mercoledì 3 giugno 2015

MATERIA POETICA E ARTISTICA CONSAPEVOLEZZA IN MORELLI



REMINISCENZE, SCOPERTE E COMBUSTIONI DI UN POETA CHE SEMBRA NASCERE NEL E DAL SUO STESSO LIBRO: MARIO MORELLI E L’INCONTROLLABILE MOVIMENTO DELLE PASSIONI, LE TEMPERATURE E LA TEMPRA NEL SOSTRATO DELLA SCRITTURA, ARDITA PER SINCERITÀ E PER GRAFFIO






Ugo Morelli sintetizza la poetica di Mario, suo lontano cugino, in una sorta di exergo che ha la spezzettatura in versoprosa, e ci trova d’accordo sulle osservazioni relative a “Nistagmi”, un libro che è già divenuto una rarità, dopo che la casa editrice Nicolodi (evidentemente onesta) ha dovuto dichiarare la resa, di fronte a giochi di mercato trituranti e implacabili.
Illustrato dalle foto di Carla Weber, istantanee del mondo rurale, vegetominerale, che aprono la sensazione di solitudine alla peregrinazione erratica, “Nistagmi” è un volume  attestante, intriso di ‘Sehnsucht’, la cui filtrata accezione intrude lo struggimento all’anelito, il nostos e il rimpianto al desiderio compresso di dare compagnia ad una poesia che l’autore dichiara ‘esule’; una poesia dall’afflato denso come un cielo plumbeo, e lieve come un vento che erode dalla vòlta tutto l’azzurro. 
Eppure, dallo stile frammentoso, essenziale, emergono suono e senso del fluire, un’aria/acqua del pensiero e del petto che scorre in un misticismo panteistico della terra e del grembo madre/amante con una sensibilità dimostrativa che è forza di persuasione intima e visiva, ai lettori deposta in una spasella di segni allusivi intrecciati, come dono pagano.
Evade la sistematicità della metrica, per quanto il verso moduli, senza ostentazione, costante lume musicale, che in qualche modo fa da contraltare al crepitío di pietrisco e allo scricchiolare dell’erba brinata sotto le suole non appena il testo arriva alla sua ossatura o raffrena il flusso in vista di una chiusa che pare voler disinnescare la tentazione di un vero e proprio apologo verso uno ‘ieri’ che non cessa. Morelli onora, rispetta le tradizioni, ma non ne fa un’occasione veterotestamentaria.
“ passa attraverso me/vento inquieto del nord/ti caricherai di pensieri/pascolati a versi/di vedute perdute/in una contrada rifatta/a pitture di colori sommossi/che accecano nell’alba”
“i bambini delle Filette/contano gli acini di pioggia/che rigano il vetro su in soffitta,/non hanno mai tempo inutile/per giocare con le pallette,/laceri e mocciolosi sfidano i topi/e le loro piccole cacchette.//stroccano gli anni felici/e corrono indietro ai buoi/che ingustano le trocchie.”
Nella fenomenica del suo verso, stringato nella forma, esteso nel significato, Morelli ha colpo d’occhio vivido, essenziale, mantenendo un movimento evocativo che non si concede al creazionismo romantico, ma che non scosta da sé la sensualità: “…apron al cuore/le signore le/loro gambe:/fuori la polvere/di foglie arse/dentro l’orgasmo/ delle giovinette/tinte da poco/tra le gambe/di nuovo rossetto:/è il menarca/della gioia,/murata la vita/in cenere e/baciata da/due baffi corsici/o sardi che/han tra le gambe/la vera ricchezza.”
La bruma tanàtica che talora sorge dalla componente ctonia e s’avvince ai polpacci è piuttosto la presa di coscienza (o il timore) che la fine di un amore dato male si approssimi e devasti ancor più l’isolamento del poeta quieto in superficie e turbolento nelle viscere tòrte; sicché, partendo dall’ “innamórati di me/della mia pantomima/ho mani nervose sul piano/ho un alito di voce che sbrana”, perviene al “geme, nel tuo cuore/la parola dice “amore”/l’amore che mi hai dato/l’amore che ho perso.//greve, resta fuori/un soldataccio che/ha battagliato solo/e ha conquistato palmo a palmo/la luce nei tuoi occhi chiusi.//speme, nel mio giorno/amore di tutte le cose/l’amore che mi approfitto/l’amore che non ti ho saputo dare.”
Il tema dell’inadeguatezza a dare è ricorrente nel poeta e ronza inaudibile nel suo interior, sicché egli si interroga su quale sia il modo migliore…ammesso che un modo esista…di rapportarsi alla vita; e lo fa in riflessioni ora secche ora trasognate, con ficcanti momenti che si cristallizzano nella scrittura. Sembra che la sua vita paghi con la forzatura della vita stessa, che lo ha esiliato e segregato, periclitante, in una dimensione d’ignoto da cui si può evadere solo con la potenza taumaturgica della parola, che perlustra il mistero, saggia il segreto e fa intravedere un barlume di soluzione…benché illusoria; perché il mattino arriva (troppo) presto e svela la natura effimera, transitoria di sogni che sono apparsi allettanti e attendibili, veridici. Sullo sfondo di una natura che sovente sconcerta, punge, morde, abrade e brucia, fa capolino il torrido demone del sesso:  aderisce, ingordo e per niente dissimulatorio, al verso scottante di braci e di afrori; quand’ecco che audacemente l’io poetante, preso dal ‘trip’ del suo viaggio, com’egli stesso lo definisce, descrive l’intrusione di un dito femminile laddòve palpita un orifizio imbarazzante per il maschio etero. Ma anche tra i viluppi e gli stordimenti dell’eros fa capolino quell’insoddisfazione, quell’agra malinconia che parla di anime sperse, prive di bussola o di sestante, quelle creature indistinte e indefinite forse anche ormai stanche di identità e precisa collocazione nel mondo e nella società; anime in cui il poeta si riconosce, con le quali condivide il vuoto incolmato o l’incolmabilità del vuoto.
L’inadeguatezza a dare (amore) che si rimprovera è tuttavia meno, molto meno preclusiva dell’inadeguatezza a vivere, che era un motivo dei crepuscolari e degli esistenzialisti più incupiti e introiettati nel pessimismo nevrotico. La chiusura della raccolta è affidata a versi spietati come un cilicio, permeati da un senso di larvale autocompatimento non lamentoso, quale un breve singhiozzo, un umidore d’occhi: il poeta si sente tradito da un quid che forse è predestinazione, un quid che lo ha deprivato e scagliato nell’amnio della vita sotto le lame incandescenti del continuo andare, soffrendo in privato lo scotto dell’angoscia: feto incompleto, raggrinzito nell’incapacità/impossibilità di sottrarsi al rachitismo metaforico, alla crescita negata. Almeno nelle sconnessioni dell’autostima e per quanto attiene al ricordo. Un ‘piccolo me’ oltretutto in lite e in forte contrasto con la pars emotivo-affettiva. Ed il suo non è un fugace stato d’animo, è una concrezione di percetti nel profondo; egli si sente assediato e impedito dagli intralci delle relazioni sociali, mortificate e rese deplorevoli
da generazioni che hanno volentieri perso di vista la purezza delle mète, l’onestà nella conquista del traguardo meritato, e non consegnato dal becero compromesso. Beninteso Morelli non è un moralista e non si atteggia a poeta esclusivo, nonostante la sua cifra entri nel canone della migliore poesia irpina, accanto ai nomi di  Pasquale Martiniello, Daniele Grassi, Claudia Iandolo, Monia Gaita, Antonietta Gnerre, Raffaele Stella, Domenico Cipriano, Annamaria Gargano, Giuseppe Iuliano, Gennaro Iannarone, Agostina Spagnuolo. In tal senso egli è un ‘major poet’, come l’avrebbe definito un tempo W.H. Auden, e di seguito Luzi e Raboni avrebbero approvato e concordato. Definizione gentilmente contestata e respinta dal poeta, per come noi lo conosciamo: ritroso, restío, non arruolato in nessunissimo schieramento, avulso da ansie di affermazione; semmai coltivante questa sola aspirazione: fare buona poesia e trovare un uditorio di fruitori interessati e intelligenti. L’atteggiamento di Morelli è prudente, addirittura dimesso. È, sic et simpliciter, scelto, ‘toccato dalla Poesia’, un’investitura laica e pagana di cui non è interamente consapevole: giustamente rimettendosi al parere e al gusto di chi, con sensibilità sapiente, sappia discernere il valore e il conio. E non certo quell’abilità artigiana, ben differente e lontana dal talento, che molti scambiano o fingono di scambiare per originalità. È difficile e insolito che un poeta, con il suo logos, si imprima nella memoria delle generazioni (la ‘vecchia’ e la contemporanea). C’è perfettamente riuscita Assunta Finiguerra, l’hanno fatto Gabriella Maleti, Giuseppe Vetromile, Floriana Coppola, Domenico Luiso, e dalle pagine di Hyria, dai tour itineranti di “Simbiarte”, Aristide La Rocca. E Morelli attraversa il nuovo secolo con il suo struggimento, con la sua angoscia, con l’ombra costante dei disagi, col suo nitore tormentato, diretto e caustico, come la beltà d’un’epidermide qua e là sbucciata, contusa. Luminosa.
“piccolo me spietato/verso il mio cuore/piccolo me rubato/all’onda del mare/piccolo me buttato/in pasto al sole:/nato e beffato/non cresciuto.” 

                                                                                                ARMANDO SAVERIANO



MARIO MORELLI – NISTAGMI – NICOLODI ED. ROVERETO (TN) 2004 – PP. 84 € 10,00



insegnami a muovere bene
le mani sul tuo corpo
accendere le candele
dei tuoi affanni
scorrano le tue lacrime
come rio impetuoso
perché l’odio per te
è tutto il mio amore
che non si finge.

*

fatti nuda
sotto la pelle
nistagma
il tuo gesto
fermato
sul mio ramo
corrompi
il giglio incupito   
che monta
dal tuo corano
è l’arma insicura
della tua vita.

MARIO MORELLI



Mario Morelli


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