Quando,
alcuni anni orsono, i coniugi Palmieri / Eisenberg pensarono di
battezzare la tenuta in Laiano (Sant’Agata dei Goti) semplicemente
Il Casale,
certo non pensavano a una sorta di bed
& breakfast
occasionale, tantomeno ad un punto di riferimento (ci si augura in
itinere, in
progress) per incontri
di poetica fra prede &
sacerdoti dell’ineffabile
poiein.
Il
Casale ha aperto i suoi cancelli a scrittori, poeti, pittori,
musicanti: artisti in
generale, se la definizione, espunta dal ridicolo cui la espongono
falangi di improvvisatori e di strampalati intellettualoidi
sciroccati (dame in decadenza fisico-cerebrale, dal dubbio
pedigree
araldico-erudito, torve maestre d’asilo in urto con il mondo,
moscetti snobboni che credono d’incarnare l’esprit
flȃneur, opache zie
Caroline col vezzo
d’insegnare (gulp!)
scrittura creativa, professori toccati dai sonagli di una
sferragliante, innocua, pittoresca follia) può ancora essere
impiegata in forza d’una spallata di credibilità.
In
ogni caso, sabato 10 maggio u.s., per la seconda volta, uno sparuto
drappello di annosi pionieri del culto e della diffusione delle
poetiche, si è radunato nel rustico, raffinato, accogliente tempio
pagano custodito e
tutelato dall’arguto Pasquale Palmieri, pronto a battezzare gli
eletti convenuti
sguainando l’anima di lucente (e tagliente) metallo d’un
apparentemente inoffensivo bastone da passeggio, efficiente,
quand’occorra, più d’una letale coppia di rottweiler foraggiati
a croste di formaggio e acqua per una settimana intera.
Più
leggiadra, la consorte Mariastella, fluttuante come una figurina di
Dresda, sorridente, fresca di giardino e di cestini di primizie,
appena rientrata dalla passeggiata del Lungosenna, o transfuga da un
Cafè,
col suo inventario di violette e cigarettes.
Qualcuno,
viziato dai mondani e frivoli salotti
di città e provincia,
penserà ad un futile incontro fra sciagurati pataccari, edaci di
riconoscimenti caduchi, fanfaronati dall’inestirpabile chiodo
dell’invasamento poetico alto
e ineffabile; magari
ad un meeting dorato e scorticato di Lyons, la cui patrona è
l’immancabile preside a riposo, restaurata sul modello di Maria
Antonietta in improbabile toupet “fintobiondosmorto”, lustrini e
vibrazioni,
poco prima della salvifica discesa di madame
la guillotine sul
vizzo collo di gallina padovana;
oppure ad un
altrettanto sciapito, superfluo reading,
i cui protagonisti, privi della facoltà, dell’interesse e della
cortesia dell’attenzione, fremono, ringalluzziti, impazienti di
esibire versi banali e abusati, logori e irritanti, ad un pubblico
altrettanto distratto, creativamente scianchellato
e inguaribilmente autistico.
Non
è quel che accade al Casale. Che neanche però è il severo,
claustrale ricovero di seriosi aspersi dalle Muse, di accademici coi
pollici ficcati nei taschini del gilet e di scrittrici dal profilo
immortalato nel più fragile e ipersensibile cammeo
dell’irraggiungibilità e del mutevole, suscettibile umore
bisognoso dei soccorsi delle pezze in fronte e del laudano.
Gli
amici del Casale sono comuni persone non comuni, che esercitano il
rispetto anche nei confronti di chi non lo meriterebbe affatto, e che
si ritrovano per colloquiare, è vero, con la Poesia, senza tuttavia
spararsi pippe o atteggiarsi in pose; essi si confrontano, nel senso
originario e puro del verbo, che altrove ha imbastardito l’accezione.
Sanno ascoltare, ascoltarsi,
e dimostrarlo con interventi appropriati, intelligenti, a rifrazione
reticolare, come dev’esser l’esercizio di una cultura viva.
Naturalmente
non si respinge con “nobile”, ipocrita sdegno, il momento
conviviale, col pretesto che la parola nutre e disseta palati ed epa.
In realtà le signore, solerti tanto allo scrittoio quanto accanto ai
fornelli mai spenti, si sbizzarriscono in prove del cuoco che
farebbero invidia agli chef dei (troppi) programmi televisivi
dedicati alla crapula. Altro che menu di ristoranti a tripla o
quadrupla stella. L’est
est est vale per i
beveraggi generosi e per i non avari o sguarniti piatti, le
sperlunghe, le spaselle, le tortiere, colme di ogni ben di Gargantua
e Pantagruel, per una sacrosanta, generale strippata!
Ad
onorare l’invito, ufficialmente formulato dal maestro cerimoniere,
il poliedrico, ubiquo poeta Giuseppe Vetromile, il critico/poeta
Raffaele Urraro, il sottoscritto, la poetessa Marianunzia Masullo,
l’attrice poetessa Angela Caterina, il prof. Alexander Daguerre, di
lingua madre inglese, e cognome francese, la fine locutrice Orsola
Ferraro. Ospite d’onore, la grande Assunta
Finiguerra, poetessa
lucana scoperta da
Franco Loi,
figura tormentata, baciata dall’ispirazione e dal genio rivoltoso,
indomito e iconoclasta; fra i pochi autori del sud a evadere dalle
angustie della propria cella/ cellula provinciale, vanta
pubblicazioni prestigiose presso Einaudi, Mursia, Lietocolle. Da
“Tatemije”
(Mursia) sono stati interpretati, a più voci, versi incandescenti,
spregiudicati, rabbiosi, eppure con gemme di delicata dedizione alla
vita che a lei sfuggiva (sarebbe morta di cancro, sola, senza che
nessun poeta cortigiano, che l’assillò in vita per godere di
gloria riflessa, presenziasse almeno ai funerali nella natia San
Fele). La Finiguerra, poetessa a tutto tondo, unica in grado di
trarre dal suo dialetto versioni in italiano fedeli e di straziante
bellezza, sarà più degnamente commemorata nel corso di uno
spettacolo, in autunno, organizzato da Logopea, dal Circolo
Anastasiano e dal Casale laianese.
Partecipazione
alla Poesia è aderenza alla Vita, intensa e appassionata, eppure
nello stesso tempo periferica,
complementare ad altro;
sia nella negatività esistenzialista, sia nel più impietoso journal
dove le memorie
graffiano e commuovono; sia nel neo barocco sia nel mito
dell’atemporalità scandito nella precisione “pascoliana” del
lessico; per approdare agli erti pendii delle sfide avanguardiste.
Strappi, cuciture e convergenze tra nostalgia e desiderio in
Vetromile, dall’humus rigoglioso e fluorescente, mentre scava nei
paesaggi desolati di un pessimismo lì a mordere in ultimo se
medesimo, svelando se non finale epifania, un rovescio di
camaleontica cauda
non esente da possibile scioglimento, magari riconoscendo nell’Ente
Dio
il ritratto dell’anthropos
strisciato dal brodo
primordiale. L’armonica cassa di risonanza della poetica di
Daguerre, fascinosa, filosofeggiante e ironica, con savia spezzatura,
ha fatto da contrappunto alle intemperie brulicanti del quotidiano in
Caterina, Masullo e Urraro, con i reciproci cocci da raccogliere con
dignità e pudore, nella confessione dell’errore o nell’ebbrezza
del ritrovamento, durante l’eterno vagabondaggio emotivo. Su tutto,
una parola incolpevole,
come la definisce Raffaele Urraro nell’ultimo libro, alla mercè
dell’autore, che tanto può malintenderla e tradirla, quanto
sfinirla e consumarla in un uso improprio o isterico in
contusione-confusione, vaniloquenza, estetizzato all’eccesso, o
stondato senza freno, nella tensione all’essenzialità come valore
superno. Le elegie delicate, che spazio danno, e luce, al senso
dell’universo delle
minime cose in
Marianunzia Masullo, si confrontano con le cariche d’accumulo,
tumultuose, grondanti lacrime, di Angela Caterina, dall’occhio
istrionico che enfatizza in chiave espressionista estasi e dramma.
Mariastella Eisenberg resiste alla spoliazione brutale del distacco
con picchi kafkiani, che echeggiano del motto riformulato: la
scrittura deve essere l’ascia nel mare gelato dentro di noi.
Ma la bionda e doviziosa anfitriona è maestra di variabili multiple
e insospettate nella percezione della lingua nel suo spettro
fonetico, acustico, cromatico e visuale, per cui accanto alla gamma
delle lacerazioni e della paralisi traumatica, o forse nascenti
proprio da esse, per processo rigenerante e per un meccanismo di
sfuggenti compensazioni e “risarcimenti”, ecco le…librazioni
di uno spirito panico
o addirittura i radiosi scampanìi di uno scompiglio fantasioso,
riconciliante, scherzoso, spesso nell’ammiccamento alla filastrocca
per l’infanzia.
I
poeti si sono interrogati sulle reciproche prove, discutendo di
stilemi, dalla figuratività alla prospettiva esistenziale, dalle
icone di autenticità delle radici al fuoco delle fedi, laiche o
religiose; soprattutto indagando sugli spazi
bianchi di corbièriana
memoria, disseminati nelle pulsazioni di Amelia Rosselli, Jolanda
Insana, Derek Walcott, per citarne taluni e non da poco!
Quanto
ai pretestuosi assenti, dei quali s’impone, o Vetromile, o
Eisenberg, la stesura di una lista
di proscrizione,
non se ne è sentita la mancanza. Personalmente costoro
non mi provocano sbalorditivi ectròpion;
né ho bisogno, per
crescere, delle ruminazioni estenuanti e balorde di lesbiche velate e
di baldracche senza veli, di languidi santoni dispensatori di formule
buoniste da manuale delle Giovani Marmotte, di stagionate zie
Caroline con le muffe
sui polpastrelli, di ninfette ascensioniste del Parnaso, pronte a
schiuder le labbra di bocca e vagina pur di ottenere effimeri
traguardi che cozzano contro la nullesia
ruotolante che
evacuano e smerciano. Già letto, già sentito, ripetitivo a rischio
di raffiche di sbadigli! Ma per favore! Al buon Vetromile suggeriamo
di non sprecare ancora
mail e telefonate per mendicare i preziosi, compiacenti consensi dei
magnifici puzzasottoalnaso,
che ci considerano scartine e che invece NOI
dobbiamo collocare, una volta per tutte, nella categoria degli
organismi edafòbii;
di rivolgersi piuttosto, in occasione del prossimo raduno, a giovani
leve affidabili, concrete, sostanziose e umili
(ce ne sono, ahimè,
di montati e tracotanti, convinti che tutto sia a loro dovuto!).
Magari
perché non diffondere la notizia che al Casale convergeranno
nientepopodimeno che Niva
Lorenzini,
Tomas Tranströmer,
Arnaldo Colasanti
o la tallonatissima M.
Grazia Calandrone? E
lasciar fuori dell’uscio la mandria
dei questuanti,
di colpo interessati a casaleggiare? Io ne avrei il gusto e il
coraggio.
Armando
Saveriano
*
Ho
cessato di porre domande al cielo
Corroso
da invocazioni e jasteme
E
l’abisso invocato mi ha porto
Con
braccio in fiamme
Una
tazza di sangue
Il
sangue alle arterie dolenti sottratto
Queste
Bevi
mi ha ingiunto la voce
Del
Primo Motore Greveamaro
Che
tra le ciglia mi tenta
Al
punto zero il cuore
Non
ti resta altro
O
malinconico
O
rinnegato
Diligentissimo
idiota
Di
là dalle trincee dell’appartenenza
La
solitudine ti sia crepuscolare riflesso
Ineguagliabile
oltraggio
E
chissà se non ricompensa
Una
macchia che s’irraggia essudata
Qui
Qui
E
qui
Tu
leccane la lama
Assaporerà
lo schizzo del tuo fiele
Senza
chiedertene il prezzo
Ma
stabilirà la futura tua residenza
Ah
ho trovato tra il fogliame contorto
E
vorticoso dei pensieri delle tentazioni
Non
un bellico quadrifoglio d’acciaio
Lo
scorrere invece d’uno specchio
Nel
palmo della mano
Dal
cui skiaaantooo
Ho
inghiottito cainico orrore
Tremulo
Un
invincibile indicibile quid
Che
fa di me ecclesiaste e neuromante
Un
contraddittorio reimpasto
Sono
forse responsabile
Sono
certo responsabile
Io
soltanto io
Quel
che vedete quel che intuite
Quel
che nemmeno sospettate
L’ho
voluto l’ho creato
Io
Non
le labbra di nebbia e di pietra del destino
O
mia rovina avvolgimi
Sfamati
di me
Digeriscimi
Ignobile
metabolismo
È
ora che io taccia del tempo
Dissipato
per confessa vocazione
Reo
sconcio baldanzoso
È
bene che taccia di tanto consenziente
Cattura
Apostata
fra agognati demoni meticci
Mio
male inebriante abominio
Nacqui
un sabato futuro
Nell’orto
di vergini allettamenti
Una
volta sola lampeggiò il peccato
E
fu per sempre
Un
sabato come questo amici del Casale
Con
gli occhi rivolti all’altare
Dell’insignificanza
Perdendo
dalla bocca che violò violata
Versi
discosti dalla neve sul mare
Dall’arsura
radioattiva della terra
Dal
furto del respiro nei venti acerrimi
Colto
nell’atto o tenebra
Di
agghindare l’esalante anima
Con
l’impalpabile scialle lunare
Armando
Saveriano
Sabato
10 maggio 2014
*
Con
l’aiuto del cancro sto figliando la morte
Parto
asciutto e i reni martoriati
Mi
fanno così male che raschio il muro
Dove
c’è il tuo ritratto in cornice
…E
mi guardi con aria da buonista
Mafioso,
delinquente e mariuolo
La
morte mi fai partorir da sola
E
non mi asciughi la fronte col fazzoletto
Tu
sta’ tranquillo! La svezzerò con amore
Le
darò biscotti e Ovomaltina
Spremute
di arance e limoni
E
yogurt per farle una pelle di seta
E
quando sarà una bella ragazzina
La
manderò in missione a casa tua
Saprà
sedurti con l’arte della troia
E
quel giorno per la fica morirai ucciso.
Assunta
Finiguerra
(da:
Tatemije,
Mursia )
Assunta Finiguerra |
Nessun commento:
Posta un commento