martedì 31 marzo 2015

IL VERSIPELLE 16


IL FAGIANO CHE SCOMPARE IN UN CESPUGLIO






Azzeccatissima, la metafora di Wallace Stevens sulla Poesia: “un fagiano che scompare in un cespuglio”. La poesia alta e autentica, la Signora Poesia, è come il pregiato uccello, che si lascia intravedere, ma non si concede facilmente, né si trova ad ogni spirar di venticello; ci si può imbattere in esso, come un dorato barbaglio, che scaturisce, magico, da qualche poeta contemporaneo. E deve bastare tale privilegio. A scrivere sono in troppi, a valere davvero in pochi, pochissimi. Inutile moltiplicare i reading, i raduni, illudersi di aver prodotto chissà quale capolavoro, magari scopiazzando astri della segnatura di Lucio Mariani, Jacqueline Risset, o Patrizia Valduga, strumentalizzando anchormen che fungono da specchietto per le allodole. Molti snobbano il Versipelle per correre, trafelati, in questo o quel circolo, dove converranno i soliti presenzialisti, la corte di devoti in debito per qualche favore o in attesa di ricevere attenzione da millantatori che non solo sono poeti mediocri, ma si spacciano per critici (e son “cretici”: crasi tra cretino e critico), senza accorgersi dei propri limiti, delle proprie debolezze. Alle loro spalle, l’immancabile Casa Mereditrice (crasi tra editrice e meretrice), con i suoi sordidi accordi sottocutanei feneratizi. 
È il classico “Navem perforare in qua ipse naviget”, dal celebre passo di Cicerone: un’azione stolida, controproducente, dove chi organizza mette in ridicolo, escrementizza ciò che pretenderebbe di nobilitare, di esaltare. Purtroppo coinvolgendo chi agisce in buona fede: il testimonial e qualche poeta di ottima grammatura.
Ecco, ci assumiamo la responsabilità di segnalare “il fagiano” in Mario Morelli, medico poeta di Grottaminarda, ospite onesto e lungimirante del sedicesimo appuntamento con “Il Versipelle”: i suoi quattro volumi di versi (“I fuochi di Leda”, Delta 3, 2000; “Per Vaga Mente”, Delta 3, 2005; “Nistagmi”, Nicolodi, 2005; “Butta il banno”, Delta 3, 2015) hanno avuto lunga e ponderata gestazione, riservando grande rispetto alla parola, misurata, pesata, adoperata con proprietà, acutezza, sensibilità e “spirito”. Elegie per la madre e il padre scomparsi accompagnano in “Butta il banno” affreschi autobiografici, notazioni spillate e rivelazioni quasi impulsive, tra Pound e Rexroth, momenti “liquidi” o urticanti, ancor più suggestivi nella loro brevità. 
Morelli medita e narra, oppure sente e trasmette ex abrupto; archeologo dell’interiorità ancestrale e osservatore privilegiato di tutto quanto è “esterno”, divertito e/o feroce, distillatore di sarcasmi stondati, autocritico nella confessione degli aspetti “irregolari” del sé, quasi a volte in contemplazione del grado di consapevolezza delle personali scricchiolature, degli elementi radioattivi nella condotta, nelle aspirazioni, nei sogni. Questa trasparenza riscatta automaticamente ogni abbaglio, ogni ipotesi di errore, ogni umanissimo trasporto per il ‘lato in ombra’. E rende congruente la figura del poeta con quelle della persona e del professionista. Così la sua poesia riesce impressiva nelle coscienze di chi legge e di chi ascolta. Tanto è capitato a noi, agli altri interlocutori: in primis Antonio Califano, che ha condiviso semanticamente e per empatia le metafore, quasi si trattasse di ideogrammi per l’anima; poi Paola De Lorenzo Ronca, Annamaria Renna e il giovane Davide Cuorvo, sedulo e attento alla sintesi tra passaggio metafisico e disincarnato, e discesa nelle incandescenze del magma con ogni fibra. L’esattezza della pronuncia fa di Morelli un poeta che argomenta sottilmente una filosofia quotidiana tangibile, ‘istruttiva’, non solo sotto l’aspetto speculativo e francamente intimista, ma frutto di una maestrìa ritmica, estetica, dalla persistente vis mnestica. E dalle miscele lessicali catturanti. 
Paola De Lorenzo Ronca si è giovata dell’introduzione del grande e compianto Giuseppe D’Errico nel suo “Profumo di terra e di sogni”, un diario del cuore che intenerisce per le metafore sui valori dell’esistenza e sul ruolo ausiliatore e confortevole di rimembranze mai scisse da una spiritualità a suo modo esplorativa.
“Leggere queste pagine” – scrive D’Errico – “induce a sorridere, mesti, a se stessi, a scoprirsi ancora capaci di capirsi e di amarsi, di credere, nonostante ogni delusione o rinunzia che, nel frastuono della vita in cui siamo immersi, la dolcezza fragile, ma sempre viva e vera di una parola amica, ci conforti e ci induca a credere di poter rinascere ogni giorno all’amore e alla fede.”
Partecipe della vicenda umana, disseminata di insidie, di gelo e di tenebre, ma anche di varchi che possono condurre ai sentieri misteriosi e salvifici della speranza-certezza, dello splendore oltre le nubi, la poesia di Annamaria Renna, autrice molto vicina a Logopea e al Versipelle quanto Agostina Spagnuolo, Rosa di Zeo o Raffaele Stella. Le affinità tra le due signore non sono poche, benché ognuna delle due, Ronca e Renna, abbia il proprio uscio segreto, lasci le personali orme irriproducibili, adoperi la sua peculiare digitalità sulla creta del pensiero emotivo. 
Davide Cuorvo costituisce un canzoniere dove l’eros abbraccia agàpe e philía, ha una scala semisepolta da nebbie e penosi ricordi, che lo induce ad intervallare sconforto e ripresa, perplessità ed entusiasmo, per ora traiettorie portanti del suo gesto espressivo.
Il gruppo di attori (la veterana Mena Matarazzo nel difficile ruolo della fedifraga assassina Clitemnestra…fino a che punto vendicatrice? Fino a che punto simulatrice?; Alessandra Iannone, l’enigmatica, sibillina Cassandra, divorata dall’ossessione delle sue chiaroveggenze; Hera Guglielmo, spettrale fiamma di odio distruttivo nella fermentosa Elettra; Michele Amodeo, nei panni di Agamennone, spavaldo condottiero, lubríco e scisso fra attrazione e fobica soggezione nei confronti della sua predata concubina, Cassandra, la nuova schiava-amante, trofeo e trastullo; Davide Cuorvo e Antonio Mazzocca, nel registro spaccato, mimesico-mimetico, di Oreste rassegnato ad un futuro di fuga e di condanna, senza regno e senza sudditi) ha egregiamente ricompattato le fasi dell’Orestea, nel legante di monologhi spietati e ulcerosi, ciononostante non esenti da lirismi, sulla scorta di un turgido pathos emozionale; monologhi o veri soliloqui dalle ricadute morali, politiche, esistenziali, in una miscela di tradizione, prassi e innovazione ardita.
Non ha guastato il tenore della serata l’inserimento della satira, da parte della Matarazzo (“Cancrena”) o quello del cabaret per i talenti del giovanissimo Christian Cioce (“La Pornografia”).
A modo suo, l’appuntamento proposto da “Il Versipelle” ha scardinato il modo di gestire e di “vivere” un incontro intellettuale dove il linguaggio (in ogni sua forma simbolica e culturale) riconquista la primazia nelle fonti della conoscenza e coniuga con passione e abilità/agilità gli estri di Teatro e Poesia, facondi ed efficaci agenti del contropotere nei tempi andati e attuali.

                                                                                                   ARMANDO SAVERIANO





Mario Morelli

Da sinistra: Michele Amodeo,
Alessandra Iannone






Armando Saveriano

















Armando Saveriano
Da sinistra: Davide Cuorvo,
Alessandra Iannone


















Da sinistra: Mena Matarazzo,
Hera Guglielmo
Mena Matarazzo


















Da sinistra: Hera Guglielmo,
Michele Amodeo,
Antonio Mazzocca
Da sinistra: Davide Cuorvo,
Antonio Mazzocca



















Da sinistra - Gli attori: Hera Guglielmo,
Davide Cuorvo, Antonio Mazzocca,
Mena Matarazzo, Alessandra Iannone,
Michele Amodeo
Da destra: Paola De Lorenzo Ronca,
dott. Gaetano Guglielmo


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