Ben radicato nella realtà
odierna, lo spigliato, veloce testo di Fabio Massa, Scivolare via
come il vento, dà l’idea del frutto di un processo di
apprendistato, che matura nella coscienza, attiva e affila i
meccanismi mnestici, ricorre a una parola duttile, diffusiva,
adeguata al linguaggio corrente odierno.
Si arriva a pensare che questo giovane autore
parta dal pensiero-parola per arrivare ai fatti, mentre magari, se
non è il contrario, egli ha considerato entrambe le prospettive, ha
optato per una alternanza dei due metodi; sia come sia, si rileva una
co-presenza dei due poli, sedimentata, metabolizzata al punto da
azionare il fluido istinto che presiede alla memoria,
all’autobiografia, all’invenzione pura, che ammicca all’uzzolo
e all’escamotage narrativo dell’avventura urbana cercata e
“subíta” dall’aspirante cittadino del mondo.
Istinto, o se vogliamo inclinazione, non esclude
tecnica, beninteso: e qui c’è molto dell’amata cinematografia
che condiziona le scelte e i destini di Massa. Non siamo proprio al
soggetto sceneggiato per un lungometraggio che probabilmente ci sarà,
ma lo marchiamo da vicino.
Massa pensa per
immagini, i suoi sono lampi interiori, fotoguizzi letterari; il
background del protagonista si profila sull’onda rapida di
dettagli, di informazioni che volteggiano ad ali distese, a colpo
d’occhio.
Sa dosare con misura
l’inserimento di personaggi, i rapporti individuali, i dialoghi, le
riflessioni come assaggio dell’esplorazione di sé, del circostante
mondo.
Il
protagonista, Claudio, è spinto da una vitalità fisiologica che
provoca magone nella chiusura, non vuole farsi sfuggire di mano il
futuro (!); teme quella scialbatura borghese nella quale, falliti o
tramontati gli ideali, preclusi mete e obiettivi, ci assestiamo, più
o meno rassegnati o addirittura convinti che non ci sia poi chissà
quale decorosa alternativa,
che l’età del gesto esuberante e dell’elettricità di grandiosi
intenti abbia una sola stagione e debba arenarsi sulle secche del
buonsenso degli “integrati”.
Non è fatto,
Claudio, per il sonnambulismo di una vita ordinaria che annoda la
cravatta in ufficio e in casa infila le pantofole. Egli diffida dello
stallo esistenziale, ne è avversario per elezione, benché goda di
uno specchio familiare rassicurante e stabilizzato.
Ha
sviluppato un intelletto inter-relazionale polifunzionale e onnivoro,
ha allenato un certo fascino che spesso sorprende se stesso, quando
gli fornisce la chiave delle serrature emotive di amici e fresche
conoscenze. Evitare il disagio acre della rinuncia, e risparmiarsi
uno stato di infelicità permanente, è suo diritto, è diritto dei
ragazzi del quadrilatero,
di tutti i ragazzi del mondo.
Ma
Claudio non è soltanto uno spirito nomade, non si ascrive nella pur
scanzonata, simpatica categoria dei backpackers:
ha un progetto preciso e si dà da fare per ottenere, se non di
esserne pilota, di farne in ragionevole grado parte non marginale.
L’allure
delle pagine di “Scivolare via come il vento” è il proiettarsi
della letteratura verso le nuove frontiere dell’immagine, in
qualità di concetto antropologico dell’essenza dell’uomo.
Così la
mente del fruitore si adatta alla struttura e al linguaggio
telefilmico: chi legge incontra se stesso nelle pagine divenute luogo
per elaborare, con Claudio, l’esercizio
della fanta o para
realtà che elimina o appiana i dislivelli tra vita e sorte, pareggia
meno paradossalmente di quanto si creda il conto tra rinascita e
scomparsa.
Paragrafi e parole si
trasformano in scene viste sullo schermo, dirette e montate dal
regista della deambulazione scrittorea, a metà tra il pellegrinaggio
nelle mappe del desiderio e l’analisi di verifica sulla facoltà
di autonomia, la responsabilità del nuovo, in una esplorazione vera
e propria delle risorse.
Tra
dubbi e qualche incidente di percorso, la risultante è positiva, i
passi acquistano crescente scioltezza, la giungla della Grande Mela
riserva sorprese e doni impareggiabili (non c’è riferimento
all’alienazione della metropoli o agli effetti collaterali del
Leviatano della fretta e del multitasking) che ci confermano quanto
l’autore strizzi l’occhio al protagonista e quanto questi sia
dotato della pura, ineffabile scintilla che
indirizza all’efficienza le ricognizioni di ambiente e comunità,
presiede a tutta una serie vertiginosa di valutazioni.
Il
quadro generale si prefigura come un’operazione di marketing: un
romanzo speedy per le
ultime generazioni, studiato appositamente per i diplomandi degli
istituti superiori. Per cui se ne raccomanda l’adozione, o quanto
meno l’acquisto di un numero sufficiente a garantire l’attività
di un eventuale laboratorio di lettura.
Tuttavia il testo può
piacere e piace anche ai cinquantenni, per la capacità che ha di
trascinarli indietro nel tempo, ricordando loro che si può ancora
sognare nella grotta del cuore, che la vita si rannuvola se siamo noi
a lasciarci incupire dallo scetticismo, dall’abitudinarietà, dal
disamore, dalla sclerosi degli entusiasmi, della meraviglia, dello
stupore, dall’autoinganno di troppe contraddizioni,
dall’adescamento di compromessi confortanti e dalle relative
scotomizzazioni, pretesto artato per la deresponsabilità. O per la
banale crudeltà dell’indifferenza.
In genere è questo
il principale obiettivo dei romanzi di formazione, che rivelano e
liberano le virtualità dell’io; sterminata ne è la bibliografia,
tra quanti rientrano a pieno titolo nel genere o vi si inseriscono di
sbieco: dai classici di Dickens, di Flaubert, di Radiguet, di
Maugham, di Golding, a “La Noia” di Moravia. Qualche esempio: “Il
tamburo di latta”, di Günther Grass, “Città di notte”, di
John Rechy; “Stoner”, di John Williams; i recentissimi
“Comprami”, di Valeria Campana, “Thomas Jay”, di Alessandra
Libutti, “Ivan il terribile”, di Alcide Pierantozzi, “I pugni
nella testa”, di Andre Dubus III, “Cose da pazzi”, di Evelina
Santangelo,
Il testo di Fabio Massa è riuscito specialmente
sulle piste di un terreno dove molti rischiano o prendono scivoloni,
addirittura fanno capitombolo: il discorso diretto, che quando non
suona plausibile può rovinare l’intero impianto narrativo, la
credibilità della storia, trasformando in manichini parlanti i
personaggi, pericolosamente assottigliati nelle rispettive dimensioni
e facendo defluire tutto nelle discariche luogo comune.
Qui Massa convince, i
discorsi, i botta e risposta sono verosimili. Fabio, forte della sua
esperienza di dialoghista, se ne serve eccellentemente; nel contempo
diverte, lega il lettore al prosieguo degli eventi, mantiene ariosi i
passaggi, è abile nel corrispondere la relazione “luogo-persona”,
stimola il processo identificatorio del lettore, adolescente, adulto
o maturo, conferisce limpidezza a tutto quanto descrive.
Sa
pedinare Claudio negli
spostamenti progressivi (s’intende anche nell’interior),
col suo pacchetto di passioni, sbalordimento, fervore, ingenuità,
fiuto, timori, aspettative, senso dell’humour, lievi rimpianti…più
un imperscrutabile presagio,
appena una “linea di febbre”
Vicenda
di ricerca, approdo, ancora partenza verso mete che ne fisseranno
fatalmente altrettante, Scivolare via come il
vento appare in scaffale per i tipi di Graus
nella collana ZetaGeneration.
Claudio,
Antonio/Melanzana,
Lorenzo, Fabrizio, Gwyneth, Nadine, Lyon, Sophie, John, Alicia,
Antonella, il piccolo Tiziano, il bel personaggio del clochard Joshua
prendono a braccetto il navigatore della pagina stampata, gli
prestano i propri occhi, la pelle, l’identità, lo immergono nel
loro mondo emozionante e vorticoso, futile e necessario, bizzarro o
ormai convenzionale nella medesima eccentricità del kitsch, non di
rado toccante: non chiedono altro che essere ascoltati, senza
particolari schedature e dieci metri più in là di qualunque
pregiudizio.
Il
viaggio, che sempre è salvifico fin dalla propria etimologia, il
cammino alla conferma di sé avviene, forse in un circuito mentale,
quasi in forma di interruzione terapeutica del trauma iniziale
sofferto dal protagonista, che sopravviva o malinconicamente imbocchi
il tunnel fuligginoso della lenta finitudine (piace pensare a un
finale aperto): flasback o flashforward, Massa ci gioca con la
macchina da presa collegata a ispirazione e sensitività; ha inteso
depistare senza essere (troppo) scorretto: quel che conta è che, in
una maniera quasi impercettibile, ha oliato gli strumenti emotivi per
produrre empatia [si vedano in particolare i capitoli Io
parto, Il principino
Nicky, Le mille
sfumature della luna, L’amore
(quello vero), Momenti,
Grazie], per imprimere pulsazioni alla parola
scritta, e trascinare dalla parte di Claudio, dalla sua
parte, l’osservatore, il testimone, lo spettatore muto del sogno di
se stesso, grazie a passaggi impavidi, a scanzonata autoironia e a
tarato struggimento.
Claudio si è
accaparrato le nostre simpatie. E non lo dimenticheremo. Così come
terremo d’occhio il suo genitore letterario.
ARMANDO SAVERIANO
FABIO MASSA SCIVOLARE VIA COME IL VENTO GRAUS ED. 2012 PAG. 100 EURO 10.00
L'incontro con Fabio Massa è previsto per
Sabato 26 Gennaio alle ore 17:30
Centro Sociale Samantha della Porta, Via Morelli e Silvati (Av)
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