Sono, con questi crudi,
strabilianti aggettivi, le madri provate brutalmente dall’inaspettata
privazione dei figli. Per l’esattezza, a coniarli e a farne uso
ricorrente nei propri versi esonerati da retorica e da accomodamenti
del cuore, è Mariastella Eisenberg.
Preside nelle scuole superiori fino al 2003,
vanta la pubblicazione di testi scolastici (Perché ancora I
Promessi Sposi, Marimar – Napoli, 1989), di romanzi (Sara,
Guida – Napoli, 2005; Chiedi alle mani, Sovera – Roma,
2009), di poesia (Alfabetando, L’Aperia – Caserta, 2011).
Si è molto prodigata per l’impegno civile a favore delle donne
stuprate e vittime di soprusi domestici e lavorativi, spezzando più
di una lancia per la diversabilità; nel carcere di Lauro ha
promosso l’iniziativa coraggiosa e felicemente collaudata di un
gruppo di lettura, sotto l’egida della Fondazione Premio Napoli.
Compare in numerose riviste, nel ruolo di collaboratrice e
redattrice.
Tra i protagonisti della mostra-spettacolo Il
Poeta Nudo (Attraversare i sensi per accedere all’Arte della
Poesia), organizzata presso il Centro Culturale Il Pilastro,
di Gennaro Stanislao, con la regia di Patrizio Ranieri Ciu
(autore anche delle musiche personalizzate per ciascuno dei 12
poeti partecipanti all’evento sensoriale), performance
dell’attore Salvatore Iermano (Conservatorio Teatrale G.
Battista Diotaiuti, Roma), foto di Enzo Patria, la
Eisenberg partecipa, con altre due poetesse, Lucia Duraccio e
Angela Procaccini, al récital/convegno TRE MADRI, per
la direzione artistica di Armando Saveriano e Salvatore
Iermano (associazione culturale Logopea, Avellino),
manifestazione che si svolgerà giovedi 24 c.m. a S. Maria C.V.
alle 18.00.
Lucia Duraccio, appassionata lettrice di Emily
Dickinson, Jacques Prévert e Paul Claudel,
fervente animo religioso, è attiva sul fronte dell’engagement
assistenziale, opera nell’organico di enti benefici religiosi e
laici, ed è al suo esordio di stampa con la vendutissima silloge Le
Ceneri e il Germoglio, per i tipi di Per Versi,
Grottaminarda (AV).
Angela Procaccini, voce dotta e conosciuta nel
cono letterario partenopeo, conta all’attivo diverse, eleganti
pubblicazioni: Breve come sogno, C.E. Di Mauro, Reggio
Emilia/Cava de’ Tirreni, 1982; Simonetta - Come
farfalla di maggio, Sugar Co, 1983 (con prefazione di Alberto
Bevilacqua); Nebbie, Guida 2000; Angeli senza ali,
Guida, 2002; Sguardi, Guida, 2006 (con prefazione di Angelo
Cannavacciuolo); La ninfa dei fiori, Guida, 2008 (con note
introduttive di Giovanna Mozzillo e Diego De Silva);
Lunghi Capelli, Guida 2011 (con note introduttive di Maria
Franco e di Ermanno Corsi).
Tre
donne, tre poetesse, tre madri. Mutaciche e
sfigliate. Unite dallo stesso impietoso
destino, che ha portato via loro il frutto del ventre. Ognuna ha
reagito allo strappo, ognuna ha cauterizzato l’amputazione, ognuna
ha ritrovato, grazie alla resilienza
personale (il cui grado è fortunatamente elevato in tutte quante le
signore), il nastro di seta indissolubile che, avvolto al polso
sanguinante, ben stretto, dà senso alla vita, permette di
continuare, scisse tra dimora nel quotidiano e permanenza nella
goccia d’ambra dell’intramontato ricordo, del sempiterno amore.
L’elaborazione
del lutto, in questo particolare caso
(non c’è dolore più grande della perdita di un figlio), è stato
un processo tormentato, burrascoso, provante, spastico, e per sua
genesi forgiante, corroborante per lo spirito indomito, che ha
convogliato pensieri e sentimenti nel logos
terapeutico dello scavo, della confessione,
della verità. L’io poetante di Mariastella, Lucia, Angela, si è
corificato, ha conquistato lo spazio ineffabile della non
luoghità che ospita e non scaccia, che
adorna con un velo di pudore il singhiozzo e il grido, che affronta
la malinconia, lo spaesamento, la solitudine, l’amarognolo, la
stanchezza nel calcagno, creando un giardino virtuale dove il filo
spinato fiorisce di inarrendevolezza, di dignità, di profumi
mnestici e di visioni prospettiche in grado di far arretrare il buio
metafisico. Animo pagano e afflato religioso s’incontrano, si
scambiano le impronte, si muovono nei propri calzari senza calpestare
né polveri di vetro né timido aggetto di promessa; la dolcezza, la
rabbia, la rassegnazione, il silenzio, il tuono, la disperazione, la
fiducia, le armonie celesti, le sinfonie d’alba e di crepuscolo, il
mondo infranto e riconsegnato al suo universo, il patto di rinnovata
audacia nel camminamento
a testa alta, l’evocazione di Dio e la sua Assenza sono i tasti
musicali che tinteggiano il rito di passaggio dal presente al
passato, dal passato al futuro. È un caleidoscopio di bollente
ardore, una tundra di gelo per il sole che da opaco e lontano estrude
una fune impalpabile di salvataggio, di pacificazione. Eisenberg è
esplicita, netta, procede per taglienza votiva su un’arca/fornace
pagana; Procaccini incarna la quinta stagione
che fa trionfare i contrasti fra mestizia e gioia, fra canto e
sussurro inaudibile, fra l’eludere e il fronteggiare, fra
vulnerabilità e imperforazioni; Duraccio si fa forte della certezza
di un perdurante cordone mai reciso, ha introiettato l’incidente
atroce senza trasformarlo in implosione: se della sua scrittura
facessimo la dissezione integrale non scopriremmo caustici intrusi,
non mapperemmo dissimulazioni nei nascondigli della coscienza.
Nelle tre
donne aleggia un differente misticismo, che completa la realtà e non
congeda da essa. Per Angela è la metafora della natura che esplode
nella sua ancestrale, irresistibile elementalità; per Mariastella è
l’attimo che accozza la libido moriendi,
la destrudo e lo
sprezzo per la
finitudine se essa si
fa cieco araldo del destino, ma anche il rispetto per un disordine
dionisiaco che ci fa intuire il sacro e ci illude sul sublime; per
Lucia è la contemplazione di una luce interiore a intermittenza, il
percetto di una sovrasensibilità estranea al conoscibile, eppure
positiva e amica.
Le
figlie rispettive si muovono discrete ma in plausibilità di
presenza; non alitano
fantasmatiche dietro un sipario; affiancano le madri, intrecciano gli
sguardi in costante, pacato colloquio che arriva anche a noi che
leggiamo, se apriamo gli occhi e ascoltiamo.
ARMANDO
SAVERIANO
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