domenica 20 gennaio 2013

Mutaciche e Sfigliate


Sono, con questi crudi, strabilianti aggettivi, le madri provate brutalmente dall’inaspettata privazione dei figli. Per l’esattezza, a coniarli e a farne uso ricorrente nei propri versi esonerati da retorica e da accomodamenti del cuore, è Mariastella Eisenberg.
Preside nelle scuole superiori fino al 2003, vanta la pubblicazione di testi scolastici (Perché ancora I Promessi Sposi, Marimar – Napoli, 1989), di romanzi (Sara, Guida – Napoli, 2005; Chiedi alle mani, Sovera – Roma, 2009), di poesia (Alfabetando, L’Aperia – Caserta, 2011). Si è molto prodigata per l’impegno civile a favore delle donne stuprate e vittime di soprusi domestici e lavorativi, spezzando più di una lancia per la diversabilità; nel carcere di Lauro ha promosso l’iniziativa coraggiosa e felicemente collaudata di un gruppo di lettura, sotto l’egida della Fondazione Premio Napoli. Compare in numerose riviste, nel ruolo di collaboratrice e redattrice.
Tra i protagonisti della mostra-spettacolo Il Poeta Nudo (Attraversare i sensi per accedere all’Arte della Poesia), organizzata presso il Centro Culturale Il Pilastro, di Gennaro Stanislao, con la regia di Patrizio Ranieri Ciu (autore anche delle musiche personalizzate per ciascuno dei 12 poeti partecipanti all’evento sensoriale), performance dell’attore Salvatore Iermano (Conservatorio Teatrale G. Battista Diotaiuti, Roma), foto di Enzo Patria, la Eisenberg partecipa, con altre due poetesse, Lucia Duraccio e Angela Procaccini, al récital/convegno TRE MADRI, per la direzione artistica di Armando Saveriano e Salvatore Iermano (associazione culturale Logopea, Avellino), manifestazione che si svolgerà giovedi 24 c.m. a S. Maria C.V. alle 18.00.
Lucia Duraccio, appassionata lettrice di Emily Dickinson, Jacques Prévert e Paul Claudel, fervente animo religioso, è attiva sul fronte dell’engagement assistenziale, opera nell’organico di enti benefici religiosi e laici, ed è al suo esordio di stampa con la vendutissima silloge Le Ceneri e il Germoglio, per i tipi di Per Versi, Grottaminarda (AV).
Angela Procaccini, voce dotta e conosciuta nel cono letterario partenopeo, conta all’attivo diverse, eleganti pubblicazioni: Breve come sogno, C.E. Di Mauro, Reggio Emilia/Cava de’ Tirreni, 1982; Simonetta - Come farfalla di maggio, Sugar Co, 1983 (con prefazione di Alberto Bevilacqua); Nebbie, Guida 2000; Angeli senza ali, Guida, 2002; Sguardi, Guida, 2006 (con prefazione di Angelo Cannavacciuolo); La ninfa dei fiori, Guida, 2008 (con note introduttive di Giovanna Mozzillo e Diego De Silva); Lunghi Capelli, Guida 2011 (con note introduttive di Maria Franco e di Ermanno Corsi).
Tre donne, tre poetesse, tre madri. Mutaciche e sfigliate. Unite dallo stesso impietoso destino, che ha portato via loro il frutto del ventre. Ognuna ha reagito allo strappo, ognuna ha cauterizzato l’amputazione, ognuna ha ritrovato, grazie alla resilienza personale (il cui grado è fortunatamente elevato in tutte quante le signore), il nastro di seta indissolubile che, avvolto al polso sanguinante, ben stretto, dà senso alla vita, permette di continuare, scisse tra dimora nel quotidiano e permanenza nella goccia d’ambra dell’intramontato ricordo, del sempiterno amore.
L’elaborazione del lutto, in questo particolare caso (non c’è dolore più grande della perdita di un figlio), è stato un processo tormentato, burrascoso, provante, spastico, e per sua genesi forgiante, corroborante per lo spirito indomito, che ha convogliato pensieri e sentimenti nel logos terapeutico dello scavo, della confessione, della verità. L’io poetante di Mariastella, Lucia, Angela, si è corificato, ha conquistato lo spazio ineffabile della non luoghità che ospita e non scaccia, che adorna con un velo di pudore il singhiozzo e il grido, che affronta la malinconia, lo spaesamento, la solitudine, l’amarognolo, la stanchezza nel calcagno, creando un giardino virtuale dove il filo spinato fiorisce di inarrendevolezza, di dignità, di profumi mnestici e di visioni prospettiche in grado di far arretrare il buio metafisico. Animo pagano e afflato religioso s’incontrano, si scambiano le impronte, si muovono nei propri calzari senza calpestare né polveri di vetro né timido aggetto di promessa; la dolcezza, la rabbia, la rassegnazione, il silenzio, il tuono, la disperazione, la fiducia, le armonie celesti, le sinfonie d’alba e di crepuscolo, il mondo infranto e riconsegnato al suo universo, il patto di rinnovata audacia nel camminamento a testa alta, l’evocazione di Dio e la sua Assenza sono i tasti musicali che tinteggiano il rito di passaggio dal presente al passato, dal passato al futuro. È un caleidoscopio di bollente ardore, una tundra di gelo per il sole che da opaco e lontano estrude una fune impalpabile di salvataggio, di pacificazione. Eisenberg è esplicita, netta, procede per taglienza votiva su un’arca/fornace pagana; Procaccini incarna la quinta stagione che fa trionfare i contrasti fra mestizia e gioia, fra canto e sussurro inaudibile, fra l’eludere e il fronteggiare, fra vulnerabilità e imperforazioni; Duraccio si fa forte della certezza di un perdurante cordone mai reciso, ha introiettato l’incidente atroce senza trasformarlo in implosione: se della sua scrittura facessimo la dissezione integrale non scopriremmo caustici intrusi, non mapperemmo dissimulazioni nei nascondigli della coscienza.
Nelle tre donne aleggia un differente misticismo, che completa la realtà e non congeda da essa. Per Angela è la metafora della natura che esplode nella sua ancestrale, irresistibile elementalità; per Mariastella è l’attimo che accozza la libido moriendi, la destrudo e lo sprezzo per la finitudine se essa si fa cieco araldo del destino, ma anche il rispetto per un disordine dionisiaco che ci fa intuire il sacro e ci illude sul sublime; per Lucia è la contemplazione di una luce interiore a intermittenza, il percetto di una sovrasensibilità estranea al conoscibile, eppure positiva e amica.
Le figlie rispettive si muovono discrete ma in plausibilità di presenza; non alitano fantasmatiche dietro un sipario; affiancano le madri, intrecciano gli sguardi in costante, pacato colloquio che arriva anche a noi che leggiamo, se apriamo gli occhi e ascoltiamo.

ARMANDO SAVERIANO

 

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