IL
RISCHIO DELLA PAROLA TRA CONSAPEVOLEZZA E INCONSCIO
Nel
tracciato poetico di Raffaele Stella, e all’interno del suo reticolare tessuto
culturale, con dimostrati interessi e competenze non attinenti all’area
specifica del campo letterario, ma all’avanguardia nel discettare, in abito
scientifico e con passione morale, di scienze sociali, di storia, di politica,
di psicologia, di bioetica, di fisica, con puntualità e precisione da logoteta,
si evince una robusta vis critica e il contributo di un intelletto vigile e
vivace nei processi di continuo rinnovamento, metamorfosi e fermento che
condizionano la Vita, il Sistema, la prospettiva del Futuro. Una vocazione
universalistica, la sua, una consapevolezza sofferta, in un mondo intercomunicante
non più arroccato nelle arroganze di ambiziosi nazionalismi. L’andamento
odeporico de LA TAGLIA DEL DISTACCO evidenzia con energica nettezza una professione di fede, con effetti
tonificanti e inestirpabile cuneo civile, un neo-umanismo, una pressante,
lucidissima, a tratti cruda meditazione su temi viscerali, volendo ritenere la
Poesia – o essendo essa ritenuta – depositaria ideale di un progresso
spiritualmente e socialmente vantaggioso al nostro sopravvivere sempre più
tormentato, disagiato, nevrotico. Certamente la Poesia non è solo sublimazione;
si riserva, tra i molteplici, il ruolo di accrescimento sui tanti versanti
costruttivi ed esige riscontrabili verifiche oltre i confini della scrittura,
dal momento che il suo profetico occhio all’interno del simbolico orecchio
ricettivo sugli sbocchi o almeno sugli orientamenti della weltanschauung,
anticipa e/o corrobora, senza fatalismi, la teleologia negli eventi, nei
meccanismi dell’umana avventura.
Un
dinamismo, quello di Stella, che non si auto-elegge mai depositario di verità o
di soluzioni al crollo degli ideali o al fallimento delle pianificazioni;
l’indagine poetico-filosofica suscitatrice di adesioni o di dissensi, tra i
tradizionalisti e/o i liberali, specie se approda ad un bilancio non positivo e
tutt’altro che consolatorio, è serrata e nulla trascura o discrimina. Punto di
forza, anzi, di questa raccolta. Come ebbe modo di perseverare per anni il
mirabellano Martiniello, fautore di una poesia di sostanza, di scotimento emotivo,
Stella punta l’attenzione sul concetto di diritto umano, lo monitora e lo
estende all’osservatorio globale, per restringerlo all’occorrenza sulla
finestrella non subalterna, non ancillare, della comunità irpina, in maniera
esplicita o allusiva, sottocutanea.
Sul
dire poetico Stella sottopone il dubbio ricorrente se le parole già appena
pronunciate non paiano invecchiate e inadatte, insoddisfacenti a trasmettere e
a spiegare, mentre esse dovrebbero godere di alta cittadinanza nell’efficacia
del messaggio, potenziato ed esteticamente elegantito, in ordine alla fedele
educazione intellettuale e alla fondamentale sensibilità, dalla trasversalità
del metalinguaggio, senza necessità che esso in apparenza oscuri o trasfiguri,
come nel periplo di parecchi autori strenui difensori di un linguaggio
tecno-cesellato che imbocca la via della indecifrabilità dei caratteri. Raffaele Stella dipana in
tale accezione un filo resistente. Un filo che confessa, senza reticenze, il
suo tempo storico, la sua appartenenza o disappartenenza al modello umano e
cerca una conciliazione ardita tra consapevolezza e inconscio. Il rischio della
parola è doppio ed è alto ( “Il verso non
soggioga il foglio/C’è qualcosa che si oppone/e la parola non si esalta”);
a volte Stella dà la sensazione di spingersi in un ‘di là da venire’ dove egli
stesso la contempla, questa sublime, intrattabile, precaria parola, come
reliquia inabissata e perduta, addirittura afasizzata ed estranea, sconosciuta,
come in un dramma ciclico, come in un dramma scenico, commistione tra ‘Giorni
Felici’ beckettiano e ‘La Lezione’ o ‘La cantatrice Calva’ nel repertorio
celebre di Ionesco. E’ questo il perno ed il fascino de LA TAGLIA DEL DISTACCO:
attrito o saldatura? Astensione dal
parlare, e quindi polemico riserbo, o rottura del silenzio e aperta stura del
polemos?
Il
polemos –o addirittura una metafisica del polemos– lo si espliciti o lo si
dissimuli o lo si castri, è un ineliminabile elemento del continuum aggressivo
nell’umanità, a partire da Eraclito, e caratterizza il giroscopio psichico nella
stragrande maggioranza, benché parzialmente attenuato nell’uomo eterodiretto,
che se però non assume atteggiamenti radicali, può sempre, prima o poi, e
malgré soi (e succede!), riscoprirsi uno swimmer
di acque nient’affatto controllate e tranquille. E Stella ce lo ricorda in
tante modalità, da ‘Caino non è mai morto’ a ‘Non siamo mutati molto’, da
‘Jamel’ ad ‘Aspetto Giovanni da Farah’, da ‘La Guerra di Crimea’ a
‘L’oscurantismo non è mai’, a “Hiroo Onoda viveva nella giungla”. Nel
frattempo, il Primum movens quale
imperscrutabile ruolo gioca, nel credo universale? Stella con affilatura di
denti stira un ghigno sarcastico e mordace, appena al di sopra del cinismo
imbevuto di verde ironia: “E’ cambiato l’indirizzo di Dio” è un capolavoro di
satira che sferza il volto e provoca i conflitti interiori della coscienza;
sembra strafottente e ludico-blasfemo, il piglio del poeta, il quale si diverte
sorseggiando una mistura di amarezza, di scontento, ma anche di resilienza nei confronti
dell’inaccettabile, delle paure e delle fobie, delle mille assedianti
insicurezze, con il decoro dell’impegno che non ha annacquato la propria
dignità letteraria e intellettuale.
“Forse è solo l’idea del Divino/ a domiciliare in ogni testa// Che Dio sia solo una visione?//L’Onnipotente creato ad hoc/ da figli senza padri? Forse negli anfratti della mente/si scopriranno altre chimere…”
“Forse è solo l’idea del Divino/ a domiciliare in ogni testa// Che Dio sia solo una visione?//L’Onnipotente creato ad hoc/ da figli senza padri? Forse negli anfratti della mente/si scopriranno altre chimere…”
Dio
si è autoesiliato, orripilato dalle miserie, dai delitti, dalle atrocità della
sua creazione, ci ha vòlto le spalle o semplicemente sonnecchia: “Chi anima e manovra noi umani/sarà
addormentato o defunto/per come vanno le cose qui in terra/per l’assenza di
tratti di una creazione/con premesse di target prossime/a una perfezione
assoluta…”
L’uomo dal canto suo, conflittuale, combattuto, sull’orlo del cratere, non è che “misere molecole indotte/ a credersi sostanza essenza/piuttosto che pura apparenza/ Un nulla incorporeo impalpabile/oppresso dal difetto iniziale/ di una falsa convinzione/ di essere qua e assolutamente concreto”. E rafforza la dose quando ipotizzando afferma: “Siamo materia organizzata/ nella trappola di un moto/che ci appare contrapposto/all’inerzia della roccia”; “Aquiloni indefessi abbattuti dal vento/ci alziamo ogni volta scomposti/fino all’ultima inevitabile caduta”; “…Improbabile ammettere che in fondo/non siamo più solidi dell’aria/afferrata e stretta tra le mani”. E semmai: “Percettori presunti di un Dio/ che non muove dito…” Questo l’uomo. Questa la condizione umana. E il Poeta? Un inguaribile, infetto da un turbine provvidenziale o apocalittico di parole lievissime quando farfalle, esplosive quando pallottole? Uno dei maggiori poeti polacchi del XX secolo, Kazimierz Wierzyński, così asserisce – e sembra il suo un vero proclama – : “Non vogliamo grandi parole, ma vogliamo una grande poesia; allora ogni parola diventerà grande”. Proviamo a vedere da vicino se il suo ruolo – quello del poeta in generale – sostiene il peso dell’anima e del tempo. Stella non va per mezze misure: “ Sono quasi tutti morti i poeti/e nessuno custodisce più un cuore/nelle mani”.
LA TAGLIA DEL DISTACCO è in fondo la ‘scoperta’ o il riconoscimento del silenzio (o del logos inefficace che non colma la differenza) e della solitudine (l’uomo abbandonato su una panchina vagamente prévertiana, il fatto che “Passato e futuro sono inganni/false grandezze di un elastico teso”, un emigrare “ogni giorno senza rotta”, un emigrare “da un mondo che è miraggio/dall’ascolto non compreso/dall’ombra dove cammino”. Eppure, la Poesia, che è contraddizione, e che di contraddizione si sostenta, fa dire a Stella che: “ Lasciamo tutti una traccia/ e penso al moncone di olmo/tracciato da asimmetrie alla Mondrian/da miriadi di alacri formiche/Schegge di putrido legno/nella tomba en plein air/di questo giardino di luglio/Non ci sono bare così per tutti/Non per noi che iberniamo/improbabile vita nel marmo/conservando presunti ricordi/e policromie su carta emulsionata/ salvando il potenzialmente blasfemo/l’indecorosa inguardabile e oscena/fisionomia della morte”.
L’uomo dal canto suo, conflittuale, combattuto, sull’orlo del cratere, non è che “misere molecole indotte/ a credersi sostanza essenza/piuttosto che pura apparenza/ Un nulla incorporeo impalpabile/oppresso dal difetto iniziale/ di una falsa convinzione/ di essere qua e assolutamente concreto”. E rafforza la dose quando ipotizzando afferma: “Siamo materia organizzata/ nella trappola di un moto/che ci appare contrapposto/all’inerzia della roccia”; “Aquiloni indefessi abbattuti dal vento/ci alziamo ogni volta scomposti/fino all’ultima inevitabile caduta”; “…Improbabile ammettere che in fondo/non siamo più solidi dell’aria/afferrata e stretta tra le mani”. E semmai: “Percettori presunti di un Dio/ che non muove dito…” Questo l’uomo. Questa la condizione umana. E il Poeta? Un inguaribile, infetto da un turbine provvidenziale o apocalittico di parole lievissime quando farfalle, esplosive quando pallottole? Uno dei maggiori poeti polacchi del XX secolo, Kazimierz Wierzyński, così asserisce – e sembra il suo un vero proclama – : “Non vogliamo grandi parole, ma vogliamo una grande poesia; allora ogni parola diventerà grande”. Proviamo a vedere da vicino se il suo ruolo – quello del poeta in generale – sostiene il peso dell’anima e del tempo. Stella non va per mezze misure: “ Sono quasi tutti morti i poeti/e nessuno custodisce più un cuore/nelle mani”.
LA TAGLIA DEL DISTACCO è in fondo la ‘scoperta’ o il riconoscimento del silenzio (o del logos inefficace che non colma la differenza) e della solitudine (l’uomo abbandonato su una panchina vagamente prévertiana, il fatto che “Passato e futuro sono inganni/false grandezze di un elastico teso”, un emigrare “ogni giorno senza rotta”, un emigrare “da un mondo che è miraggio/dall’ascolto non compreso/dall’ombra dove cammino”. Eppure, la Poesia, che è contraddizione, e che di contraddizione si sostenta, fa dire a Stella che: “ Lasciamo tutti una traccia/ e penso al moncone di olmo/tracciato da asimmetrie alla Mondrian/da miriadi di alacri formiche/Schegge di putrido legno/nella tomba en plein air/di questo giardino di luglio/Non ci sono bare così per tutti/Non per noi che iberniamo/improbabile vita nel marmo/conservando presunti ricordi/e policromie su carta emulsionata/ salvando il potenzialmente blasfemo/l’indecorosa inguardabile e oscena/fisionomia della morte”.
I
morceaux poetici de LA TAGLIA DEL DISTACCO compongono un tessuto tramato di sudata virtude, frutto di un distillato
di perturbazione rimontante e di armato contrasto in interiore homine con un metaforeggiare che non stonda del tutto,
e parzialmente vela, i furenti segni dell’inappagamento
e dell’ineluttabilità degli sprechi di un vivere che tendeva non
all’autocommiserazione ma all’orgoglio (all’illusione?) del carniere pieno. Le
percezioni del poeta non tardano a rappresentare la coscienza lucida del
malessere, di quella squilibrata tensione, di quel malaise social avvertito e indicato dalla comune esperienza di
ragione, logica e coscienza da parte dei luminosi intelletti di Wittgenstein,
Freud, Weber, Kafka. Raffaele Stella, come Kafka, ingaggia una lotta impari con
gli aspetti assurdi e grotteschi della vita, scanditi da perversi ingranaggi
burocratici, dalla demagogia della classe parassita, dall’eredità d’inerzia di
istituzioni decadenti, dalla torpida acquiescenza dell’uomo medio, per cui il mondo appare refrattario ad
uniformarsi ad opzioni diverse da settorialità antagonistiche e da immondo
egoismo; di conseguenza, egli non può far di meglio che elevare lo scudo di una
reazione di sarcasmo e di acidulo scherno. Atteggiamento che conserva (in parte)
quando parla della morte, sfiorando lo schopenhaueriano Todestrieb, la pulsione della destrudo.
In questo caso si riserva un moto di Besturzung,
di sgomento, nella breve e bellissima ‘Riflessioni sulla morte’. Piuttosto,
l’oscillazione tra accettazione del fato irrevocabile, a proposito della
finitudine, e scossa di sconcerto, fa capolino in ‘Forse siamo già polvere da
vivi’, ‘ Si muore tutti/anche di luglio’, ‘Il cono d’ombra’.
Questa
poesia non cerca indirizzi scontati, il flatus
poetico dell’animo nomade di Stella imprime pagine che mettono assieme una
precisa configurazione del suo io scardinato e scisso tra contrari (‘Vivo di
due realtà parallele’); gli scali ferroviari del suo convoglio confluiscono
nella stessa intenzione libertaria e ribelle, nello stesso Traum, nello stesso Sehnsucht,
nelle stesse apolidi intemperanze. Del resto Stella, che è osservatore,
testimone e vittima di tempi accelerati rispetto al Novecento, è un direttore
della fotografia di comprovata abilità, uno shakeratore di parole turgide che
procurano sostanza all’eco del futuro. Il senso corrobora armonia, suono,
accordi. Su tal fronte Stella è sì ‘montaliano’, chiede la fermezza di una
lirica che soppesi il valore onesto di un criterio, di un significato, di un
punto di vista. E’ questo un modo di guardare il mondo e le cose del mondo
tangibili e concrete, ove l’invisibile a volte esulcerante risiede nelle pur
inamovibili e necessarie incertezze, nella categoria dell’anima che è il
dubbio. Chi interpellare per sedare l’urgenza-arsura
di una risposta? Non la Poesia e nemmeno la filosofia, né l’Ipotesi di Dio:
allora può tentare di farlo l’Eros, incarnato nella compagna, nel classico
nerudiano Femminino, che nella dimensione del canzoniere fa cantare il menestrello:
“ Mi aggrappo infine a te/che non hai
pupille offuscate/che hai mani che setacciano/nella nebbia più addensata…//Solo
tu che hai chiavi che non possiedo/puoi aprirmi le porte di una prigione…//Solo
tu puoi darmi un alibi certo/per vivere senza ingorghi…//in quella palude che
tutti chiamano vita.”
Che
sia nell’amore di una donna l’ineffabile risposta? Che - riandando all’incipit
di ‘ALIBI’ di Elsa Morante (‘Solo chi ama conosce’) - la sapienza sia riposta
tutta nelle straordinarie condotte del cuore? Negli affetti appassionatamente
vissuti? Scompigli, nostalgie, delusioni, speranze folli e scintillanti,
rimorsi, rimpianti, ingenuità e malizie, presagi, abbandoni, distacchi,
riconquiste, viltà e desiderio d’espiazione…Tutto ricorre in poesia, che da
sempre rincorre se stessa nella sua inarrivabile purezza.
ARMANDO SAVERIANO
RAFFAELE
STELLA - LA TAGLIA DEL DISTACCO - LIETOCOLLE 2017- PP 88 - EURO 13,00
Chi
anima e manovra noi umani
sarà addormentato o defunto
per come vanno le cose qui in terra
per l’assenza di tratti di una creazione
con premesse di target prossime
a una perfezione assoluta
Il nocciolo del cesellato si è dissolto
prim’ancora che l’involucro
destinato a polvere mostrasse
persino una crepa minuta
Assimilabili a fragili seppur eterni origami
speriamo in un risveglio del puparo
in un pietoso e riparatore restyling
per un suo finale compiacimento
e una -bontà sua- nostra conciliazione
*
Non
siamo mutati molto
dal neolitico o giù di lì
I bicipiti del capo branco
rimpiazzati da riserve di contanti
o cumuli di titoli bancari
Il piatto resta sempre una chimera per molti
e un’assoluta banalità per pochi
E non è questo un peccato veniale
con i granai e le cambuse traboccanti
e con solo quattro pattumiere
che esplodono di avanzi
*
La mia
poesia nasce dal silenzio
dalle grinze dure della mia pelle
dalla curva stretta della mia schiena
piegata dal quotidiano barbaglio
che mi acceca appena sveglio
*
C’è solo
un gioco o una commedia
possibile con sensori spenti o impercettivi
e ognuno di noi è protagonista assoluto
di quell’unico gioco o atto disponibile
Improbabile ammettere che in fondo
non siamo più solidi dell’aria
afferrata e stretta tra le mani
RAFFAELE
STELLA
Raffaele Stella |
Wanda Marasco e Raffaele Stella |
Lauro d'argento alla carriera Premio Nazionale di Poesia "Città di Conza della Campania" III edizione 2017 |
Una poesia che denota un forte senso esistenziale ed un'ampia percezione della vita quotidiana.
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