scorticato di Lyons, la cui patrona è l’immancabile preside a riposo, restaurata sul modello di Maria Antonietta in improbabile toupet “fintobiondosmorto”, lustrini e vibrazioni, poco prima della salvifica discesa di madame la guillotine sul vizzo collo di gallina padovana; oppure ad un altrettanto sciapito, superfluo reading, i cui protagonisti, privi della facoltà, dell’interesse e della cortesia dell’attenzione, fremono, ringalluzziti, impazienti di esibire versi banali e abusati, logori e irritanti, ad un pubblico altrettanto distratto, creativamente scianchellato e inguaribilmente autistico.

Non è quel che accade al Casale. Che neanche però è il severo, claustrale ricovero di seriosi aspersi dalle Muse, di accademici coi pollici ficcati nei taschini del gilet e di scrittrici dal profilo immortalato nel più fragile e ipersensibile cammeo dell’irraggiungibilità e del mutevole, suscettibile umore bisognoso dei soccorsi delle pezze in fronte e del laudano.
Gli amici del Casale sono comuni persone non comuni, che esercitano il rispetto anche nei confronti di chi non lo meriterebbe affatto, e che si ritrovano per colloquiare, è vero, con la Poesia, senza tuttavia spararsi pippe o atteggiarsi in pose; essi si confrontano, nel senso originario e puro del verbo, che altrove ha imbastardito l’accezione. Sanno ascoltare, ascoltarsi, e dimostrarlo con interventi appropriati, intelligenti, a rifrazione reticolare, come dev’esser l’esercizio di una cultura viva.
Naturalmente non si respinge con “nobile”, ipocrita sdegno, il momento conviviale, col pretesto che la parola nutre e disseta palati ed epa. In realtà le signore, solerti tanto allo scrittoio quanto accanto ai fornelli mai spenti, si sbizzarriscono in prove del cuoco che farebbero invidia agli chef dei (troppi) programmi televisivi dedicati alla crapula. Altro che menu di ristoranti a tripla o quadrupla stella. L’est est est vale per i beveraggi generosi e per i non avari o sguarniti piatti, le sperlunghe, le spaselle, le tortiere, colme di ogni ben di Gargantua e Pantagruel, per una sacrosanta, generale strippata!
Ad onorare l’invito, ufficialmente formulato dal maestro cerimoniere, il poliedrico, ubiquo poeta Giuseppe Vetromile, il critico/poeta Raffaele Urraro, il sottoscritto, la poetessa Marianunzia Masullo, l’attrice poetessa Angela Caterina, il prof. Alexander Daguerre, di lingua madre inglese, e cognome francese, la fine locutrice Orsola Ferraro. Ospite d’onore, la grande Assunta Finiguerra, poetessa lucana scoperta da Franco Loi, figura tormentata, baciata dall’ispirazione e dal genio rivoltoso, indomito e iconoclasta; fra i pochi autori del sud a evadere dalle angustie della propria cella/ cellula provinciale, vanta pubblicazioni prestigiose presso Einaudi, Mursia, Lietocolle. Da “Tatemije” (Mursia) sono stati interpretati, a più voci, versi incandescenti, spregiudicati, rabbiosi, eppure con gemme di delicata dedizione alla vita che a lei sfuggiva (sarebbe morta di cancro, sola, senza che nessun poeta cortigiano, che l’assillò in vita per godere di gloria riflessa, presenziasse almeno ai funerali nella natia San Fele). La Finiguerra, poetessa a tutto tondo, unica in grado di trarre dal suo dialetto versioni in italiano fedeli e di straziante bellezza, sarà più degnamente commemorata nel corso di uno spettacolo, in autunno, organizzato da Logopea, dal Circolo Anastasiano e dal Casale laianese.




Partecipazione alla Poesia è aderenza alla Vita, intensa e appassionata, eppure nello stesso tempo periferica, complementare ad altro; sia nella negatività esistenzialista, sia nel più impietoso journal dove le memorie graffiano e commuovono; sia nel neo barocco sia nel mito dell’atemporalità scandito nella precisione “pascoliana” del lessico; per approdare agli erti pendii delle sfide avanguardiste. Strappi, cuciture e convergenze tra nostalgia e desiderio in Vetromile, dall’humus rigoglioso e fluorescente, mentre scava nei paesaggi desolati di un pessimismo lì a mordere in ultimo se medesimo, svelando se non finale epifania, un rovescio di camaleontica cauda non esente da possibile scioglimento, magari riconoscendo nell’Ente Dio il ritratto dell’anthropos strisciato dal brodo primordiale. L’armonica cassa di risonanza della poetica di Daguerre, fascinosa, filosofeggiante e ironica, con savia spezzatura, ha fatto da contrappunto alle intemperie brulicanti del quotidiano in Caterina, Masullo e Urraro, con i reciproci cocci da raccogliere con dignità e pudore, nella confessione dell’errore o nell’ebbrezza del ritrovamento, durante l’eterno vagabondaggio emotivo. Su tutto, una parola incolpevole, come la definisce Raffaele Urraro nell’ultimo libro, alla mercè dell’autore, che tanto può malintenderla e tradirla, quanto sfinirla e consumarla in un uso improprio o isterico in contusione-confusione, vaniloquenza, estetizzato all’eccesso, o stondato senza freno, nella tensione all’essenzialità come valore superno. Le elegie delicate, che spazio danno, e luce, al senso dell’universo delle minime cose in Marianunzia Masullo, si confrontano con le cariche d’accumulo, tumultuose, grondanti lacrime, di Angela Caterina, dall’occhio istrionico che enfatizza in chiave espressionista estasi e dramma. Mariastella Eisenberg resiste alla spoliazione brutale del distacco con picchi kafkiani, che echeggiano del motto riformulato: la scrittura deve essere l’ascia nel mare gelato dentro di noi. Ma la bionda e doviziosa anfitriona è maestra di variabili multiple e insospettate nella percezione della lingua nel suo spettro fonetico, acustico, cromatico e visuale, per cui accanto alla gamma delle lacerazioni e della paralisi traumatica, o forse nascenti proprio da esse, per processo rigenerante e per un meccanismo di sfuggenti compensazioni e “risarcimenti”, ecco le…librazioni di uno spirito panico o addirittura i radiosi scampanìi di uno scompiglio fantasioso, riconciliante, scherzoso, spesso nell’ammiccamento alla filastrocca per l’infanzia.
I poeti si sono interrogati sulle reciproche prove, discutendo di stilemi, dalla figuratività alla prospettiva esistenziale, dalle icone di autenticità delle radici al fuoco delle fedi, laiche o religiose; soprattutto indagando sugli spazi bianchi di corbièriana memoria, disseminati nelle pulsazioni di Amelia Rosselli, Jolanda Insana, Derek Walcott, per citarne taluni e non da poco!


Quanto ai pretestuosi assenti, dei quali s’impone, o Vetromile, o Eisenberg, la stesura di una lista di proscrizione, non se ne è sentita la mancanza. Personalmente costoro non mi provocano sbalorditivi ectròpion; né ho bisogno, per crescere, delle ruminazioni estenuanti e balorde di lesbiche velate e di baldracche senza veli, di languidi santoni dispensatori di formule buoniste da manuale delle Giovani Marmotte, di stagionate zie Caroline con le muffe sui polpastrelli, di ninfette ascensioniste del Parnaso, pronte a schiuder le labbra di bocca e vagina pur di ottenere effimeri traguardi che cozzano contro la nullesia ruotolante che evacuano e smerciano. Già letto, già sentito, ripetitivo a rischio di raffiche di sbadigli! Ma per favore! Al buon Vetromile suggeriamo di non sprecare ancora mail e telefonate per mendicare i preziosi, compiacenti consensi dei magnifici puzzasottoalnaso, che ci considerano scartine e che invece NOI dobbiamo collocare, una volta per tutte, nella categoria degli organismi edafòbii; di rivolgersi piuttosto, in occasione del prossimo raduno, a giovani leve affidabili, concrete, sostanziose e umili (ce ne sono, ahimè, di montati e tracotanti, convinti che tutto sia a loro dovuto!).
Magari perché non diffondere la notizia che al Casale convergeranno nientepopodimeno che Niva Lorenzini, Tomas Tranströmer, Arnaldo Colasanti o la tallonatissima M. Grazia Calandrone? E lasciar fuori dell’uscio la mandria dei questuanti, di colpo interessati a casaleggiare? Io ne avrei il gusto e il coraggio.
Armando Saveriano

*

Ho cessato di porre domande al cielo
Corroso da invocazioni e jasteme
E l’abisso invocato mi ha porto
Con braccio in fiamme
Una tazza di sangue
Il sangue alle arterie dolenti sottratto
Queste
Bevi mi ha ingiunto la voce
Del Primo Motore Greveamaro
Che tra le ciglia mi tenta
Al punto zero il cuore
Non ti resta altro
O malinconico
O rinnegato
Diligentissimo idiota
Di là dalle trincee dell’appartenenza
La solitudine ti sia crepuscolare riflesso
Ineguagliabile oltraggio
E chissà se non ricompensa
Una macchia che s’irraggia essudata
Qui
Qui
E qui
Tu leccane la lama
Assaporerà lo schizzo del tuo fiele
Senza chiedertene il prezzo
Ma stabilirà la futura tua residenza

Ah ho trovato tra il fogliame contorto
E vorticoso dei pensieri delle tentazioni
Non un bellico quadrifoglio d’acciaio
Lo scorrere invece d’uno specchio
Nel palmo della mano
Dal cui skiaaantooo
Ho inghiottito cainico orrore
Tremulo
Un invincibile indicibile quid
Che fa di me ecclesiaste e neuromante
Un contraddittorio reimpasto

Sono forse responsabile
Sono certo responsabile
Io soltanto io
Quel che vedete quel che intuite
Quel che nemmeno sospettate
L’ho voluto l’ho creato
Io
Non le labbra di nebbia e di pietra del destino

O mia rovina avvolgimi
Sfamati di me
Digeriscimi
Ignobile metabolismo
È ora che io taccia del tempo
Dissipato per confessa vocazione
Reo sconcio baldanzoso
È bene che taccia di tanto consenziente
Cattura
Apostata fra agognati demoni meticci
Mio male inebriante abominio

Nacqui un sabato futuro
Nell’orto di vergini allettamenti
Una volta sola lampeggiò il peccato
E fu per sempre

Un sabato come questo amici del Casale
Con gli occhi rivolti all’altare
Dell’insignificanza
Perdendo dalla bocca che violò violata
Versi discosti dalla neve sul mare
Dall’arsura radioattiva della terra
Dal furto del respiro nei venti acerrimi
Colto nell’atto o tenebra
Di agghindare l’esalante anima
Con l’impalpabile scialle lunare

Armando Saveriano
Sabato 10 maggio 2014

*

Con l’aiuto del cancro sto figliando la morte
Parto asciutto e i reni martoriati
Mi fanno così male che raschio il muro
Dove c’è il tuo ritratto in cornice

E mi guardi con aria da buonista
Mafioso, delinquente e mariuolo
La morte mi fai partorir da sola
E non mi asciughi la fronte col fazzoletto

Tu sta’ tranquillo! La svezzerò con amore
Le darò biscotti e Ovomaltina
Spremute di arance e limoni
E yogurt per farle una pelle di seta

E quando sarà una bella ragazzina
La manderò in missione a casa tua
Saprà sedurti con l’arte della troia
E quel giorno per la fica morirai ucciso.

Assunta Finiguerra

(da: Tatemije, Mursia )

Assunta Finiguerra

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