domenica 13 gennaio 2013

Nel sogno di sé




Ben radicato nella realtà odierna, lo spigliato, veloce testo di Fabio Massa, Scivolare via come il vento, dà l’idea del frutto di un processo di apprendistato, che matura nella coscienza, attiva e affila i meccanismi mnestici, ricorre a una parola duttile, diffusiva, adeguata al linguaggio corrente odierno.
Si arriva a pensare che questo giovane autore parta dal pensiero-parola per arrivare ai fatti, mentre magari, se non è il contrario, egli ha considerato entrambe le prospettive, ha optato per una alternanza dei due metodi; sia come sia, si rileva una co-presenza dei due poli, sedimentata, metabolizzata al punto da azionare il fluido istinto che presiede alla memoria, all’autobiografia, all’invenzione pura, che ammicca all’uzzolo e all’escamotage narrativo dell’avventura urbana cercata e “subíta” dall’aspirante cittadino del mondo.
Istinto, o se vogliamo inclinazione, non esclude tecnica, beninteso: e qui c’è molto dell’amata cinematografia che condiziona le scelte e i destini di Massa. Non siamo proprio al soggetto sceneggiato per un lungometraggio che probabilmente ci sarà, ma lo marchiamo da vicino.
Massa pensa per immagini, i suoi sono lampi interiori, fotoguizzi letterari; il background del protagonista si profila sull’onda rapida di dettagli, di informazioni che volteggiano ad ali distese, a colpo d’occhio.
Sa dosare con misura l’inserimento di personaggi, i rapporti individuali, i dialoghi, le riflessioni come assaggio dell’esplorazione di sé, del circostante mondo.
Il protagonista, Claudio, è spinto da una vitalità fisiologica che provoca magone nella chiusura, non vuole farsi sfuggire di mano il futuro (!); teme quella scialbatura borghese nella quale, falliti o tramontati gli ideali, preclusi mete e obiettivi, ci assestiamo, più o meno rassegnati o addirittura convinti che non ci sia poi chissà quale decorosa alternativa, che l’età del gesto esuberante e dell’elettricità di grandiosi intenti abbia una sola stagione e debba arenarsi sulle secche del buonsenso degli “integrati”.
Non è fatto, Claudio, per il sonnambulismo di una vita ordinaria che annoda la cravatta in ufficio e in casa infila le pantofole. Egli diffida dello stallo esistenziale, ne è avversario per elezione, benché goda di uno specchio familiare rassicurante e stabilizzato.
Ha sviluppato un intelletto inter-relazionale polifunzionale e onnivoro, ha allenato un certo fascino che spesso sorprende se stesso, quando gli fornisce la chiave delle serrature emotive di amici e fresche conoscenze. Evitare il disagio acre della rinuncia, e risparmiarsi uno stato di infelicità permanente, è suo diritto, è diritto dei ragazzi del quadrilatero, di tutti i ragazzi del mondo.
Ma Claudio non è soltanto uno spirito nomade, non si ascrive nella pur scanzonata, simpatica categoria dei backpackers: ha un progetto preciso e si dà da fare per ottenere, se non di esserne pilota, di farne in ragionevole grado parte non marginale.
L’allure delle pagine di “Scivolare via come il vento” è il proiettarsi della letteratura verso le nuove frontiere dell’immagine, in qualità di concetto antropologico dell’essenza dell’uomo.
Così la mente del fruitore si adatta alla struttura e al linguaggio telefilmico: chi legge incontra se stesso nelle pagine divenute luogo per elaborare, con Claudio, l’esercizio della fanta o para realtà che elimina o appiana i dislivelli tra vita e sorte, pareggia meno paradossalmente di quanto si creda il conto tra rinascita e scomparsa.
Paragrafi e parole si trasformano in scene viste sullo schermo, dirette e montate dal regista della deambulazione scrittorea, a metà tra il pellegrinaggio nelle mappe del desiderio e l’analisi di verifica sulla facoltà di autonomia, la responsabilità del nuovo, in una esplorazione vera e propria delle risorse.
Tra dubbi e qualche incidente di percorso, la risultante è positiva, i passi acquistano crescente scioltezza, la giungla della Grande Mela riserva sorprese e doni impareggiabili (non c’è riferimento all’alienazione della metropoli o agli effetti collaterali del Leviatano della fretta e del multitasking) che ci confermano quanto l’autore strizzi l’occhio al protagonista e quanto questi sia dotato della pura, ineffabile scintilla che indirizza all’efficienza le ricognizioni di ambiente e comunità, presiede a tutta una serie vertiginosa di valutazioni.
Il quadro generale si prefigura come un’operazione di marketing: un romanzo speedy per le ultime generazioni, studiato appositamente per i diplomandi degli istituti superiori. Per cui se ne raccomanda l’adozione, o quanto meno l’acquisto di un numero sufficiente a garantire l’attività di un eventuale laboratorio di lettura.
Tuttavia il testo può piacere e piace anche ai cinquantenni, per la capacità che ha di trascinarli indietro nel tempo, ricordando loro che si può ancora sognare nella grotta del cuore, che la vita si rannuvola se siamo noi a lasciarci incupire dallo scetticismo, dall’abitudinarietà, dal disamore, dalla sclerosi degli entusiasmi, della meraviglia, dello stupore, dall’autoinganno di troppe contraddizioni, dall’adescamento di compromessi confortanti e dalle relative scotomizzazioni, pretesto artato per la deresponsabilità. O per la banale crudeltà dell’indifferenza.
In genere è questo il principale obiettivo dei romanzi di formazione, che rivelano e liberano le virtualità dell’io; sterminata ne è la bibliografia, tra quanti rientrano a pieno titolo nel genere o vi si inseriscono di sbieco: dai classici di Dickens, di Flaubert, di Radiguet, di Maugham, di Golding, a “La Noia” di Moravia. Qualche esempio: “Il tamburo di latta”, di Günther Grass, “Città di notte”, di John Rechy; “Stoner”, di John Williams; i recentissimi “Comprami”, di Valeria Campana, “Thomas Jay”, di Alessandra Libutti, “Ivan il terribile”, di Alcide Pierantozzi, “I pugni nella testa”, di Andre Dubus III, “Cose da pazzi”, di Evelina Santangelo,
Il testo di Fabio Massa è riuscito specialmente sulle piste di un terreno dove molti rischiano o prendono scivoloni, addirittura fanno capitombolo: il discorso diretto, che quando non suona plausibile può rovinare l’intero impianto narrativo, la credibilità della storia, trasformando in manichini parlanti i personaggi, pericolosamente assottigliati nelle rispettive dimensioni e facendo defluire tutto nelle discariche luogo comune.
Qui Massa convince, i discorsi, i botta e risposta sono verosimili. Fabio, forte della sua esperienza di dialoghista, se ne serve eccellentemente; nel contempo diverte, lega il lettore al prosieguo degli eventi, mantiene ariosi i passaggi, è abile nel corrispondere la relazione “luogo-persona”, stimola il processo identificatorio del lettore, adolescente, adulto o maturo, conferisce limpidezza a tutto quanto descrive.
Sa pedinare Claudio negli spostamenti progressivi (s’intende anche nell’interior), col suo pacchetto di passioni, sbalordimento, fervore, ingenuità, fiuto, timori, aspettative, senso dell’humour, lievi rimpianti…più un imperscrutabile presagio, appena una “linea di febbre”
Vicenda di ricerca, approdo, ancora partenza verso mete che ne fisseranno fatalmente altrettante, Scivolare via come il vento appare in scaffale per i tipi di Graus nella collana ZetaGeneration.
Claudio, Antonio/Melanzana, Lorenzo, Fabrizio, Gwyneth, Nadine, Lyon, Sophie, John, Alicia, Antonella, il piccolo Tiziano, il bel personaggio del clochard Joshua prendono a braccetto il navigatore della pagina stampata, gli prestano i propri occhi, la pelle, l’identità, lo immergono nel loro mondo emozionante e vorticoso, futile e necessario, bizzarro o ormai convenzionale nella medesima eccentricità del kitsch, non di rado toccante: non chiedono altro che essere ascoltati, senza particolari schedature e dieci metri più in là di qualunque pregiudizio.
Il viaggio, che sempre è salvifico fin dalla propria etimologia, il cammino alla conferma di sé avviene, forse in un circuito mentale, quasi in forma di interruzione terapeutica del trauma iniziale sofferto dal protagonista, che sopravviva o malinconicamente imbocchi il tunnel fuligginoso della lenta finitudine (piace pensare a un finale aperto): flasback o flashforward, Massa ci gioca con la macchina da presa collegata a ispirazione e sensitività; ha inteso depistare senza essere (troppo) scorretto: quel che conta è che, in una maniera quasi impercettibile, ha oliato gli strumenti emotivi per produrre empatia [si vedano in particolare i capitoli Io parto, Il principino Nicky, Le mille sfumature della luna, L’amore (quello vero), Momenti, Grazie], per imprimere pulsazioni alla parola scritta, e trascinare dalla parte di Claudio, dalla sua parte, l’osservatore, il testimone, lo spettatore muto del sogno di se stesso, grazie a passaggi impavidi, a scanzonata autoironia e a tarato struggimento.
Claudio si è accaparrato le nostre simpatie. E non lo dimenticheremo. Così come terremo d’occhio il suo genitore letterario.

ARMANDO SAVERIANO


FABIO MASSA SCIVOLARE VIA COME IL VENTO GRAUS ED. 2012 PAG. 100 EURO 10.00


L'incontro con Fabio Massa è previsto per 
Sabato 26 Gennaio alle ore 17:30 
Centro Sociale Samantha della Porta, Via Morelli e Silvati (Av)

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